GuardoniGiù le mani (e i cellulari) da Giulia Sarti. E voi, falsi moralisti, smettete di indignarvi per finta

Solidarietà assoluta a Giulia Sarti, investita, dopo il caso di rimborsopoli, dal caso delle sue foto intime diffuse tra i giornalisti. Vere o fake che siano, la sua intimità deve rimanere sua. Perfino di fronte ad un’evidente vendetta, ed anche al moralismo di chi si indegna per finta

Giù le mani da Giulia Sarti! Chiunque sia stato, e ancora, e soprattutto, allontanate i cellulari da lei, ora e sempre da Giulia Sarti! Che le immagini della sua vita intima, vere o semplici fake, restino soltanto, unicamente, personali, perfino adesso che qualcuno, un delinquente, ha voluto girarle al mondo, agli occhi delle cose pubbliche. Solidarietà ferma e assoluta a Giulia Sarti, insieme a un invito a rifiutare anche ora ogni forma di ipocrita vergogna, anzi, a difendere semmai la propria libido, sì, non c’è davvero altra parola per amore di chiarezza in questo caso. E questo ben al di là della credibilità, attendibilità, veridicità d’ogni foto.

Già, se solo in certi momenti del giorno, potessimo scostare con le nostre stesse mani le facciate delle case, mettendo gli occhi dentro gli appartamenti, di immagini assimilabili alle sue, vere o presunte, se non identiche, ne troveremmo a decine, e sarebbe cosa abituale, quotidiano erotico, sessuale comune al mondo. Piccolo cinema digitale artigianale, se così possiamo dire, cinema erotico auto-esibizionistico, destinato, in verità, oltre ogni intento privato, a restare assolutamente segreto, così da rivedersi e intanto, la mano in fronte, dirsi: come siamo venuti bene, come siamo venuti male, però è stato bello, mai più, anzi, no, domani lo rifacciamo, che ne dici? Vere o false che siano le immagini attribuite alla sua persona.

Giù le mani da Giulia Sarti. E che ogni misera morbosità sia, quella sì, censurata. Tutte cose che, volendo fare un po’ di storia del costume cosiddetto “pornografico”, sembrano rimandare alle pulsioni di chi, nottetempo, in epoca di frustrazioni sovrane, si faceva acquirente o maestro d’Autoscatto. Dove? In una pessima storia che suggerisce, sempre nella prospettiva del guardone, la vittoria del dilettantismo su ogni possibile professionalità, nel senso che, una volta divenute di dominio quasi pubblico, certe immagini, se messe lì per uno spareggio, sono destinate a furoreggiare sulle altre, e questo proprio per la loro regia domestica, le luci approssimative, il quid di verità: tra un video di una presunta Giulia Sarti e un video di Valentina Nappi, dai, cosa scegliereste? Sinceri, per cortesia. E qui la risposta, da parte di molti, arriverebbe immediata, sceglierebbero la verità, il neo realismo sessuale rubato volontariamente e reso pubblico da qualcuno, con intento delinquenziale, foto e video completi. Fake o meno.

Che il suo privato intimo, la sua doverosa verve sessuale di ragazza, di trentenne, resti soltanto suo patrimonio esclusivo, perfino adesso che i buoi sono scappati dal recinto grazie alla regia cinica di chi ha ordito l’intera azione, presumibile vendetta che potrebbe assomigliare, anzi, configurarsi addirittura come una sorta di ricatto, meschina prassi mafiosa che sembra nascondere un “adesso te lo facciamo vedere noi di cosa siamo capaci!” Vere o false che siano quelle foto

Da un certo momento in poi, anzi, nel momento in cui Paolo Mieli, ospite di Lilli Gruber a “Otto e mezzo“ su La7, nel momento stesso in cui proprio il compunto Mieli, ha dichiarato testualmente di avere ricevuto le immagini sul suo cellulare, l’intera questione è diventata extra-politica, e importa poco, riflesso assolutamente secondario, interrogarsi su quanto l’insieme della storia abbia a che fare con gli splendori, di più, con le miserie interni al Movimento 5 Stelle di cui la malcapitata Sarti sembra fare ancora parte, nonostante tutto; già, servirebbe a qualcosa chiedersi che faccia avrà fatto lo scafato Beppe Grillo davanti alle foto e ai video, veri o presunti o falsi spudorati, che mostravano o meno una ragazza venuta dal meetup di Bologna? Idem per ciò che riguarda la cassazione suprema della Casaleggio Associati con i loro Rousseau e altri blog dicendo. Al di là, lo ripeto, che nelle immagini si tratti di lei o d’altri.

S’intende che moralismo, pruderie e soprattutto cinismo crudele in questo genere di circostanze primeggiano, insieme allo squallore di chi non riesce a trattenere ora l’endemica sessuofobia accanto a un voyeurismo da “Supercalandrino” o da “Corna vissute” o da “Il Tromba”, per queste ragioni non possiamo che ripetere ancora una volta giù le mani e ancor di più giù i cellulari da Giulia Sarti!

Che il suo privato intimo, la sua doverosa verve sessuale di ragazza, di trentenne, resti soltanto suo patrimonio esclusivo, perfino adesso che i buoi sono scappati dal recinto grazie alla regia cinica di chi ha ordito l’intera azione, presumibile vendetta che potrebbe assomigliare, anzi, configurarsi addirittura come una sorta di ricatto, meschina prassi mafiosa che sembra nascondere un “adesso te lo facciamo vedere noi di cosa siamo capaci!” Vere o false che siano quelle foto.

Se non l’ho ancora detto, devo confessare però di non essere rimasto indenne dalla curiosità rispetto al “corpo del reato”, dove il reato, sia chiaro, si identifica con l’effrazione del privato della ragazza, poco importa se parlamentare della Repubblica. Sì, dopo aver ascoltato Mieli, per un attimo ho perfino pensato che l’umanità pubblica di questo nostro improbabile Paese sempre più guardone, al momento, si dividesse in due distinte parti: quelli che, come lui, per ragioni di rango o altro ancora, avevano ricevuto le immagini private della deputata grillina e poi tutti gli altri, i paria, che invece no, riconoscendo ai primi un indubbio peso sociale e ai secondi un’assoluta insignificanza pubblica, e questo, lo ripeto, aldilà d’ogni possibile almanaccare su cosa ci sia dietro questa malefatta, laddove la malefatta riguarda l’intromissione nel privato della diretta interessata. E questo ben al di là di quanto le immagini possano essere un falso orchestrato per metterla fuori gioco o dell’altro non meno frutto di un calcolo politico da guerra per piccole bande.

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