Contrordine, Bob Marley. Dopo che negli ultimi anni i media di tutto il mondo ci avevano raccontato che la marijuana era la panacea in grado da liberarci da un numero pressoché infinito di mali, e persino la mossa a sorpresa in grado di risanare l’economia mondiale, da qualche tempo le cose sembrano cambiate in modo irreversibile. Meno di un anno fa, il settimanale americano Newsweek si chiedeva se la marijuana non fosse il rimedio migliore al mondo per curare l’autismo, e qualche mese dopo raddoppiava, scrivendo come il famigerato CBD fosse la risposta definitiva a qualsiasi scherzetto operato della mente: dall’ansia alla depressione e persino all’epilessia, ben poco sfuggiva agli effetti benefici di quella che per anni era stata confusa per una semplice una droga ricreativa. Non si trattava, ovviamente, di parole in libertà: ogni articolo, inclusi questi, riportava a supporto il suo bravo studio scientifico pubblicato dall’autorevole pubblicazione scientifica di settore, e c’erano sempre dei ricercatori provenienti dalle Università più prestigiose del pianeta pronti a sventolare dati in grado di silenziare i più inguaribili degli scettici.
Sulla base di questi studi, e sulla scorta di ragionamenti di natura economica (il giro d’affari da n. miliardi, le entrate fiscali, …), la marcia verso la definitiva legalizzazione sembrava inarrestabile: e il fatto che lo Stato di New York avesse cominciato l’iter per aggiungersi ai 10 Stati in cui la marijuana è considerata un prodotto come un altro sembrava l’alba della vittoria definitiva. Ed ecco che oggi, quando persino nelle nostre città tutto ordine e culatello i negozi dedicati alla vendita di prodotti derivati dalla cannabis “light” iniziano a ritagliarsi un posto nel paesaggio urbano, il New York Times se ne esce con una campagna proibizionista che più proibizionista non si può. Un celebre articolo del maggio scorso aveva già passato in rassegna tutti i potenziali rischi associati al consumo di marijuana, con conclusioni tutt’altro che positive. Ma un paio di settimane fa ne è uscito un altro, che non solo contesta ma ribalta tutta quella letteratura di cui gli articoli del Newsweek rappresentavano un formidabile esempio. Altro che effetti benefici: la marijuana e i suoi derivati, invece che diminuire, aumenterebbero i rischi di psicosi e schizofrenia, con effetti terribili a lungo termine. E giù una lista di numeri, di studi scientifici, di pareri autorevoli, che a leggerli tutti lasciano ben poco di che dubitare, e che addirittura mettono in relazione l’aumento del consumo di marijuana con quello dei crimini violenti, in un parallelismo che sembra provenire direttamente dalla fantasia di Carlo Giovanardi.
A dar retta a due tra le testate più autorevoli del pianeta, la marijuana sarebbe al centro, da anni, di una gigantesca operazione speculativa con l’obiettivo di normalizzarla, di farla entrare nella nostra cultura mainstream per trasformarla in una merce in grado di garantire enormi profitti, nonostante le conseguenze assai nocive per la nostra salute.
E non si tratta solo del New York Times: settimana scorsa, l’altra grande Bibbia dei liberal americani, il New Yorker, sbatteva in prima pagina una foglia di marijuana presentando un articolo in cui, citando ancora una volta ricerche e studi di autorevolissime fonti, si sosteneva come gli effetti positivi della cannabis a livello medico non fossero altro che un mucchio di fake news, non corroborate da alcuna evidenza scientifica. Il cambio di paradigma è totale, la tesi di fondo incredibile. A dar retta a due tra le testate più autorevoli del pianeta, la marijuana sarebbe al centro, da anni, di una gigantesca operazione speculativa con l’obiettivo di normalizzarla, di farla entrare nella nostra cultura mainstream per trasformarla in una merce in grado di garantire enormi profitti, nonostante le conseguenze assai nocive per la nostra salute.
Ma a nostro avviso, la cosa davvero sconcertante è un’altra. Per quanto importante sia stabilire se la marijuana faccia o non faccia male, se possa o non possa far guarire dall’ansia o dalle emorroidi, se sia o non sia al centro di una speculazione mondiale, si tratta comunque di un tema secondario rispetto alla fondamentale questione di fondo che questa storia solleva. Articoli, speciali e approfondimenti giornalistici usciti nel corso degli anni che magnificavano le virtù terapeutiche dei prodotti derivati dalla cannabis si basavano – e si basano – su studi scientifici con un’autorevolezza uguale a quelli utilizzati oggi da New York Times e New Yorker per contestarli. Chi dice che lo studio scientifico citato dal Newsweek secondo cui fumarsi una canna fa passare la depressione sia più o meno autorevole di quello che sostiene l’opposto? Quali mezzi ha l’opinione pubblica per sapere cosa sia vero e cosa sia falso quando si parla di Scienza, nel momento in cui la Scienza, sui giornali, dice una cosa e il suo contrario?
Nel lungo periodo si priva la Scienza di ogni autorevolezza, trasformandola in una notte in cui le vacche sono tutte nere:
Nessuno. Nessuno può certificare o confutare nulla, perché nel mondo dell’informazione di oggi, in tema di notizie scientifiche vale tutto e il contrario di tutto.
Provate ad andare su Google e a scrivere “il caffè fa male”: verranno fuori diversi articoli, in tutte le lingue, che vi racconteranno di questo o di quel team di ricercatori che suggeriscono di limitare il consumo di caffè. Poi digitate “il caffè fa bene”: troverete un uguale numero di link che sulla base di altri studi fatti da altri ricercatori, vi spiegano come cinque semplici tazzine di caffè al giorno allunghino la vita, migliorino la memoria e vi rendano praticamente immuni al rischio di infarto.E lo stesso vale per qualsiasi cibo, prodotto o perfino stile di vita. Su giornali e siti web di tutto il mondo, troverete “la Scienza” sostenere una cosa e subito dopo il suo contrario: l’importante è creare un titolo ad effetto, in grado di invogliare il click. E così prima la marijuana libera dal male – e bisogna legalizzarla sempre – e poi improvvisamente diventa essa stessa il Male – e bisogna vietarla a priori, anche in quei campi in cui il suo utilizzo sembrava assodato, per esempio nel trattamento delle inappetenze dovute ad alcuni tipi di chemioterapia. Un modo di fare pericolosissimo, perché nel lungo periodo priva la Scienza di ogni autorevolezza, trasformandola in una notte in cui le vacche sono tutte nere: del resto – giusto per citare anche noi uno studio scientifico – nel 2011 sulla rivista “Nature Review Drug Discovery” uno studio documentava come solo il 25% delle ricerche finite sui giornali era dimostrabile sperimentalmente. Un risultato – questo sì – stupefacente.