Bill Emmott: “L’asso nella manica di Theresa May? Il secondo referendum sulla Brexit”

Parla l’ex direttore di The Economist: “Due anni e mezzo dopo il referendum la premier non è riuscita a costruire un consenso né all'interno del suo partito né nell'opinione pubblica. Ma potrebbe usare lo spettro del secondo referendum per far approvare il suo accordo”

Questa intervista realizzata in treno via Skype all’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, è la prova provata dello stoicismo inglese. Nonostante le gallerie dell’Appennino e una connessione debole, Emmott ha resistito alle continue cadute di linea con una pazienza imperturbabile dimostrando perché gli inglesi dopo tre anni di negoziati, annunci, retromarce, bocciature e tanta confusione dopo il referendum sulla Brexit non hanno ancora fatto una rivoluzione. Eppure sarebbero giustificati, perché ieri sera la Camera dei Comuni ha per l’ennesima volta fatto ricominciare tutto da capo. Con 312 sì e 308 no i parlamentari hanno approvato un emendamento che esclude categoricamente l’uscita dall’Unione europea senza un accordo. E subito dopo hanno votato per non ritardare l’uscita del Regno Unito dall’UE fino al 22 maggio 2019. Risultato? Tutto come prima. Perché il voto di ieri non cambia il problema di fondo: se il Parlamento continuerà a bocciare l’accordo May (ci sarà un terzo voto?) e non proporrà un’alternativa concreta entro il 29 marzo ci sarà un no deal inevitabile e automatico. Il premier irlandese Leo Varadkar ha detto «Se quelli che hanno promosso Brexit fossero stati onesti con la gente e con se stessi non saremmo in questo un pasticcio». E non è l’unico a pensarlo. «Il Regno Unito sarà un Paese sempre più debole perché continueremo a discutere ancora della Brexit e del nostro rapporto con l’Unione europea per almeno i prossimi dieci anni», spiega Emmott.

Emmott, Theresa May resiste stoicamente ma le bocciature iniziano a essere tante.
I voti degli ultimi due giorni ci hanno fatto capire che Theresa May non è una leader. Ha avuto tempo ma non è riuscita a costruire un consenso né all’interno del suo partito né nell’opinione pubblica. A due anni e mezzo dal referendum non è cambiato nulla. La divisione e le incertezze sono le stesse da quando abbiamo votato il 23 giugno 2016. Nel 2019 non abbiamo ancora capito quale tipo di relazione il Regno Unito vuole avere con l’Unione Europea dopo la brexit. Quindi è molto difficile capire quale sarà il nostro percorso da ora in poi. Si è tornati alla casella di partenza.

Qual è la migliore strategia per uscire da questo impasse?
Questa strana maggioranza trasversale in Parlamento dovrà trovare un’alternativa. La soluzione migliore sarebbe imporre al Governo di richiedere una breve estensione dell’articolo 50 e ritardare l’uscita dall’Ue fino al 23 maggio, poco prima delle elezioni europee. Ma ci sono due problemi. Il primo è che se non avremo un piano chiaro e una giustificazione politica per chiedere più tempo a Bruxelles, sarà difficile per tutti e 27 gli Stati Ue concedere una proroga.

Il secondo?
Il dato politico significativo: se parteciperemo alle elezioni per rinnovare il Parlamento europeo vuol dire che siamo ancora concretamente parte dell’Unione europea. Per questo ieri sera il Parlamento ha votato in larga maggioranza contro la possibilità di estendere un periodo di transizione fino al 22 maggio. E sarà difficile trovare una maggioranza in grado di votare questa opzione. C’è una grande divisione nel Parlamento, è più mediatica quella nelle fila del partito conservatore ma esiste anche tra i laburisti. All’interno degli schieramenti non c’è un’idea condivisa e precisa sulla nostra futura relazione con l’Unione europea.

Anche Jeremy Corbyn ha dimostrato di non avere le idee molto chiare.
Corbyn è stato determinante nel permettere che questa fase di confusione e incertezza durasse così a lungo. Perché lui non rappresenta un’alternativa fattibile e popolare come premier. Il paradosso è che abbiamo un governo incapace di trovare un accordo in Parlamento per la più importante decisione nella storia inglese degli ultimi 40 anni e nonostante questo nei sondaggi è almeno dieci punti di vantaggio sui Labour. Qualcosa vorrà pur dire.

