La vera autonomia? Non sprecare i soldi di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna

Da Monti a Lega e M5S, i vari governi parlano a vuoto di modello lombardo, veneto ed emiliano quando dovrebbero realizzare l'unica riforma sensata e senza costi: impedire che le risorse prodotte dalle tre regioni migliori d'italia siano usate per pensioni e assistenzialismo

L’insufficienza ed anzi la strumentalità del tardoregionalismo spacciato per federalismo si è disvelata: quello che sta per essere varato dall’ennesimo compromesso carioca è solo il passaggio da un centralismo romano ad un altro geograficamente più vicino che si riduce ad essere strumento di lotta di potere. E l’unica effettiva misura importante e cogente, l’adozione dei cosiddetti costi standard come riferimento per il controllo della spesa pubblica viene rinviata al mese del poi dell’anno del mai.

Non si capisce quali siano le “evidenze” che si vanno ancora cercando: non basta la constatazione, per fare un esempio, che con il sistema attuale 1 milione di euro stanziato nel bilancio dello Stato per il bus scolastico per disabili, passa di mano quattro volte, da Governo a Regione a Provincia a Comune a fornitore effettivo del servizio (vettore pubblico od onlus), è oggetto di almeno sedici delibere, si perde lungo la strada fra il 15% ed il 30%della somma stanziata per costi di procedura e, soprattutto, arriva a destinazione due anni e mezzo dopo nella migliore delle ipotesi? Non basta il buon senso per capire che, senza alcun onere per lo Stato o per i cittadini, basterebbe che quel famoso milione fosse incassato direttamente dai Comuni come quota Iva o Irpef e gestito con il bilancio comunale, arriverebbe senza decurtazione alcuna a pagare il servizio almeno entro l’anno scolastico (dell’efficienza interna delle amministrazioni comunali parleremo un’altra volta…) in corso e non in quello della laurea dell’ oggetto dell’azione di meritoria assistenza? L’ennesimo, ottimo studio sull’andamento delle autonomie preparato questa volta dalla Cna di Lombardia, Veneto ed Emilia, risquaderna dati e situazioni che incredibilmente vengono ignorati da anni: escludendo in toto la spesa sanitaria, le tre Regioni richiedenti autonomia sono le ultime tre per spesa pubblica in rapporto al Pil, attorno al 30%, mentre le prime tre ( Calabria, Molise e Sardegna) sono al 58% ; le stesse tre Regioni hanno subito tagli da manovra fiscale dal 2008 al 2017 per 2,3 miliardi all’anno, mentre tutte le altre insieme per 4,6.

La maggioranza gialloverde trasferisce risorse dagli investimenti all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza e dal lavoro alle pensioni. Ovvero usano le risorse in eccesso delle tre regioni più produttive d’Italia (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) per perpetuare le inefficienze del sistema

Le tre Regioni hanno una caratteristica peculiare, tra le altre : sono le tre aree italiane che producono la quota di export maggiore e le uniche comparabili con la produttività delle altre Regioni europee. La Lombardia è con 121 miliardi di export la quarta in assoluto in Europa ( meglio solo Baden Wurttenberg, Baviera e Vestfalia ), mentre Emilia e Veneto sono molto più indietro in valore assoluto con una sessantina di miliardi a testa, ma nelle posizioni apicali per rapporto per abitante ( Emilia è sesta in Europa) e percentuale su Pil ( Veneto è ottavo ed Emilia decima ). Tutti questi dati confortanti si accompagnano ad altri che indicano come le tre Regioni godano di una spinta pubblica, sia spesa che investimenti, molto più bassa delle Regioni concorrenti: il 6,3 su Pil della Lombardia si scontra con un 10,6 della ricca Vestfalia, con una media dei Lander tedeschi dell’ 11 %, delle Comunità spagnole del 14% .

Ma quello che è peggio che la media italiana del “sostegno” pubblico al Pil regionale è in linea con la media tedesca, francese e spagnola, attestandosi sul 10, 3% : non è difficile capire come lo spaventoso squilibrio di investimenti e spesa pubblica nelle altre 17 Regioni (tra il 15 ed il 25% sul Pil locale) non solo è molto poco utile e produttivo (considerando il solo parametro dell’export, le tre regioni fanno quasi l’80% del totale nazionale), ma sta progressivamente e rapidamente zavorrando la competitività delle tre Regioni leader. Infatti negli ultimi cinque anni la quota di investimenti regionali è precipitata: la Lombardia, che resta leader in valore assoluto, nel 2017 ha messo in campo una ridicola quota di 119 milioni su quasi 2,5 miliardi di totale di bilancio regionale. I Lander tedeschi o le Comunidad spagnole gestiscono gran parte dell’investimento pubblico di Germania e Spagna e sono state in grado di attutire e supplire alle carenze dei Governi nazionali (si pensi alla Germania, che continua a crescere e gestire la propria economia, nella quasi assenza di un Governo nazionale guidato dalla cancelliera al tramonto) e ad accrescere la competitività del territorio.

Gli interessi del mondo produttivo e pragmatico del Nord devono trovare rapidamente una loro rappresentanza e questa non può essere all’interno delle compagini nazionali presenti o morenti.

Immemori di quanto diceva Olof Palme ( “tosare la pecora senza ucciderla, anche quando si parla di capitalismo”), i Governi centralisti e ministerialisti, in totale continuità da Monti ai “carioca” odierni, dedicano parole a vuoto ai vari modelli Milano, del Nord, emiliano che dir si voglia e continuano a disinteressarsi dell’unica riforma che potrebbero realizzare senza costi: mettere in grado il Nord di recuperare efficienza e produttività senza alterare più di tanto la ripartizione della spesa pubblica con il Sud, ma cessando di permettere che le ulteriori risorse recuperate con la produttività vadano a perpetuare le inefficienze del sistema.

Con una maggioranza che trasferisce risorse dagli investimenti ovunque localizzati all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza e dal lavoro alle pensioni ed il maggior partito residuo di opposizione che sta pericolosamente trovando unità intorno alle lamentazioni stucchevoli e datate dei parlamentari campani del pd o dell’ex turborenziano di Palermo Faraone, tutti intenti a strillare contro la “secessione dei ricchi” (denunciata peraltro dai percettori dei più alti stipendi e vitalizi pubblici d’Italia come i magistrati della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato e gli alti burocrati ministeriali) c’è poco da sperare. Gli interessi del mondo produttivo e pragmatico del Nord devono trovare rapidamente una loro rappresentanza e questa non può essere all’interno delle compagini nazionali presenti o morenti. Il federalismo politico, italiano ed europeo, precede e non segue quello istituzionale.