Nuove energiesEolico e fotovoltaico: in Italia l’energia rinnovabile diventa condivisibile

Tra i Paesi dell'Unione siamo al terzo posto nella classifica per consumi coperti da fonti rinnovabili. Tuttavia gli ostacoli che rendono incerta la transizione energetica in Italia sono molti, anche dal punto di vista normativo. La soluzione? Il modello delle "comunità dell'energia"

La necessità di contribuire a combattere le cause dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici impone un radicale ripensamento del nostro modello energetico, che si sta dimostrando inadeguato ad affrontare le sfide climatiche del nuovo millennio.
Il settore della produzione di energia è infatti ancora oggi responsabile di circa un terzo delle emissioni inquinanti generate in Italia. Non solo emissioni di CO2 e altri gas climalteranti, considerati la principale causa dei cambiamenti climatici, ma anche e soprattutto metalli pesanti ed altri inquinanti che vengono immessi in atmosfera da centrali termoelettriche tradizionali.

Eppure, come ricordato in un recente report dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea), senza una progressiva riduzione delle attuali centrali alimentate con fonti fossili non sarà possibile raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, che prevedono entro il 2050 una riduzione delle emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990. In particolare, l’Eea ha calcolato che in Europa sarà necessario dismettere entro il 2030 il 25% delle centrali termoelettriche tradizionali e sostenere dall’altra la diffusione di impianti di produzione da fonti rinnovabili.

In questo caso però, per una volta, l’Italia si presenta ai partner europei non certo come l’ultima della classe. Anzi. Tra il 2016 e il 2018 si è registrato un netto aumento della produzione di energia elettrica da impianti eolici e fotovoltaici e tra i paesi dell’Unione siamo al terzo posto nella classifica europea per consumi coperti da fonti rinnovabili.

Ancora nel 2018 il 68,8% dell’elettricità prodotta in Italia è stata generata da centrali termoelettriche, e due di queste sono considerate tra le più inquinanti d’Europa

Eppure, ancora oggi la produzione di energia elettrica, settore in cui negli ultimi 15 anni si è intervenuto di più, dipende fortemente dall’utilizzo di combustibili fossili. Ancora nel 2018 il 68,8% dell’elettricità prodotta in Italia è stata generata da centrali termoelettriche, e due di queste, la centrale di Brindisi Sud e quella di Torrevaldaliga a nord di Civitavecchia sono considerate tra le più inquinanti d’Europa.

Oltre a ciò bisogna considerare il problema delle perdite fisiologiche delle reti. Come sottolineato nel report “Comuni rinnovabili 2017” di Legambiente, sono almeno 1 milione gli impianti da fonti rinnovabili che fino ad oggi si sono allacciati alle reti tradizionali, secondo il modello di produzione energetica centralizzato. Tra questi sono numerosissimi gli impianti fotovoltaici presenti in tutto il territorio italiano, con una potenza complessiva di 1310 MW. Il 6,35% dell’energia prodotta da questi impianti viene però dispersa dalla rete.

Anche per questo motivo si guarda sempre di più a nuovi modelli di produzione decentrata dell’energia, con diversi piccoli impianti da fonti rinnovabili, diffusi su tutto il territorio, collegati da reti intelligenti (smart), destinati all’autoproduzione dell’energia consumata e all’immissione in rete dell’energia in eccesso. Tutto ciò in un’ottica di condivisione in cui case, condomini, distretti produttivi e interi quartieri possono produrre autonomamente l’energia di cui hanno bisogno.
I vantaggi di questo modello sono diversi, a partire dalla riduzione delle emissioni e dei costi di gestione per arrivare alla possibilità di garantire l’approvvigionamento energetico anche in caso di emergenze e black out.

Sono ancora molti gli ostacoli che rendono incerta la transizione energetica in Italia. Innanzitutto la mancanza di condizioni chiare dal punto di vista normativo, che supportino con forza soluzioni innovative

Tuttavia sono ancora molti gli ostacoli che rendono incerta la transizione energetica in Italia. Innanzitutto la mancanza di condizioni chiare dal punto di vista normativo, che supportino con forza soluzioni innovative. In secondo luogo queste soluzioni risultano spesso meno convenienti dal punto di vista economico rispetto a soluzioni tradizionali, soprattutto a causa della mancanza di incentivi pubblici. Infine non tutti hanno la possibilità di installare un impianto fotovoltaico o di fare investimenti consistenti.

Per questi motivi, anche in Italia da alcuni anni sta prendendo piede il modello delle “comunità dell’energia”, un modello di energy sharing, basato su un approccio cooperativo, già da tempo diffuso e consolidato in altri Paesi europei. Ad esempio in Germania sono circa 80.000 le famiglie socie di una cooperativa per l’autoproduzione e il consumo di energia rinnovabile. Il modello si basa sulla condivisione di impianti per produrre e distribuire energia attraverso l’acquisto di quote, che consentono ai soci di diventare prosumer, ovvero produttori e consumatori allo stesso tempo.

Il modello sta prendendo sempre più piede, tanto che la regione Piemonte ha approvato il 3 agosto 2018 una legge che per la prima volta disciplina il settore in Italia. Un primo passo nella direzione giusta (basta leggere la legge per capirlo) che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi che noi europei ci siamo posti per lottare contro le cause dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici.

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