“Il recinto è stretto”. “La coperta è corta”. Le metafore per indicare il ristretto spazio di manovra del Documento di economia e finanza si sprecano, mentre l’aumento dell’Iva incombe. Poi, però, leggendo una delle ultime proposte del Forum delle disuguagliane e diversità (ripresa anche da Lavoce.info) si apre più di uno spiraglio d’azione. Scoprendo – a sorpresa – che gli italiani sono tra i più ricchi al mondo. Ma non tutti ovviamente: solo quelli ricchi sono tra i più ricchi. Lasciando poi a figli e parenti eredità che, mentre la crisi incombeva, hanno continuato a crescere. A fronte però di una tassazione che è diminuita, rimanendo tra le più basse al mondo. Di certo più favorevole rispetto agli stipendi medi degli italiani, visto che l’aliquota marginale massima di imposizione dei lasciti ereditari fra parenti in linea retta in Italia è di circa il 4%, contro una media Ocse del 15%. Italia paradiso fiscale dei ricchi? Basti pensare che gli introiti delle imposte sui trasferimenti di ricchezza sul totale degli introiti fiscali in Germania valgono quasi il triplo di quelli italiani.
Nel 2016, la ricchezza pro capite in Italia era di 143.000 euro, tra i valori più alti a livello globale. Il problema è che anche i divari distributivi sono altrettanto alti. L’aumento della ricchezza negli ultimi decenni si è concentrato fra le persone di almeno 50 anni: tutti gli altri hanno visto il portafoglio assottigliarsi o, ben che vada, restare fermo. Dal 1995 al 2016, la quota di ricchezza netta personale detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione adulta è cresciuta dal 18 al 25 per cento circa. Un divario destinato a trasmettersi da padre in figlio.
In questa piccola fetta di popolazione, negli ultimi vent’anni, non a caso, è cresciuto anche l’ammontare medio delle eredità, da circa 200 a 300mila euro, e quello delle donazioni tra vivi, passato da 100 a 150 mila euro circa. Con una impennata del numero dei lasciti superiori al milione di euro. Non solo la ricchezza in Italia si è polarizzata, ma si tramanda, con il risultato che l’ascensore sociale è bloccato, e i patrimoni familiari diventano sempre più importanti nell’avvio della vita adulta.
Nel caso di trasferimenti in linea diretta, tra coniugi o tra genitori e figli, sono soggette a tassazione solo quote ereditarie o donazioni che superano 1 milione di euro, applicando un’aliquota fissa a un tasso del 4%
Eppure, l’intervento pubblico di riequilibrio attraverso la tassazione delle eredità non solo non è stata rafforzato, ma si è indebolito negli anni. Con aliquote che sono meno di un terzo della media Ocse. In Italia, oggi chi riceve quote ereditarie o donazioni è soggetto all’imposta sulle successioni e le donazioni. Queste imposte differenziano la tassazione delle quote ereditate o ricevute a secondo del grado di parentela, l’ammontare trasferito e la tipologia di patrimonio trasferito. Nel caso di trasferimenti in linea diretta, tra coniugi o tra genitori e figli, sono soggette a tassazione solo quote ereditarie o donazioni che superano 1 milione di euro, applicando un’aliquota fissa a un tasso del 4%. L’aliquota passa al 6% al di sopra dei 100mila euro di esenzione per i trasferimenti fra fratelli e sorelle. I trasferimenti da parte di altri parenti come nipoti, zii, cugini, suoceri e cognati, non prevedono, invece, nessuna esenzione e vengono sempre tassati al 6%. L’aliquota sale all’8% per i trasferimenti da parte di altri.
Tassazioni, insomma, sicuramente più favorevoli rispetto a quelle a cui sono soggetti i redditi. A queste condizioni, allora, i destini di chi ha la fortuna di nascere nelle famiglie del ceto forte e chi nasce in una famiglia del ceto debole difficilmente si incroceranno nel corso della vita. «Non c’è nulla di male nel ricevere un’eredità», scrivono dal Forum, «ma appaiono difficilmente giustificabili sotto il profilo della giustizia sociale quelle situazioni in cui gli eredi di grandi patrimoni, favoriti dalla fortuna di essere nati in una famiglia avvantaggiata, non sono chiamati a contribuire a creare un terreno fertile per garantire maggiori opportunità a chi è stato meno fortunato di loro». Per rimescolare le carte, insomma, è necessario «agire sulla leva fiscale. Serve un intervento re-distributivo».
