Storie“Anche i bianchi hanno delle sfumature”: l’Italia vista dagli occhi di un africano

«Negli anni ’80 non c'era razzismo, ma ignoranza. Oggi la situazione è peggiorata. Non vi riconosco più». Dudù Kouaté è un musicista senegalese, in Italia da trent’anni. «Più che di Salvini, ho paura di chi lo segue. Ma l’ostacolo non è insormontabile”

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Dudù Kouaté, 55 anni, senegalese, da 30 in Italia, musicista, percussionista, guarda il mondo ad occhi aperti: «Alla fine i bianchi non sono così bianchi come credono. Hanno anche loro delle sfumature. Il mio futuro continuo a vederlo qui anche se la situazione non è piacevole. Io sono ottimista. Peccato solo non avere mai chiesto la cittadinanza. Adesso andare in tournée all’estero mi crea qualche problema. Ma rimedierò». Inevitabile per uno come lui che salta dall’Accademia di Brera a Milano a quella dei Carracci di Bergamo come mediatore interculturale fino ai palchi di mezzo mondo dove suona con svariati progetti musicali. In poche settimane sono usciti o stanno uscendo tre dischi suoi o ai quali ha collaborato. Dal suo album in solo Africation all’ultimo disco del Multikulti Ensemble di Cristiano Calcagnile The gift of togetherness, fino a We are on the edge, l’album dell’Art Ensemble of Chicago in uscita a fine aprile, uno dei gruppi che da 50 anni fa la storia del jazz mondiale.

Dudù Kouaté, come è finito in Italia?

«Veramente volevo andare in Gran Bretagna. A Dakar studiavo inglese. Facevo l’interprete e la guida turistica. Alla fine c’è stato un problema con i visti e ho deciso di venire in Italia dove avevo degli amici. Vai dove hai un appoggio alla fine. È stato il mio piano B. Ma non sapevo nulla dell’Italia».

Un Paese straniero di cui non conosceva nulla, nemmeno la lingua…

«Un po’ di italiano lo sapevo a dir la verità. Io sono senegalese di origini griot. Siamo i custodi della tradizione e della musica africana. Mio nonno però veniva dal Mali. Lavorava per l’amministrazione coloniale. Mio padre era funzionario di banca. Avevano girato il mondo. Erano stati anche in Italia. In giro per casa c’erano molti libri. Anche un librino turistico dove ho imparato a dire buongiorno e buonasera in italiano, le parole più elementari. Parlavo già francese e inglese».

Era già un musicista in Senegal?

«Suonavo la chitarra. Era solo una passione. Non pensavo di diventare un musicista».

Questo lo ha scoperto in Italia?

«Solo dopo. Il primo Paese dove sono stato è il Belgio. Poi sono andato in Francia e in Germania. Alla fine sono arrivato in Sicilia. Suonavo con i Konsertu, un gruppo italiano etno-folk, etno-rock… Stare sul palco con loro è stata la svolta. Ho capito che il mio mondo era quello».

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