LetturaCome si diventa leghisti: così Salvini si è preso la Toscana (e poi l’Italia)

Il nuovo libro di David Allegranti, giornalista de “Il Foglio”, racconta il boom della Lega alle ultime elezioni comunali di Pisa, per spiegare come una regione “rossa” come Toscana possa diventare leghista

Pubblichiamo un estratto di Come si diventa leghisti (Utet), il nuovo libro del giornalista de Il Foglio David Allegranti. Un viaggio per spiegare come Pisa, dopo le ultime comunali, sia diventata la città roccaforte della Lega. Quando cinque anni prima, qui, la Lega nemmeno esisteva. Eppure, come spiega Allegranti nel primo capitolo del libro, bastava fare un giro sulla linea 5.

Montate sulla linea 5 e capirete

«Non ho votato e nemmeno rivoto. Non ci ritorno nemmeno se m’ammazzano. Oddio, però Salvini non mi dispiace quando parla degli emigranti». Riva destra dell’Arno, quartiere cep, cioè Centro Edilizia Popolare. Via Michelangelo, tra il Bimbo bar, il caffè Tirreno e il Conad. Prima c’era il Mercato Rosso dei proletari, oggi il capitalismo della grande distribuzione. Simonetta da giovane era iscritta a Lotta Continua, oggi le piace il ministro dell’Interno.

«Sono troppi, a Pisa è pieno, fra un po’ si va via noi e vengono loro. Sinceramente basta», dice senza guardarmi negli occhi. In bocca non ha neanche più un dente, parla con le amiche, insieme a loro c’è una badante straniera. «Non c’è lavoro e il Comune ha pure dato la casa agli emigranti!».

C’è un certo spirito identitario al Cep, lo si capisce dalla scritta Cisanello come Livorno: se il Cep è la periferia a ovest del centro, Cisanello è dalla parte opposta, periferia est, il quartiere dove c’è l’ospedale; Livorno, invece, è come sanno tutti la città più odiata dai pisani. Qui al Cep, il candidato della Lega nel giugno 2018 ha preso più del 35 per cento. Certo, non è il record, visto che sul litorale si è quasi toccata quota 47 per cento, ma fa impressione lo stesso. Oggi qui si odia il Pd come un tempo si odiava il Pci che, scriveva “Lotta Continua” in un numero del 1971, «si ricorda più dei commercianti che di noi proletari». E dire che cinque anni fa i leghisti nemmeno esistevano a Pisa. Alle elezioni del 2013 avevano ottenuto 125 preferenze in tutta la città, lo 0,35 per cento. Dopo un lustro i voti alla Lega sono diventati 9784, cioè il 24,71 per cento. Per capire le ragioni del botto ho deciso di partire da questo vecchio quartiere popolare, dove mi accoglie Sergio Cortopassi, sindaco socialista di Pisa tra il 1990 e il 1994. È appena tornato dalla montagna dopo un’estate al fresco. «Se c’è una cosa insopportabile in Toscana sono certi mesi, luglio e agosto, in cui non si respira», mi dice. Non ha avuto neanche il tempo di disfare la valigia, è venuto diretto all’appuntamento a piazzale Donatello, dove c’è l’edicola. Ha una camicia a scacchi fuori dai pantaloni che stride appena con la montatura sottile degli occhiali. Mi dà del lei. Mi chiede se in questi giorni che era via ci son state notizie, non è molto aggiornato. Confessa che guarda soprattutto il Televideo, perché gli dà meno ansia. Intorno a noi, il cuore del Cep. «Quando vede che cambia edilizia e non c’è il mattoncino», dice indicando le mura esterne delle case, «quella è la parte nuova.»

