Numeri in rossoMeno lavoro per tutti: col governo gialloverde è disastro occupazione

A giugno, quando si è insediato il governo, il tasso di occupazione era il 58,7%, otto mesi dopo lo ritroviamo al 58,6%. Con 200mila occupati in meno. E il tasso di disoccupazione giovanile che cresce dal 32 al 32,8% da giugno a febbraio

Economia a crescita zero, lavoro a crescita zero. Al di là degli slogan sugli effetti miracolosi del decreto dignità a Cinque Stelle, non è difficile guardare gli ultimi dati Istat sull’occupazione per capire come sul fronte del mercato del lavoro non si muova una foglia ormai da mesi. Se non per qualche piccola oscillazione mensile, con l’occupazione a febbraio in calo dello 0,1% (il mese prima era a +0,1%) e la disoccupazione in risalita dell’1,2% (il mese prima era +0,6%), in Italia ormai non si crea nuovo lavoro. Anzi. A giugno, quando si è insediato il governo, il tasso di occupazione era il 58,7%, otto mesi dopo lo ritroviamo al 58,6%. Con 200mila occupati in meno. E il tasso di disoccupazione giovanile che cresce dal 32 al 32,8% da giugno a febbraio, piazzando l’Italia al secondo posto tra i peggiori in Europa dopo la Grecia e prima della Spagna.

Nel mezzo del pantano dei numeri e delle percentuali, si innestano sì le difficoltà economiche e le incertezze italiane con la recessione del secondo semestre 2018. Ma anche gli effetti su assunzioni, rinnovi e mancati rinnovi legati al decreto dignità, che ha introdotto regole più ferree sui contratti a tempo determinato.

A febbraio 2019 gli occupati sono diminuiti di 14mila unità. Anche se su base annua se ne contano 113mila in più, l’Istat precisa: i posti di lavoro aumentano se confrontati con l’anno scorso, ma “con una intensità inferiore rispetto alla media del 2018”. Come contraccolpo, a febbraio i disoccupati sono aumentati di 34mila unità, mentre tra gli inattivi se ne contano 14mila in meno, sintomo del fatto che tra i nuovi disoccupati c’è sia chi ha perso il lavoro sia chi ha cominciato a cercarlo.

Ma andando a vedere chi ha perso il lavoro, si scopre che a calare sono i dipendenti: 44mila in meno in un mese, tra un calo di 33mila unità tra quelli che avevano un contratto a tempo indeterminato, e 11mila in meno tra quelli a termine. Tra questi ultimi, l’Istat ne conta 17mila in meno in tre mesi, interrompendo una crescita che andava avanti da tempo. Una conseguenza, come è probabile, del giro di vite sui requisiti per sottoscrivere i contratti a termine introdotto dal decreto dignità. Che, combinato con la spinta della flat tax per le partite Iva fino a 65mila euro, potrebbe anche spiegare la nuova impennata di 30mila unità in un mese tra i lavoratori autonomi. Facendo sorgere più di un dubbio sulla ripresa del vecchio fenomeno delle finte partite Iva.

Calano i contratti a tempo indeterminato e quelli termine, mentre aumentano gli autonomi. Tra il giro di vite del decreto dignità e la flat tax per le partite Iva, il rischio è quello di una ripresa delle finte partite Iva

Vittima di questo stallo continua a essere quella generazione di mezzo tra i 35 e i 49 anni, per la quale non esiste un incentivo ad hoc alle assunzioni. In questa fascia gli occupati a febbraio sono 74mila in meno. In un anno, se ne contano 216mila in meno. Con 954mila disoccupati e 2,5 milioni di inattivi in totale. Una fascia in cui pesa non solo l’economia in recessione, ma anche le crisi aziendali in ripresa e gli esuberi, a cui si sta facendo fronte da un lato con il boom di domande della Naspi (+13,4% a gennaio) e dall’altro con la proroga della cassa integrazione straordinaria, prevista non a caso anche nel decretone di governo.

Lo stesso quadro di rallentamento emerge, d’altronde, dai dati Inps sulle assunzioni. Gli ultimi, riferiti a gennaio 2019, mostrano un notevole incremento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, che risultano quasi raddoppiate (da 58mila a 115mila) rispetto allo stesso mese del 2018. Ma con un calo delle assunzioni, nello stesso lasso di tempo, del 15%: meno 50mila quelle a termine e meno 70mila quelle in somministrazione. E se in alcuni settori, come i call center, il decreto dignità ha generato un maggiore turnover tra gli occupati a termine, in alcuni distretti industriali le agenzie di somministrazione cominciano a fare fatica nella ricerca di figure specializzate da rimpiazzare con altri contratti a tempo.

Da novembre 2018, quando è terminato il periodo transitorio e il decreto dignità è entrato a regime per tutti, fino a gennaio 2019, si contano oltre 679mila cessazioni di rapporti a termine e oltre 278mila in somministrazione.

Se in alcuni settori, come i call center, il decreto dignità ha generato un maggiore turnover tra gli occupati a termine, in alcuni distretti le agenzie di somministrazione cominciano a fare fatica nella ricerca di figure specializzate da rimpiazzare con altri contratti a tempo

Senza dimenticare l’effetto collaterale che potrebbe generare il reddito di cittadinanza. Come spiegato dagli esperti de Lavoce.info, il fatto che il reddito di cittadinanza non richieda un minimo di contributi versati all’Inps porterà probabilmente a un aumento dei licenziamenti soprattutto per i rapporti lavorativi più brevi. In più, la penalizzazione per le famiglie con componenti che abbiano dato le dimissioni negli ultimi dodici mesi rischia di rafforzare il canale dei licenziamenti per interrompere i rapporti lavorativi. A meno che, ovviamente, non si attivino davvero le politiche del lavoro con i non ancora pervenuti navigator, che dovrebbero essere in grado di trovare un impiego ai beneficiari. Tutt’al più nei prossimi mesi il tasso di disoccupazione potrebbe salire per una maggiore riattivazione di soggetti ai margini. In questo caso, il segno più davanti al numero dei disoccupati sarebbe una notizia positiva per uscire dalla palude.

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