Il nostro 4% di aliquota, in effetti, è ben lontano dalla media Ocse del 15%, ma soprattutto dal 40% di Regno Unito e Stati Uniti e dal 45% della Francia. In Italia le tasse sulle eredità sono state persino abolite fra il 2001 e il 2006. Anche altri Paesi di recente hanno preso la stessa decisione, come Norvegia, Canada, Australia e Svezia. Alcuni di questi, però, nel frattempo introdotto imposte sostitutive: il Canada, ad esempio, ha inserito un’imposta sugli incrementi di capitale da pagare alla morte. Non a caso, le eredità in Italia sono cresciute. Nel 1977, solo il 22% delle famiglie circa dichiarava di essere proprietaria di un immobile ricevuto in eredità o in regalo e questa quota è salita a circa il 33% nel 2016.
Anche il Fondo monetario internazionale propone una modifica dell’imposta di successione e di donazione che la renda più progressiva e riduca le esenzioni fiscali. Un intervento redistributivo che, con la tassazione, riduca la concentrazione nella parte alta della ricchezza e, con i trasferimenti, assicuri a tutti i giovani una base di ricchezza. Gli strumenti che il Forum delle disuguaglianze e delle diversità propone propone sono due. Per prima cosa, un’imposta sui “vantaggi ricevuti”, ovvero un’imposta progressiva sulla somma di tutti i trasferimenti di ricchezza ricevuti da un singolo individuo durante tutto l’arco della vita. L’imposta prevede una soglia di esenzione di 500 mila euro, tre scaglioni e aliquote marginali che vanno dal 5 al 50 per cento, per i trasferimenti cumulati superiori ai 5 milioni di euro.
Le risorse aggiuntive cje si genererebbero, stimate nell’ordine di 1,4-5,2 miliardi di euro, potrebbero poi concorrere a istituire quella che viene chiamata “un’eredità universale”, a favore dei giovani che compiono 18 anni. Una somma ceduta a tutti i giovani neomaggiorenni, anche a chi nasce in un contesto di relativo vantaggio economico. «Se ci si limitasse a tassare le quote ereditarie e le donazioni diminuiremmo le disuguaglianze di opportunità solo livellando verso il basso i vantaggi ricevuti: i ricchi eredi avrebbero meno», spiegano dal Forum. «Gli altri, invece, al momento del passaggio generazionale continuerebbero ad avere poco o niente. E non avremmo l’effetto di “liberazione” delle aspirazioni di ogni giovane». Che con l’eredità universale si potrebbe invece favorire.
Il costo della eredità universale sarebbe di circa 8,8 miliardi di euro l’anno. Oltre al gettito derivante dall’imposta sui vantaggi ricevuti, servirebbero quindi risorse aggiuntive. «Potrebbero concorrere una riorganizzazione delle risorse oggi destinate ai giovani (dal bonus cultura, per 240 milioni nel 2019, a una serie di piccoli fondi per le politiche giovanili) e delle agevolazioni fiscali di cui beneficiano oggi le classi di contribuenti più ricchi», propongono dal Forum.
La proposta è contenuta anche nell’ultimo libro di Anthony Atkinson, Inequality what can be done?. E idee simili sono state avanzate anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti. In Italia, a fine 2018 un gruppo di parlamentari del Pd ha presentato una iniziativa simile che prevedeva un tesoretto di 18mila euro da dare a tutti i 18enni per fare impresa o studiare. Ma in pochissimi ne hanno parlato e non se ne è saputo più nulla. Per chi fosse alla ricerca di un punto da cui far ripartire la sinistra, una proposta del genere sembrerebbe una rivoluzionaria base di partenza.