La realtà delle cose è diversa da come la percepiamo. Il più delle volte è di gran lunga migliore rispetto alle nostre convinzioni. Il problema è che spesso non riusciamo neanche a renderci conto di quanto la nostra percezione può sbagliare. Dunque, quando prendiamo le nostre decisioni, piccole o grandi, personali o professionali che siano, quando facciamo le nostre scelte privilegiando una soluzione rispetto ad altre, sulla scorta di quale conoscenza lo facciamo?
La risposta è imbarazzante, almeno per noi italiani, visto che ci troviamo ai vertici della classifica di chi ha le percezioni più distorte tra i maggiori paesi del mondo, stando allo studio Perils of Perceptions che Ipsos pubblica ogni anno dal 2014 e i cui risultati sono stati raccolti in un libro firmato dal direttore Bobby Duffy.
Sulla scorta dei dati, la capacità della società odierna di comprendere il mondo in cui vive è senza appello. Ci sbagliamo su quasi tutto e con poche eccezioni. Gli americani, che non se la passano per niente bene, credono che il 17% della loro popolazione sia di religione musulmana (è l’1%), e che il 24% delle teenager tra i 15 e i 19 anni partorisca (sono il 2,1%). Gli olandesi credono che oltre il 50% della popolazione carceraria sia straniera, ma la percentuale reale non è che del 19%. Sul tema sembrano avere le idee più chiare gli svedesi, che però credono che il tasso di disoccupazione sia più alto del 200% di quanto non sia in realtà. L’Italia è il Paese con la percezione peggiore, seguito dagli Stati Uniti e dalla Francia. Dal tasso di disoccupazione a quello sull’immigrazione, non c’è un solo ambito in cui abbiamo la reale cognizione dell’entità delle sfide che ci circondano.
Perché sbagliamo? E perché così tanto? Alla base di questi errori di valutazione ci sono ragioni diverse, in parte individuali e in parte contestuali. Per esempio, la scolarizzazione: più le persone sono scolarizzate più hanno destrezza a trattare i dati e più sono in grado di fare valutazioni precise, poiché li capiscono e non li fraintendono. In Italia abbiamo un 18,7% di laureati tra i 25 e i 64 anni, contro una media europea del 31,4%. E siamo penultimi in Europa, prima della sola Romania, anche per quanto riguarda i laureati tra i 24 e i 30 anni.
Stante i dati evidenziati dalla ricerca di Ipsos, per auspicarci una vita migliore sembrerebbe condizione già sufficiente essere semplicemente degli inguaribili realisti
Di conseguenza meno strumenti abbiamo per capire un presente molto complesso, più cerchiamo spiegazioni semplificate, magari mediate dall’emotività che supplisce all’incompetenza, che possano rassicurarci. Tra gli elementi contestuali, comuni a tutti i paesi industrializzati, per esempio, c’è il rapporto con le notizie: quelle buone vengono considerate non-notizie quindi non pubblicate. Quelle cattive invece, più cattive sono più si diffondono. La tendenza a utilizzare processi euristici quando si tratta di “pensare velocemente” può spiegare il fatto che sovrastimiamo tutto ciò che è negativo perché ci preoccupa, soprattutto quando tocca le nostre corde emotive e quando la copertura mediatica è particolarmente intensa e sottolinea gli aspetti minacciosi di un fenomeno.
Di fatto quello che Ipsos registra è una sorta di rassegnazione al peggio, almeno a livello percettivo. Una rassegnazione che ha a che fare con la portata degli eventi con cui veniamo in contatto, e con la quantità delle informazioni discrepanti che ci arrivano ormai in modo disintermediato grazie al web e ai social, che ci sembrano per questo enormi rispetto alle nostre singole possibilità di intervento.
Il comune pensare ci porta a credere che chi in genere si sforza di avere sempre la migliore prospettiva possibile sulla vita solitamente sia un inguaribile ottimista. Stante i dati appena evidenziati dalla ricerca di Ipsos, per auspicarci una vita migliore sembrerebbe condizione già sufficiente essere semplicemente degli inguaribili realisti. Di fatto ci troviamo nel momento migliore della storia della nostra specie per essere vivi. Siamo sul pianeta nel momento più incredibile mai vissuto prima d’ora dagli esseri umani dato che abbiamo le maggiori potenzialità che il destino abbia mai concentrato nelle mani di un singolo individuo. L’unica cosa che ancora ci manca à la consapevolezza di questa nostra condizione, e il raggiungimento di uno stato di coscienza tale da farci assumere, con gioia, tutta la responsabilità che da essa deriva.
Se, parafrasando più o meno Einstein, è vero che i problemi, tutti, vanno risolti a un livello di coscienza più profondo del livello di dove si sono manifestati, allora è altrettanto vero che le opportunità vanno sfruttate a un livello di coscienza più alto e nobile di quello dove tali opportunità ci vengono concesse. Siamo realisti, vi prego! Dobbiamo adottare pratiche positive che possano diffondere la forza di una vita vissuta per-il-Bene, e ciascuno deve farlo nella totalità della propria sfera di influenza – non importa quanto grande o piccola essa sia – e con tutto se stesso. Serve una vita completa, sferica! Sono convinto che solo così ogni nostra piccola azione, ogni nostro piccolo gesto, possa produrre enormi cambiamenti, a lungo termine, per l’intero sistema, su tutto il Pianeta. Ora resta da capire se questo sia ancora ottimismo o semplice realismo.
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