#FridaysForFutureL’Italia è il laboratorio della sostenibilità in Europa. E il 15 marzo deve far sentire la sua voce

Lo sciopero per il clima del 15 marzo è un’opportunità per l’Unione di trovare una nuova missione, e al contempo di smarcarsi da un’immagine fatta solo di bilanci e burocrati. Per questo deve abbracciarne la causa. Guardando anche all’Italia, un ottimo esempio in termini di sostenibilità

Klaus-Dietmar Gabbert / dpa / AFP

Joseph Conrad, con un notevole understatement, scrisse a proposito del naufragio del Titanic: ”A quanto pare esiste un punto il cui il progresso, per essere un vero avanzamento, deve variare leggermente la sua linea di direzione… ”. Una considerazione che vale per la sfida di affrontare i mutamenti climatici, con i conseguenti cambiamenti dell’economia e della società. E vale per l’Europa, che non può che esserne protagonista. Non solo per motivi oggettivi: siamo, anche dopo la Brexit, un’area in cui vivono 450 milioni di cittadini e uno dei tre giganti dell’economia mondiale. Senza di noi non è possibile cambiare. Del resto, senza la volontà e la determinazione dell’Europa, il Protocollo di Kyoto sarebbe rimasto lettera morta e gli accordi della COP21 di Parigi non avrebbero visto la luce. Proprio in questa sfida l’Unione Europea, può oggi trovare una nuova missione in grado di mobilitare comunità, intelligenze, passioni. Un’occasione per cambiare la propria rotta. Superando l’immagine di un’Unione fatta solo di finanza, banche, politiche di bilancio. Le manifestazioni per il Climate Strike del 15 marzo sono un’occasione importante perché questa Europa batta un colpo.

C’è bisogno dunque di più Europa: delle sue risorse tecnologiche, economiche, civili e morali per percorrere la rotta giusta. E di più Italia, con tutto quello che questo significa, per rafforzare la prospettiva di un’economia più a misura d’uomo e per questo in grado affrontare il futuro.

Come da 9 anni racconta il rapporto GreenItaly (realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere), in Italia questo cammino incrocia strade che arrivano dal passato e che ci parlano di una spinta alla qualità, all’efficienza, all’innovazione, alla bellezza. Una sintonia tra identità e istanze del futuro, che negli anni bui della crisi è diventata una reazione di sistema, una sorta di missione produttiva indicata dal basso, spesso senza incentivi pubblici, da una quota rilevante delle nostre imprese. Sono oltre 345.000 le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2014-2017, o prevedevano di farlo entro la fine del 2018 (nell’arco, dunque, complessivamente di un quinquennio) in prodotti e tecnologie green. In pratica una su quattro, il 24,9% dell’intera imprenditoria extra-agricola. E nel manifatturiero sono quasi una su tre (30,7%): la green economy è, per una parte importante delle nostre imprese, un’occasione colta. Queste imprese innovano di più, crescono di più, esportano di più, creano più posti di lavoro. Nel 2018, secondo i dati di Unioncamere, era presente una domanda di green jobs pari a 474.000 contratti attivati.

Queste imprese, incluse le PMI (anche se il loro contributo è spesso sottostimato a causa della difficoltà di tracciare gli investimenti green nelle aziende meno strutturate) hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale verso una leadership europea nelle performance ambientali. Leadership che fa il paio coi nostri primati internazionali nella competitività.

Essendo un Paese povero di materie prime, l’efficienza per noi è stata una necessità prima ancora che una virtù. Filiere come quella dei rottami di Brescia, degli stracci di Prato, delle cartiere della Lucchesia non sono figlie di leggi, ma della nostra antropologia produttiva e culturale. Ed oggi sono un passaporto per un futuro più sostenibile

Nel campo dell’economia circolare, ad esempio, siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali, etc.). Con il 76.9% di rifiuti avviati a riciclo l’Italia presenta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea (36%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei: la Francia è al 55%, il Regno Unito al 49%, la Germania al 43%. Siamo, insieme alla Germania, il Paese leader europeo in termini di quantità di materie seconde riciclate nell’industria manifatturiera: e questa sostituzione di materia nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO2. Essendo un Paese povero di materie prime, l’efficienza per noi è stata una necessità prima ancora che una virtù. Filiere come quella dei rottami di Brescia, degli stracci di Prato, delle cartiere della Lucchesia non sono figlie di leggi, ma della nostra antropologia produttiva e culturale. Ed oggi sono un passaporto per un futuro più sostenibile.

I nostri cromosomi produttivi, legati alla nostra cultura, alla capacità di produrre come diceva Cipolla, “all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, ci descrivono molti altri punti di forza, che spesso incrociano riduzione di consumi di energia ed emissioni di CO2 proprio nei settori in cui la nostra economia è più competitiva. Dalle macchine agricole, alle giostre, alle piastrelle, al settore del legno-arredo, dove siamo il primo paese per export extra-UE. Anche perché più avanzati nella sostenibilità. Possiamo portare un grande contributo all’Europa nel suo impegno ambientale. L’Europa deve percepire questa scelta, assieme agli altri cambiamenti necessari, come la strada maestra per recuperare consenso, carisma, forza al suo interno e nel mondo. Non possiamo permetterci altre incertezza e perdite.

Penso all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la cosiddetta Brexit. Nel 2017 è uscito è uscito l’”Ora più buia”, un bel film che è valso l’Oscar a Gary Oldman per la sua interpretazione di Winston Churchill. Si narra un passaggio fondamentale della storia europea e mondiale, quando la Gran Bretagna fu chiamata a scegliere tra cedere ad Adolf Hitler o la prosecuzione di una guerra per molti senza speranza. Un discusso leader conservatore, certamente non un figlio dei fiori, seppe orientare la tempra degli inglesi verso una decisione, che non so se altri popoli europei avrebbero avuto il coraggio di compiere. Gli dobbiamo molto. Oggi siamo chiamati a scelte importanti per il nostro futuro. Un grande regista americano di origini italiane, Frank Capra, ha detto “I dilettanti giocano per divertirsi quando fa bel tempo. I professionisti giocano per vincere in mezzo alla tempesta”. La scelta oggi di puntare sull’Europa anche per combattere i mutamenti climatici e costruire una nuova economia, mentre infuria la tempesta, richiede le nostre migliori qualità. E non possiamo che farla per vincere.

X