C’è un bel verde al Cep. Le strade sono pulite, i cassonetti per l’immondizia in ordine. A volte dei quartieri abbiamo un’idea preconcetta, molto lontana dalla realtà. Certo, i muri sono pieni di rivendicazioni. X chi c’è nato. X chi c’è vissuto. X chi c’è morto (segue firma anarchica). Lega Nord = Isis. + Alberi – meno sbirri. Antifa. Ci sono però anche gli adesivi della Lega con la scritta Salvini premier attaccati poco lontano, in via Bellini, sui lampioni in fila tra le macchine parcheggiate. La Lega qui c’è e non c’è. Viene insultata ma anche votata. I leghisti sono macellai dell’Isis ma anche salvatori. E in politica niente funziona di più di ciò che polarizza, di ciò che è “divisivo”, si direbbe con una brutta parola. Un altro concetto chiave in politica è che tutti gli spazi si riempiono. Se non ci vai te, in un posto, fisico o meno, ci va un altro. Vale anche per il Cep. «I comunisti qui credo siano rimasti dieci-quindici. Molti si sono astenuti. La mia teoria è che molti non votano più e che hanno avuto un trauma dall’evoluzione del Pd, per certi versi davvero sconvolgente», mi racconta mentre il mio sguardo cade sulla vetrina di una vecchia merceria, categoria in via d’estinzione forse quanto i comunisti.

Sono troppi, a Pisa è pieno, fra un po’ si va via noi e vengono loro. Sinceramente basta», dice senza guardarmi negli occhi. In bocca non ha neanche più un dente, parla con le amiche, insieme a loro c’è una badante straniera

«È di sinistra consentire che ci siano parcheggi abusivi? Che siano gestiti da italiani o immigrati cambia poco… è di sinistra affrontare in un certo modo la questione dell’immigrazione, cioè non affrontarla? No. È un problema di destra il degrado della stazione? No, è un problema vero. E i problemi come questi si caricano sulle fasce più deboli. La sinistra – io sono di sinistra – è nata per rappresentare quelli che non erano rappresentati. Non occuparsi degli ultimi non è di sinistra.» Sergio Cortopassi vive in questo quartiere da quarantatré anni, ci ha cresciuto due figlie. «Qui c’è stata una mescolanza di borghesia e proletariato», mi spiega. Basta vedere chi ha vissuto al Cep. Come il professor Bruno Guerrini, ex rettore dell’ateneo di Pisa, scomparso nel 2011, nato a Siena e rimasto contradaiolo per tutta la vita; suo figlio Simone Guerrini, nato a Pisa e oggi capo della segreteria del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un tempo guidava i giovani della Dc. Ex dirigente di Finmeccanica, è amico d’infanzia di Enrico Letta, pisano come lui. «Non è il Cep di Napoli o Palermo», continua Cortopassi, poi si gira di scatto e mi guarda negli occhi. «Vede, come tutti i pensionati, prendo l’autobus. Io l’avevo detto anche a Marco Filippeschi, il sindaco precedente: montate sulla linea 5, quella che collega il Cep, Putignano, Riglione, tutte le zone rosse della mia Pisa. Montateci sopra e vedrete, vi accorgerete di cosa dice la gente. Il Pd ha vissuto troppo a lungo in una fortezza inespugnabile.»

