Prima Amatrice, poi Accumoli, infine Arquata del Tronto. Era l’11 giugno quando il premier Giuseppe Conte, nella sua prima visita ufficiale, decideva di recarsi dalle popolazioni terremotate del centro Italia per manifestare la vicinanza del governo gialloverde. «Non vi aspettate magie, non effetti speciali, ma cose concrete. Dobbiamo essere concreti», disse in quella circostanza. Ma, a distanza di otto mesi da allora e a ben due anni e mezzo da quel tragico sisma, di cose concrete se ne sono viste ben poche: «Ricostruzione? Semplicemente non c’è, non esiste», racconta Alice. Vive ad Arquata del Tronto. Aveva un’azienda agricola. «Noi dobbiamo demolire e ricostruire tutto, sia per quanto riguarda la nostra casa che l’azienda», racconta a Linkiesta. Per il momento, però, nulla si muove: «Siamo ancora in attesa di risposta per quanto riguarda lo stato del danno: ci devono in pratica confermare quanto è stato evidenziato durante i primi sopralluoghi». Tutto fermo, dunque. Per le ragioni più impensabili: «L’ultima volta che siamo andati all’Ufficio Ricostruzioni delle Marche – spiega ancora Alice – ci hanno detto che, poiché non sono stati rinnovati i contratti per il personale, probabilmente la mia pratica ora è seguita da un’altra persona e quindi bisogna ricominciare tutto daccapo. È evidente che questi continui cambi di personale rallentano un bel po’ i lavori».
Ma non accade solo negli uffici preposti alla ricostruzione, ma anche con le ditte e le aziende impegnate sul campo, tra moduli abitativi e progetti che non partono. La colpa sarebbe imputabile al Decreto Dignità, fortemente voluto dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. La denuncia arriva da Beatrice Brignone: «La lentezza della ricostruzione post terremoto – spiega la segretaria di Possibile – va attribuita in gran parte a un provvedimento scritto male e che sta producendo effetti devastanti, rendendo impossibile una programmazione seria. I lavoratori non hanno certezze e stabilità in una condizione precaria esasperante: dopo 24 mesi c’è un eccessivo ricambio, a causa dei mancati rinnovi contrattuali». Esattamente quanto conferma Giulio, operaio romano che lavora nella zona del reatino: «Mi occupo dei lavori all’interno dei moduli abitativi. Dopo l’approvazione del decreto, la ditta ci ha detto chiaramente che non ci terranno a lungo come avrebbero casomai voluto, perché la legge non glielo consente». Il rischio, insomma, è che si verifichi una perenne carenza degli organici, con il personale che viene formato per poi essere sostituito, in un circuito vizioso senza fine. «L’esatto contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno: ai 10 anni per la ricostruzione, promessi da Salvini, bisognerà aggiungerne altri 10 almeno se questa è la strada», denuncia la Brignone, una delle poche che sta seguendo la ricostruzione lontano dai riflettori.
Con le risorse a disposizione riusciamo a fare 30 decreti a settimana, circa 1.500 all’anno. Quindi la proiezione solo per dare il via libera a tutti gli interventi necessari per la ricostruzione, ad oggi, è di ben 20 anni.
Quanto vissuto ancora da Alice, lascia capire il caos burocratico in cui si è immersi: «La macelleria aziendale è lesionata da agosto 2016, come la casa. Da settembre 2016 ci appoggiamo in un altro laboratorio per lavorare la carne. Ci hanno dato un modulo provvisorio, arrivato a ottobre 2017, per l’azienda agricola, solo che si sono dimenticati di mettere la cella frigorifera». Alice, ovviamente, chiede spiegazioni e le dicono che per la cella avrebbe dovuto fare una richiesta a parte. «Il problema è che l’ordinanza per fare domanda, e dunque per chiedere di avere il modulo completo, scadeva a dicembre. All’Ufficio Ricostruzione sono andati per le lunghe, ma ci hanno detto che non ci sarebbe stato problema perché per il nostro caso faceva riferimento la data in cui avevamo chiesto il modulo e non quella per l’aggiunta della cella frigorifera, che era solo un’integrazione». Alice, dunque, presenta la domanda dopo la scadenza dei termini: «Ce l’hanno bocciata. Oggi c’è un modulo, costato circa 30mila euro alle casse pubbliche, assolutamente inutilizzato perché inutile».
