Che il motto di questo governo sia «Governiamo con gli annunci; governare con i fatti richiede troppo sforzo» è chiaro da un pezzo. Occorre però ammettere che il vicepremier Matteo Salvini sta oramai superando se stesso. Mentre è occupato a sostituirsi alla magistratura ordinaria, invitando via Twitter ad arrestare quelli che a lui serve chiamare “delinquenti” – Trump lo fa da due anni e l’ex leoncavallino non vuole sentirsi di meno – il leader del fancazzismo nazionale ha anche annunciato che molto presto verrà introdotta la «flat-tax per le famiglie». Con questa espressione intende riferirsi all’estensione, al complesso dei lavoratori dipendenti, dei vantaggi fiscali che la Legge Finanziaria 2019 ha introdotto per commercianti, liberi professionisti e partite Iva con fatturato inferiore ai 65mila euro.
Meglio astenersi da ogni commento sui numeri: l’esperienza ci ha insegnato che i provvedimenti di questo governo (anche dei precedenti, a dire il vero) si trasformano nel tempo e, quando vengono attuati, raramente assomigliano a quello che era stato inizialmente annunciato da uno dei due vicepremier. Siccome succederà lo stesso anche in questo caso, sembra inutile ora dibattere se il buco di bilancio sarà di 12 miliardi, come Salvini e i suoi sostengono, o di 60 miliardi come da stime del Mef e di altri osservatori. Esso sarà, se sarà, quel che a Salvini sembrerà sufficientemente utile elettoralmente, sotto il vincolo di evitare l’esplosione di una crisi del debito pubblico italiano.
Asteniamoci anche dall’ovvia valutazione politica. Con le elezioni europee in arrivo, pochi migranti da perseguitare e la mini (per ora) recessione in corso, il segnale proveniente dalla Slovacchia non può non preoccupare Salvini. Ha quindi pensato di tirar fuori dal cassetto la panzana della flat-tax per agitarla nei prossimi due mesi davanti agli occhi degli elettori del centro-nord. La dichiarazione salviniana ha già sortito parte dell’effetto desiderato: svariati esponenti pentastellati si sono affrettati a dichiarare che la flat-tax non si può fare perché incompatibile con altre spese, a loro maggiormente care, le quali dovrebbero servire a «sostenere le famiglie». Esattamente quello che Salvini voleva sentirsi dire, ma su questo ha già scritto ieri – forse esagerando un pochino il death-wish salviniano – Francesco Cancellato.
Quello che è invece opportuno sottolineare è il modello economico che la Lega propone, con sempre maggiore chiarezza, ai suoi elettori. Annuncio dopo annuncio esso appare sempre di più una riedizione in chiave social-nazionalista – invertiamo l’ordine degli addendi, per non spaventare nessuno – della voodoo economics che portò fortuna (elettorale) a Ronald Reagan e iniziò il ritorno in grande stile, nella politica USA, del deficit di bilacio permanente. Ovvero: spesa pubblica in crescita e tagli fiscali mirati ai gruppi di elettori che si pensa di poter così conquistare. Solo che, quando Reagan diede la stura a quell’operazione, il rapporto debito/PIL negli USA era al 30% (ora ha superato il 100%) mentre quello italiano viaggia da tempo sopra il 130%. Niente assicura che il giochetto possa funzionare anche nel nostro Paese, ma, al momento, questo non sembra preoccupare il nostro ministro dell’Interno.
Quello che è invece opportuno sottolineare è il modello economico che la Lega propone, con sempre maggiore chiarezza, ai suoi elettori. Annuncio dopo annunco esso appare sempre di più una riedizione. in chiave social-nazionalista – invertiamo l’ordine degli addendi, per non spaventare nessuno – della voodoo economics che portò fortuna (elettorale) a Ronald Reagan
Detto giochetto, alla fine, è banale. Consiste nel mettere insieme il peggio del populismo italiano di destra e di sinistra, confermando così che il partito guidato da Salvini intende diventare quello che Matteo Renzi aveva annunciato di voler fare ma non riuscì a realizzare: il partito della Nazione. Il partito della Nazione non intende tagliare la spesa pubblica di un singolo euro – anzi ha spinto (con il provvedimento noto come “quota 100”) per un suo aumento sostanziale negli anni a venire – sottoscrivendo quindi il messaggio del keynesismo bastardo che da sempre predica l’esistenza di una relazione causale fra spesa pubblica assistenziale e crescita economica. Un tema questo che, dagli anni ’70 in poi, si tende ad associare ad una posizione di “sinistra” ma che non è difficile incontrare sia nelle teorizzazioni economiche del non così lontano ventennio, sia nelle confuse elucrubrazioni della “destra sociale anticapitalista” riemersa negli ultimi anni.
A questa, oramai generalizzata, ossessione italiana con la spesa pubblica assistenziale per tutti, Salvini ha astutamente aggiunto il messaggio “reaganiano” dell’effetto prodigioso che una riduzione delle imposte dirette sul reddito delle famiglie avrebbe sull’offerta di lavoro e, di conseguenza, il prodotto interno lordo. La magica “curva di Laffer”, bandiera economica della destra populista, si sposa con la spesa pubblica assistenziale “keynesiana”, stendardo economico della sinistra populista, e più nessuno ha alcunché da ridire.
Fatto salvo il debito pubblico il quale, per forza dell’algebra, non potrà che aumentare senza limiti. Ma questo non è un problema per gli alfieri della Lega della Nazione italiana per due “ovvie” ragioni che ci vengono spiegate quotidianamente nei talk show televisivi. L’aumento della spesa pubblica e la riduzione del carico fiscale generano potenti “moltiplicatori” – dal lato della domanda, la prima, e dal lato dell’offerta di lavoro la seconda – i quali faranno magicamente crescere il PIL italiano rendendo il debito pubblico perfettamente sostenibile. E se – per quel destino cinico e baro che troppo spesso si fa beffe dello stellone nazionale – il PIL non dovesse decollare potremmo sempre “monetizzare” il debito andandocene dall’euro e recuperando con la lira, la nostra sovranità monetaria. Sta tutto qui il programma di rinnovamento che la Lega della Nazione propone al popolo italiano: pane e companatico per tutti. Buon appetito, italiani.