Passiamo davanti al caffè Tirreno. Il centro del Cep è un po’ tutto qua. Ai tavolini, vecchi giocano a carte al bar e berciano a ogni briscola. «Ora, non è che la giunta uscente avesse fatto così male. Basta guardare le condizioni finanziarie del Comune, che ha un debito bassissimo e soldi che purtroppo non poteva e che neanche oggi può spendere a causa del patto di stabilità.» Dall’altra parte della strada, fuori dal tabacchino, un uomo sulla quarantina bello grosso, strizzato nella sua maglietta a maniche corte, scherza con i suoi amici, ride forte e bestemmia ogni tre parole. «Il voto del giugno 2018 non è susseguente a uno sfracello. È che si sono logorati i rapporti fra l’amministrazione e la popolazione. Si sono sommati effetti locali a effetti nazionali, ma l’amministrazione ci ha messo del suo. Non è che dovessero inventare chissà che cosa, bastava accorgersi di un malessere. Ma il Cep non è un quartiere malfamato, è uno dei migliori di Pisa, finisce dove inizia San Rossore. Qui è gente perbene, aveva solo bisogno di interlocutori che la rassicurassero per le nuove paure. È questo che si avverte fra le persone più fragili. La zona del Cep ha sofferto di malesseri nuovi.» È pomeriggio inoltrato, si avvicina quella che in quartieri più alla moda si direbbe l’ora dell’aperitivo. I bar si stanno già riempiendo, c’è chi ha una birra in mano, il guinzaglio del cane nell’altra. Sigarette accese. «La Lega a suo modo ha soddisfatto le richieste della gente, facendosi carico dei problemi di Pisa, dalla sicurezza all’immigrazione, allo spaccio. Sicuramente hanno interpretato il bisogno di una larga fascia della popolazione più popolare che il Pd non ha invece soddisfatto. A certe fasce popolari se il Pil aumenta dell’1,5 per cento non gliene frega niente perché non sentono niente. Al Cep ci sono pensionati minimi, qualcuno non ha neanche la pensione. Io glielo dicevo: montate sulla linea 5 e capirete. Alla fine non ci sono montati.»

A certe fasce popolari se il Pil aumenta dell’1,5 per cento non gliene frega niente perché non sentono niente. Al Cep ci sono pensionati minimi, qualcuno non ha neanche la pensione. Io glielo dicevo: montate sulla linea 5 e capirete. Alla fine non ci sono montati

Ci addentriamo in altre stradine tutte uguali, passiamo un piccolo parchetto dove i bambini si rincorrono sullo scivolo, tra i pini marittimi. Il Cep è tutta un’infilata monotona di edifici squadrati, un villaggio di case popolari che ricorda certi quartieri operai costruiti dai “padroni” delle fabbriche, o forse qualche piccolo centro balneare tirrenico pensato per le colonie. Solo che qua al Cep non ci sono fabbriche. E neanche il mare. «Un tempo», racconta Cortopassi mentre si sistema una scarpa, appoggiandosi al palo di un cartello stradale, «per i tossici c’erano i salesiani, che hanno fatto un grande lavoro. Oggi non ci sono più nemmeno loro. Vede, i cattolici si occupano degli uomini in vista dell’aldilà, la sinistra dall’Ottocento in poi si è sempre occupata degli uomini nella parte terrena. Ma se non ti occupi degli umili perché hai la puzza sotto il naso poi loro ti puniscono.» Passiamo davanti a una macelleria chiusa. Sembra chiusa da tempo, in realtà, dietro il vetro impolverato vedo gli scaffali quasi vuoti, così com’è sgombero il bancone. Forse ha venduto. Mi chiedo se al suo posto aprirà un’altra di quelle macellerie islamiche tanto odiate dai pisani. Cortopassi continua: «L’importante è come ti vede la gente. Se ti vede lontana, puoi anche essere nuovo ma non serve a niente. E il Pd era visto male e lontano, con una classe politica vecchia e distante dai problemi della gente. Quindi io capisco chi ha votato Lega e Cinque stelle: loro sono uguali alle persone che li hanno votati. La classe politica del Pd invece è una cosa esterna, per non dire estranea». Bastava poco, insiste Cortopassi. Invece nessuno ha voluto farsi carico della ristrutturazione della parte storica del Cep, «che ormai ha quasi settant’anni e fu fatto dal ministro democristiano Giuseppe Togni negli anni cinquanta. In Italia non cascano solo ponti, sa…».

