«Il reddito di cittadinanza? Non mi conviene, meglio continuare a lavorare in nero». Manuela, 50 anni, commessa “invisibile” di un negozio d’abbigliamento del Sud Italia, s’è fatta i conti in tasca insieme al marito. Con un’entrata non dichiarata di 600 euro al mese, potendo contare formalmente solo sull’assegno di invalidità di lui da 650 euro, avrebbe tutti i requisiti per poter fare domanda di sussidio, visto che l’Isee di famiglia arriva a 6mila euro scarsi. «Ma saremmo pazzi a chiedere il reddito», spiegano. «Per 780 euro al massimo, ci attiriamo i controlli dell’Agenzia delle entrate, con il rischio dover rinunciare a una serie di esenzioni e agevolazioni che ci fanno comodo». Tanto, dice Manuela, «a 50 anni che lavoro vuoi che mi troveranno al centro per l’impiego?».
C’è una parte dell’Italia povera che, come Manuela, pur avendo i requisiti, non richiederà il reddito di cittadinanza. Lo confermano anche dai Caf. In tanti, dicono, quando arrivano agli sportelli per fare i conti, capiscono che non conviene fare domanda e alla fine tornano a casa senza compilare il modulo. E molti sono lavoratori senza contratto che, a conti fatti, preferiscono restare nell’ombra e continuare a godere dei vecchi bonus destinati ai poveri, anziché accendere la luce del Fisco. «Ci risultano diversi casi del genere», dicono dalla Consulta nazionale dei Caf. «Noi non facciamo i controlli. L’unica cosa che possiamo fare è ammonire le persone a non fare dichiarazioni false». Ma di certo a nessuno verrà in mente di dichiarare di essere assunto in nero.
Ecco spiegato, forse, perché l’assalto agli sportelli di fatto non c’è stato: secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro, in una settimana le domande sono state poco più di 141mila su una platea potenziale di 1,3 milioni di famiglie. In un Paese in cui si stimano oltre 3 milioni di lavoratori sommersi, in tanti starebbero facendo l’analisi costi-benefici del sussidio, che prevede sì l’erogazione di un assegno ma comporta anche l’attivazione dei controlli da parte di Inps, Ispettorato nazionale del lavoro, Agenzia delle entrate e Comuni. E, per quanto i controlli potrebbero non essere perfetti – chi lo sa – qualcosa può venir fuori, magari una macchina o una moto che in teoria non potrebbero permettersi: è questo il ragionamento che starebbero facendo in tanti.
Tanti lavoratori in nero, quando arrivano agli sportelli per fare i conti, capiscono che non conviene fare domanda e alla fine preferiscono tornare a casa senza compilare il modulo. Preferendo restare nell’ombra anziché accendere la luce del Fisco
«Se mi assumessero con uno stipendio decente, allora sarebbe conveniente. Ma con gli stipendi che ti offrono in Italia, che ci devo fare?», dice Manuela. «Oggi, lavorando in nero, ho pure l’esenzione del ticket per gli esami medici e gli sconti sulle bollette. Se faccio domanda per il reddito di cittadinanza, magari devo pure rinunciarci». Anche perché, aggiunge, «si parla di 780 euro massimi al mese, ma mica daranno a tutti l’assegno completo».
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, in effetti, solo il 5% dei beneficiari del reddito avrà un assegno totale superiore ai 6mila euro l’anno. La media sarà di poco più di 2mila euro: molto meno di quanto incassa Manuela in nero. In più la Postepay erogata non sarà come tutte le altre: ci sarà un monitoraggio sui consumi, non si potrà comprare tutto quello che si vuole e si potranno prelevare solo 100 euro al mese in contanti.
E una volta accolta la domanda, ai beneficiari verrà chiesto di attivarsi, tra corsi di formazione magari non proprio mirati, improbabili navigator e lavori socialmente utili. Una prospettiva che, per chi è avanti con l’età e un lavoro già ce l’ha, seppure in nero, potrebbe non essere poi così allettante. «Mi tengo i miei 600 euro in nero e amen», dice Manuela. «Tanto, dopo tutti questi anni senza contratto, che pensione avrò mai?».