Ecco i cinque motivi per cui Salvini è un fenomeno politico

Il ministro dell’interno è l’uomo del momento. Ha preso un partito al 4% che oggi vola tra il 32 e il 35%. Ma quali sono i motivi del suo successo? Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco di Youtrend provano a dare una risposta con un libro che uscirà il 28 febbraio

È inarrestabile. In cinque anni da segretario della Lega Matteo Salvini ha raggiunto il suo apice: ha preso un partito al 4% che oggi vola tra il 32 e il 35% nei sondaggi, ed è diventato il capo del centrodestra strappando la leadership a Silvio Berlusconi, uno abituato a bruciare i suoi “delfini”. Non è il presidente del Consiglio, ma di fatto è il leader del governo. Si occupa di tutto e, quasi sempre, si fa come dice lui anche se il suo alleato, il Movimento 5 stelle, ha preso il doppio dei suoi voti. Solo Berlusconi del 2001 e Matteo Renzi del 2014 hanno avuto più consenso. Ma la sensazione è che lui possa bruciare meno in fretta. Perché ha costruito la sua leadership in maniera graduale con una strategia seguita con disciplina che parte da molto lontano. E ora ne raccoglie tutti i frutti. Ma perché Salvini piace così tanto? Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, fondatori di Youtrend hanno cercato di dare una risposta curando il libro: “Fenomeno Salvini” (Castelvecchi), in libreria dal 28 febbraio con analisi di Salvatore Borghese, Martina Carone, Matteo Cavallaro e Davide Policastro. Ci sono voluti sei analisti per studiare e capire, partendo dai post, tweet e dichiarazioni, le ragioni di questo fenomeno. Abbiamo intervistato Diamanti, che collabora spesso con questo giornale, per cercare di capire concretamente come un consigliere comunale di Milano, in politica dal 1993, sia diventato un politico pop, il più amato d’Italia. E se questo fenomeno durerà nel tempo. Ecco i 5 motivi.

Primo: è un leader. Salvini ha tutte le caratteristiche del leader moderno: carismatico, efficace, pop. Comunica in modo disintermediato con i cittadini. «La sfiducia verso la vecchia politica ha portato i nuovi leader a cercare di comunicare direttamente con gli elettori senza mediazioni. E Salvini lo fa da persona normale, imperfetta. Questo lo rende eccezionale rispetto a tutti gli altri segretari», spiega Diamanti. «I partiti collettivi e di massa sono stati sostituiti dalla “partiti del capo”, come ha detto Fabio Bordignon, perché l’elettore medio non vuole più saperne del passato». La leadership di Salvini non viene discussa all’interno (non ci sono politici dentro la Lega che possono o vogliono sostituirlo) e dall’esterno. Il leader della Lega è un maestro della personalizzazione: dal 2013 al 2018 è sempre stato solo lui a rappresentare il partito in televisione. Perché non è un semplice leader, ma un capo. Anzi, un Capitano al quale affidarsi in tutto e per tutto. Non viene visto come il rappresentante di una generazione come Renzi o un ideale di imprenditore di successo, come Berlusconi. Salvini è Salvini: un leader umano, imperfetto, ma concreto. E per questo amato.

Secondo: ha incorniciato proposte di destra dentro la narrazione del buon senso. Salvini ha rivoluzionato il linguaggio della Lega, da sempre percepito come un partitto politicamente scorretto con degli esponenti abituati a frasi razziste o slogan machisti del tipo “Ce l’abbiamo duro”. Il ministro dell’Interno invece richiama costantemente i concetti di normalità e buon senso. Ha approfittato dello spostamento a destra del clima dell’opinione pubblicaitaliana per inserire temi anche radicali all’interno di una cornice di normalità. Descrive le sue decisioni come scelte che prenderebbe qualsiasi padre di famiglia, ma in realtà le sue proposte sono uno spostamento ideologico a destra della Lega. La narrazione di Salvini è quella di un Paese di buoni sentimenti, quasi bucolico alla “Pane amore è fantasia”. Una nazione normale, formata da una maggioranza silenziosa e tranquilla minacciata però da due nemici del quieto vivere: l’immigrazione e la microcriminalità. «I messaggi dei politici sono abiti su misura. Quello di Salvini funziona perché è coerente con la sua figura, la sua storia, con il resto delle proposte leghiste. Ovvero l’opposto di un altro politico di destra: Gianfranco Fini, che per decenni ha incarnato dei valori della destra MSI per poi incarnare il modello opposto e per questo ha perso credibilità», spiega Diamanti.