È così, pezzo dopo pezzo, che s’è sfilacciato il rapporto fra popolazione e classe politica di centrosinistra. Basta farsi un giro da queste parti, per capire che a Pisa la classe dirigente ha avuto difficoltà a gestire le contraddizioni di una città che ha grandi eccellenze universitarie (Sant’Anna, Scuola normale superiore) e grandi fragilità che vanno a colpire i ceti medio-bassi e bassi. «I dati», mi ha scritto in un’email il nuovo assessore alle politiche sociali Gianna Gambaccini, «testimoniano l’elevata presenza nel territorio pisano di cittadini extracomunitari, peraltro appartenenti a fasce economiche piuttosto basse, in quanto aventi diritto alle case del patrimonio dell’edilizia popolare. Considerando che nell’attuale contesto storico numerosi cittadini italiani versano in condizioni di difficoltà economiche se non in grave indigenza, viene naturale pensare che molti extracomunitari risultino negativamente competitivi nei confronti della popolazione italiana indigente. Nessuno nega l’accoglienza quando si tratta di fasce di popolazione straniera che integrano e potenziano la nostra economia ma è veramente sempre più difficile pensare che l’attuale modello di accoglienza sia sostenibile in termini economici e sociali.» I numeri, nel dettaglio: secondo i dati del Comune gli assegnatari di alloggi erp (Edilizia Residenziale Pubblica) a Pisa sono 3120, di cui 2845 italiani e 275 fra comunitari ed extracomunitari. Nella graduatoria pubblicata nel 2018 i richiedenti sono 826, di cui 412 stranieri e 414 italiani. La Lega, sul tema, si è fatta sentire subito.

Basta farsi un giro da queste parti, per capire che a Pisa la classe dirigente ha avuto difficoltà a gestire le contraddizioni di una città che ha grandi eccellenze universitarie e grandi fragilità che vanno a colpire i ceti medio-bassi e bassi

A settembre è stato approvato dal consiglio comunale il nuovo regolamento per l’emergenza abitativa. La mail puntuale e assai scrupolosa dell’assessore Gambaccini passava a illustrare questo regolamento, che «prevede alcuni criteri canonici per l’accesso alle graduatorie come la morosità incolpevole, il riconoscimento della condizione di indigenza o la presenza di un portatore di handicap nel nucleo familiare. Noi abbiamo introdotto in più il criterio della storicità della residenza che prevede, in caso di parità di punteggio fra più soggetti, l’assegnazione di premialità ai nuclei familiari che sono residenti da più tempo nel Comune di Pisa. Come avevamo promesso in campagna elettorale abbiamo approvato un provvedimento che favorisce le famiglie italiane che troppo spesso in passato si sono viste scavalcare in graduatoria da un meccanismo che le penalizzava». Gianna Gambaccini è stata eletta con la nuova giunta di centrodestra, ma in passato aveva fatto parte dell’assemblea provinciale del Pd. Tuttavia, come ha spiegato sui social: «Siamo in tanti ad aver cambiato idea, per fortuna. Perché la sinistra dell’assistenzialismo a chi non rispetta le regole non ci rappresenta. Oggi fieramente rappresento la Lega ed i pisani, anche quelli traditi da questa sinistra con le magliette rosse ed i Rolex al polso, che di sinistra non ha più niente». Uno dei simboli di questo tradimento, secondo alcuni residenti, coinvolge proprio il Cep: la destinazione riservata all’ex Polveriera, dove adesso c’è un centro migranti gestito dalla Croce rossa, con gli ospiti stipati tra la struttura in muratura e alcuni container.

Ormai il sole è tramontato oltre le case in mattoncino, e Sergio Cortopassi mi saluta, avviandosi verso casa e una meritata cena. Mi accorgo di avere fame, così chiedo a un passante se lì intorno c’è qualcosa, una pizza al taglio oppure un kebab. La richiesta non era maliziosa, ma il tipo mi guarda un po’ di sottecchi. «No, no», risponde veloce, «qui non ce n’è di kebabbe. Devi andare verso il centro. Però se ti va bene anche il pollo arrosto c’è una rosticceria di velle bòne che il kebabbe te lo scordi.» E così, con una rosticceria sovranista, si chiude il mio primo soggiorno pisano.