Il 24 luglio scorso, sotto il sole splendente estivo, il Consiglio Comunale di Milano approvava all’unanimità, al termine di una bella ed ampia discussione, una mozione con la quale invitava il sindaco Sala “ad esperire,congiuntamente con la Regione Lombardia, la possibilità concreta di un negoziato con il Governo sulle competenze e sugli equilibri istituzionali” ricollegandosi direttamente alla iniziativa già in essere della Regione Lombardia ex art 116 della Costituzione. Seguiva elenco dettagliato dei possibili obiettivi comuni, dalla gestione delle risorse comunali alla semplificazione procedurale ed istituzionale.
Si era inaugurata, allora, una stagione di collaborazione istituzionale tra enti a maggioranza diversa e rovesciata, sulla scia dell’esperienza istituzionale di Expo, che ha portato alcuni risultati molto visibili e concreti, quali la candidatura di Milano e Cortina per i Giochi invernali, il varo ed il finanziamento del prolungamento della metropolitana da Sesto a Monza ed all’avvio di diversi tavoli di discussione e progetto sul trasporto pubblico, sulla gestione delle case popolari, dei progetti post expo, delle università.
Meno di sei mesi dopo, il 1 febbraio, sotto una delle ormai rare nevicate milanesi, il sindaco Sala con un articolo sulla stampa cittadina, immediatamente sottoscritto da un centinaio di sindaci lombardi, rendeva esplicita la rottura clamorosa del “patto di luglio”, individuando nell’autonomia regionale che si sta delineando non più una opportunità di crescita della rappresentatività del territorio, ma solo uno spostamento del centralismo, rafforzato su scala regionale in funzione anti città metropolitana e comune di Milano.
Non è difficile capire cosa sia successo: i partiti “nazionali” al Governo o nei pressi, Lega per Salvini, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, che vedono come il fumo negli occhi qualsiasi rafforzamento della rappresentatività politica ed istituzionale della Lombardia e di Milano, al fine di stroncare sul nascere una pericolosa novità politica passante da un nuovo ordinamento istituzionale di fatto, hanno usato le leve del diritto e delle formalità spagnolesche per riattizzare un clima di rissa fra partiti in funzione elettorale.
Lo hanno fatto costruendo da un lato una finanziaria totalmente “punitiva” nei confronti dei grandi Comuni, che non sono governati dalla Lega, trasferendo nelle mani delle Regioni risorse e poteri da esercitare come signoria feudale; dall’altro utilizzando i “peones”, consiglieri comunali e regionali del centrodestra, che hanno spinto la maggioranza consiliare regionale di fatto a sconfessare l’operato della sua stessa Giunta sul tema della tariffa integrata metropolitana e aumento della tariffa urbana del trasporto pubblico, un progetto sul quale Comune e Regione lavoravano assieme da mesi e per di più è opera dell’ Agenzia del trasporto pubblico locale regionale!
Non è difficile capire cosa sia successo: i partiti “nazionali” al Governo che vedono come il fumo negli occhi qualsiasi rafforzamento della rappresentatività politica ed istituzionale della Lombardia e di Milano hanno usato le leve del diritto e delle formalità spagnolesche per riattizzare un clima di rissa fra partiti in funzione elettorale
L’ingresso in campo del ministro Salvini, dall’alto della sua competenza specifica derivante da quasi trenta anni di consiglio comunale milanese con punte di assenteismo oltre il 95% ed un numero di interventi totali che non arrivano a dieci in dieci anni, ha definitivamente messo nell’angolo gli amministratori leghisti locali ed il presidente Fontana, rinviando ogni loro velleità al post elezioni europee. Un nuovo fallimento, quindi, dopo quelli condotti a parti rovesciate e con il governo a guida Pd: il governatore Fontana non ha potuto o saputo, nel confronto virtuale con il suo referente nazionale, fare meglio dei sindaci democratici o di sinistra civica nei confronti dell’ipercentralista governo Renzi.
Si verifica ancora una volta l’impossibilità di avere un rapporto utile e duraturo fra territori e centro nazionale all’interno di una stessa formazione politica guidata dal principio della subordinazione gerarchica dei territori al centro romano ( tale è ormai a tutti gli effetti la Lega di Salvini ). La differenza fra chi vede l’autonomia come una modifica del regionalismo,un sistema di distribuzione del potere fra venti regioni di dimensioni fra loro diversissime e chi, come chi scrive, intende l’autonomia come la nuova organizzazione istituzionale e funzionale di un territorio omogeneo e quindi di non più di cinque nuove grandi Macroregioni, non può più essere annullata in partiti e movimenti di questo tipo.
Lo storico dilemma su Milano-città Regione, per parlare di un tema di nuovo all’ordine del giorno, non ha trovato e non troverà soluzione nei palazzi romani, ma, come è stato anche in un recente passato, dovrà trovarlo nelle brughiere che circondano Malpensa, sul cantiere di Arexpo, lungo le rive del Seveso inquinato e irrequieto: in una parola, nel pragmatismo milanese e lombardo applicato alla politica ed ai progetti sul campo e non sulla carta .
Alleanza civica per il Nord nasce per rispondere alla domanda inevasa di formazioni politiche in grado di discutere e rendere conto ai cittadini ed alle istituzioni del territorio delle scelte, senza rifugiarsi o essere tifoseria in un ormai sterile conflitto fra burocrazie ovunque esse si trovino. La speranza è ovviamente quella innescare un cambiamento positivo orientato in tal senso in tutte le parti politiche, centrosinistra in primis, spingendoli a “resistere” alla facile tentazione di schierarsi a difesa di interessi e clientele che si nascondono, vecchie fra vecchi schemi, dietro le chiamate “nazionali” o pelosamente “solidali” di chi paventa il cambiamento come “disastro peggiore del disastro attuale”, senza peraltro fornire nulla di diverso dalle politiche fallimentari del passato. L’autonomia territoriale e federale, per essere un obiettivo credibile, oltre al potere fiscale e decisionale, ha bisogno di partiti, movimenti, esponenti politici che siano, come diceva un fortunato slogan della defunta Lega Nord, “padroni a casa (politica) propria” e non di Presidenti, assessori e consiglieri con l’auricolare fisso su una emittente romana. Anche se parla con accento della Bovisa.
*Presidente di Alleanza Civica per il Nord