Salvini è all’apice ma il rischio che corre è quello di aver alzato troppo le aspettative. Oggi la Lega è data al 34% dei consensi. Se alle elezioni europee dovesse prendere anche solo il 29% sarebbe cosiderato un flop. Anche se si tratterebbe di un + 12% rispetto alle politiche


Giovanni Diamanti

Terzo: ha gestito in modo graduale la transizione da partito territoriale a movimento nazionale. Salvini ha trasformato un sindacato del Nord in un movimento nazionale competitivo anche in Abruzzo, Sardegna, Puglia e Umbria. Nessuno c’era mai riuscito prima. «Il cambiamento è stato coerente e graduale. Lo ha fatto senza creare traumi nella base e negli elettori, ma senza rinunciare alla propria anima». Il federalismo è diventato un tema marginale. Prima il centro decisionale e politico da combattere era «Roma ladrona», poi complice la crisi economica e il governo dei tecnici il nemico è diventato Bruxelles che minaccia la sovranità dei popoli italiani. Per questo si è passati dallo slogan di Maroni “Prima il Nord” a “Prima gli italiani”. Salvini parla di sardi, abruzzesi, liguri, siciliani come se citasse diversi popoli d’Italia che combattono con i padani contro l’Europa. «Salvini ha ripreso un tema tipico della destre europee: la retorica del recupero delle tradizioni. Non a caso il primo modello di Salvini è stato il Front National di Marine Le Pen, da sempre fonte d’ispirazione soprattutto per pescare le tematiche nazionali. Ma ora i ruoli sono invertiti ed è più la Le Pen che guarda Salvini come un modello perché lei non è mai arrivata un governo» chiarisce Diamanti.

Quarto: ha creato un nuovo brand per la Lega. In cinque anni la Lega ha cambiato leader, posizionamento, nome, logo e colore politico, abbandonando lo storico verde. Salvini ha fatto la sua rivoluzione in silenzio, programmando il nuovo progetto politico come il manager di un’azienda: elaborando una strategia nel lungo periodo e seguendo una stringente tabella di marcia. Senza bruciare alcuna tappa. «E l’ha fatto destrutturato la Lega a poco a poco. Prima ha creato Noi con Salvini, un soggetto politico civico per prendere voti anche sotto il Po. Poi ha sostituito il federalismo con problemi da risolvere: sicurezza, immigrazione, no all’euro (almeno inizialmente). Temi nazionali per un pubblico più ampio. Poi ha cambiato il colore del partito da verde a blu. E solo alla fine ha deciso di togliere “Nord” dal nome della Lega. Se avesse cambiato subito il nome non sarebbe risultato credibile, mentre così ha fatto digerire alla base a poco a poco tutti questi ambiamenti».

Quinto: è il migliore a usare i social network. «Non chiamatemi spin doctor: lo spin doctor di Salvini è Salvini stesso», spiega il responsabile della comunicazione della Lega, Luca Morisi, in una delle tre interviste contenute nel libro. E ha ragione. È dal 2012 che il leader della Lega usa con coerenza Facebook e Twitter in modo intenso, sopra le righe e disintermediato. Lo fa con testi brevi, brevissimi. Se vuole sbrodolare messaggi più lunghi c’è il video o la diretta Facebook. Il modo migliore per chiamare a raccolta la comunità e far sentire coinvolti i suoi follower. «Salvini è il re della disintermediazione. Non ha bisogno di giornali o uffici stampa. Lui posta e i mass media inseguono. Lo schema è semplice, sempre lo stesso e segue un acronimo: TRT. Ovvero televisione, rete (nel senso di social network) ed eventi sul territorio. Usa i social in maniera coinvolgente da uomo comune e imperfetto. Mescola post politici con momenti di vita quotidiana. Uno stile simile a quelli della sua età che usano i social. Salvini è pop ma a modo suo senza scimmiottare nessun altro».

Salvini è all’apice ma secondo Diamanti corre due rischi: «Alzare troppo le aspettative. Oggi la Lega è data al 34% dei consensi. Se alle elezioni europee dovesse prendere anche solo il 29% sarebbe cosiderato un flop. Anche se si tratterebbe di un + 12% rispetto alle politiche». Mentre il secondo problema è il “Paradigma di Icaro”. «Nella fast politics di oggi dove si cercano risposte nel breve termine per ottenere consenso, invece di politiche a lungo termine. In questo contesto è facile arrivare a stufare e perdere la propria aura», conclude Diamanti.

X