E non è un caso che la stima della segretaria di Possibile sui tempi della ricostruzione trovi conferma nelle parole del dottor Cesare Spuri, direttore dell’Ufficio Speciale per la Ricostruzione (Usr) delle Marche, che in più occasioni ha denunciato lo stato dell’arte, numeri alla mano: «Con le risorse a disposizione riusciamo a fare 30 decreti a settimana e, dunque, a dare soldi e il consenso all’apertura del cantiere. Sono 120 in un mese. Dunque, circa 1.500 all’anno. Quindi la proiezione solo per dare il via libera a tutti gli interventi necessari per la ricostruzione, ad oggi, è di ben 20 anni». Il doppio di quanto si continua a dire.
Ci sono esposti per capolarato e uso di materiale non a norma nei cantieri post sisma. Per due volte in pochi mesi l’Anac ha denunciato pochi controll. Eppure c’è chi pensa che i controlli siano addirittura troppi: a dirlo pochi giorni fa è stato Vito Crimi in visita in Umbria.
Ma i problemi non finiscono qui, come sottolinea anche la Cgil. «Da più di un anno – spiega il segretario generale del sindacato a Macerata, Daniel Taddei – denunciamo quello che avviene nei cantieri post-sisma. Dai nostri esposti sono stati aperti diversi fascicoli per caporalato, sfruttamento, operai clandestini, utilizzo di materiale non a norma, contratti non applicati, ditte che lavorano senza certificati antimafia». Ma le irregolarità potrebbero presto aumentare, secondo Taddei. E, questa volta, a causa del Decreto Sicurezza, provvedimento simbolo di Matteo Salvini: «Crea maggiore clandestinità con l’abolizione dei permessi umanitari. Ed è un pericolo considerando che noi abbiamo documentato come nei cantieri della ricostruzione siano stati impiegati molto spesso lavoratori clandestini pagati poi con un tozzo di pane».
Tale situazione, già di per sé critica, è acuita dall’assenza di controlli sul campo, come del resto emerso anche dalle denunce dell’Anac che per ben due volte a distanza di pochi mesi ha inviata segnalazioni alla Procura di Ancona. Eppure c’è chi pensa che i controlli siano addirittura troppi: a dirlo pochi giorni fa è stato Vito Crimi in visita in Umbria. «Serve una semplificazione sulle procedure di gara e sui danni lievi. Semplificare può anche dire abbassare la guardia», ha detto il sottosegretario con delega alla ricostruzione. «È una frase vergognosa – commenta Taddei – La guardia già non è alta o comunque non sempre all’altezza. Se la politica lancia messaggi del genere, fa solo arrabbiare la popolazione colpita dal terremoto ulteriormente presa in giro. E dall’altra parte c’è chi, mafie in primis, potrebbe recepire un messaggio sbagliato».
Tra tempi che si allungano, rischio infiltrazioni e annunci-spot della politica puntualmente non seguiti dai fatti, resta chi ancora vive nelle Sae (Soluzioni Abitative in Emergenza), le famose casette. Peccato che gran parte di queste siano state nel frattempo infestate da muffe tossiche. A denunciarlo è stato il comitato Terre in Moto Marche, lamentando che gli abitanti delle casette «ancora una volta» hanno dovuto attivarsi per «verificare le condizioni di salubrità delle Sae e contattare a proprie spese un laboratorio privato». Il comitato ha diramato una copia del risultato delle analisi, che evidenzia la presenza di aspergillus flavus e aspergillus niger, funghi potenzialmente tossici o portatori di infezioni, nelle muffe. In questi giorni si parla «molto di appalti e di lavoratori non in regola delle Sae» rileva il comitato, ma «da mesi centinaia di persone sono costrette a vivere in casette che presentano evidenti problemi strutturali con muffe e funghi che dopo i lavori di ripristino puntualmente si sono ripresentate. Ci saremmo aspettati che chi di dovere avesse verificato in maniera celere e puntuale la salubrità delle Sae». E, invece, nulla di tutto questo: «Al di là degli annunci – continua ancora la Brignone – il governo non ha fatto nulla di concreto per dare risposte ai terremotati». Che si ritrovano in una condizione di assoluta incertezza: «E, credimi – ci dice, rabbiosa, Alice – non avere neanche un’idea di quanto possa partire e poi terminare la ricostruzione, è davvero snervante».