Perché non è un’alternativa credibile? Alle ultime elezioni pur perdendo in fondo ha preso il 40%.
Fin dagli anni Settanta Corbyn è stato un forte euroscettico e questo pesa nella sua percezione di possibile leader in questa fase storica. Sostiene di aver votato per il Remain durante il referendum del 2016 ma tutti conoscono la sua posizione. E ancora oggi è riluttante ad appoggiare una parte consistente dei Labour che chiedono un secondo referendum. Se cambiasse la sua posizione e di colpo decidesse di sostenere energicamente questa opzione magari mettendola al primo posto nel suo programma in caso di elezioni anticipate penso che la politica potrebbe cambiare in modo decisivo. Perché potrebbe ottenere l’appoggio di molti deputati conservatori filoeuropei e un supporto per chiedere nuove elezioni e da quel momento presentare un voto di sfiducia a Theresa May.

Ecco, per fare un secondo referendum i laburisti dovrebbero vincere le elezioni. Perché May dovrebbe essere d’accordo?
Per anticipare Corbyn e spaventare l’ala più anti europeista del partito conservatore. È possibile che la premier usi la minaccia di un nuovo referendum per forzare i conservatori ad accettare e votare a favore al suo accordo negoziato con la Commissione europea.

Dubito accetteranno.
In quel caso May potrebbe essere molto convincente proponendo un referendum con due opzioni agli inglesi: accettare il suo accordo o rimanere nell’Unione europea. Tra le due scelte, la seconda sarebbe un incubo per i brexiters.

Soprattutto per Boris Johnson che ha detto però di non essere spaventato dall’ipotesi del “no deal”.
Boris gioca d’azzardo con il futuro del Regno Unito. È un puro opportunista politico e vede sempre più concreta la possibilità di diventare primo ministro facendo leva esclusivamente sull’ala più anti europeista del partito conservatore. Johnson non ha la convinzione ideologica che il Regno Unito possa essere più prospero e più ricco nel caso di una Brexit senza accordo. E non penso che abbia alcuna risposta su come raggiungeremo questo obiettivo. Si sta semplicemente posizionando per soddisfare la sua ambizione personale.

Corbyn è stato determinante nel permettere che questa fase di confusione e incertezza durasse così a lungo. Perché lui non rappresenta un’alternativa fattibile e popolare come premier.

Parliamo del motivo per cui l’accordo May è stato bocciato più volte dalla Camera dei Comuni: il backstop nel confine tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Il no deal è incompatibile con l’accordo del venerdì santo firmato dal Regno Unito con l’Irlanda e l’Unione europea nel 1998. Boris Johnson dice che se ne frega se l’Irlanda del Nord lascerà il Regno Unito. Ma Belfast grazie all’accordo del venerdì santo può chiedere un referendum per decidere se riunirsi con la Repubblica d’Irlanda, è un loro diritto. E penso che la maggioranza voterà per la riunificazione.

Anche la Scozia spinge per un nuovo referendum sull’indipendenza.
Per la Scozia la situazione è meno chiara. Sicuramente ci sarà una battaglia politica da parte del Partito nazionalista scozzese per ottenere un voto. Ma l’ultima parola spetta al Parlamento inglese, com’è successo per il referendum del 2014.

Per decenni il Regno Unito è stato un modello per la selezione della classe dirigente e la gestione della cosa pubblica. Dopo due anni di negoziato è ancora così?
La nostra immagine è stata danneggiata. Siamo percepiti come un Paese con una forte confusione politica. Perché tutti conoscono il nostro riluttante europeismo. Siamo entrati tardi nella comunità economica europea, avevamo la clausola di opt out da Schengen, eravamo fuori dall’euro. Tutti sapevano che eravamo quasi distaccati dagli europei, questo non ha sorpreso nessuno. Ma il caos politico e l’incapacità di produrre un’idea logica su come difendere il nostro interesse nazionale hanno danneggiato la nostra reputazione. Nulla è irreparabile, ma è stato un periodo nocivo e potrebbe continuare per molto tempo ancora.

Come vede il Regno Unito nei prossimi dieci anni?
Sarà un paese più debole perché continueremo a discutere del brexit e del nostro rapporto con l’Unione europea ancora per molto tempo. Fortunatamente non siamo i soli a vivere un momento di difficoltà. Anche altri Paesi non stanno passando una situazione facile, quindi non saremo gli unici a essere deboli.

Lei ora è in vacanza in Puglia, resterà lì dopo il 29 marzo del 2019?
No, qui vengo solo in vacanza. Dallo scorso agosto vivo a Dublino. Ho deciso di trasferirmi in Irlanda con mia moglie proprio a causa della Brexit perché pensavamo che ci sarebbe stata una situazione caotica con conseguenze disastrose. Avevamo ragione.