AnticonformistiFerdinando Camon: “La mafia nell’università? È protetta dallo Stato”

Il vincitore del premio Strega 1978 ha denunciato la baronia nelle università nel libro: "Scrivere è più di vivere" (Guanda): “Ho mandato una copia con dedica al ministro dell’Istruzione dicendogli che le pagine 9-24 sono scritte per lui. Ora so che lui sa”

L’altra volta, esattamente sei anni fa, dopo avermi detto che “La città di Dio di Sant’Agostino è il libro più conturbante e profondo che l’umanità abbia mai scritto” e che desiderava Roberto Saviano come Presidente della Repubblica («mi domando che senso abbia eleggere presidenti ottantenni»), mi rimproverò. Disse, «ha perso una grossa opportunità». Restai interdetto. Quale? «Dire che sono il più importante scrittore italiano vivente». Che tipo, mi dissi. Da allora – quel giorno, a ritroso, cominciai a leggere i libri suoi che ancora mancavano nella mia scarsa collezione di italiani – penso che Ferdinando Camon sia lo scrittore italiano vivente più corrosivo, ben più importante di tanti presunti ‘importanti’. Camon, che ha esordito con la benedizione di Pier Paolo Pasolini (firma la prefazione de Il quinto stato, nel 1970), ha scritto un vero capolavoro, crudo e commosso, quarant’anni fa, Un altare per la madre (tradotto in Francia su istigazione di Sartre – in Francia, per dire, lo pubblica Gallimard –, è elogiato come “opera d’arte sublime” da Raymond Carver), e una serie di libri profetici e fondamentali (ad esempio: La malattia chiamata uomo e Il Super-Baby).

Premio Strega nel 1978 (ma lui ha sbriciolato l’alloro: “Ho vinto questo premio per una semplice ragione: l’organizzatrice di allora era sdegnata perché da dieci anni consecutivi il premio lo vinceva sempre lo stesso editore, perciò cercava un editore nuovo, che avesse un autore nuovo, che vivesse in provincia…Non ho mai presentato nessun concorrente. Non so nemmeno come si fa. Prego chi vuole partecipare di non chiedermi di fargli da padrino”), Camon non si è mai messo a fare la parte dello scrittore sulla torre d’avorio né dell’intellettuale sulla poltrona di partito. Rompipalle, ha rischiato tutto, scrivendo, lasciando, con i suoi libri – cosa più unica che rara – una traccia nella Storia, un morso. Quando La vita eterna, che racconta il massacro dei partigiani contadini ad opera di un capo delle SS (“ho raccontato l’animalesca ferocia del comandante, che li interrogava appendendoli a testa in giù, si faceva assistere da un cane di nome Hasso, e al momento di formulare la sentenza lo faceva votare”), fu pubblicato in Germania, il feroce esecutore, “si chiamava Lembcke”, fu preteso a processo per quei fatti e morì d’infarto. “Mi sento un giustiziere”, chiosa, oggi, Camon. Allo stesso modo, Occidente (1975), in cui “cercavo di spiegare perché una cellula terroristica nera prima o poi avrebbe fatto una strage”, fu usato dall’Avvocatura dello Stato durante l’arringa per censire i colpevoli della strage alla Stazione di Bologna: alcune pagine del romanzo, infatti, furono trovate “in un covo” dove si riuniva “la cellula neonazista” responsabile dell’eccidio. «Se questo è vero, se ho aiutato la giustizia a scoprire gli assassini, posso scorrere con lo sguardo l’infinita lista dei morti e dei feriti e dir loro: ‘Io, per voi, ho fatto quel che ho potuto’. Non fosse che per questo, scrivere per tutta la vita ha avuto senso» Camon è l’emblema dello scrittore radicale, rigoroso, ruvido, recluso nella solitudine di chi si ostina a pensare fino all’ultimo fiato di indipendenza.

La sua natura anomala e irritante – per fortuna uno che ti costringe alla lotta, a non essere d’accordo – da scrittore rognoso al potere, torna prepotente, ora, con la riedizione di due libri che mostrano il Camon letterato (le “Conversazioni critiche” sotto il titolo Il mestiere di scrittore, per le Edizioni di Storia e Letteratura) e politico (il Tentativo di dialogo sul comunismo con Pietro Ingrao, per Ediesse), ma soprattutto con un libro nuovo, Scrivere è più di vivere (Guanda, 2019), un godimento per l’intelligenza, una mitragliata etica. Camon – con uno stile illuminato e illuminista, che a me ricorda un po’ lo Sciascia di Nero su nero – comincia con la sua battaglia, da sconfitto, contro il sistema mafioso dell’università di Stato, poi passa per i temi capitali del mondo odierno: il rapporto tra Chiesa e gay, il tema delle “baby-prostitute a 300 euro”, la denatalità («Sì, certo, senza figli si lavora meglio… Ma se noi, padri, siamo un esercito in guerra, i figli sono l’avanguardia e la retroguardia: la protezione»), la Storia («Ancor oggi, in Italia, quando si accusa Mussolini per il disastro che fu la spedizione in Russia, lo si accusa di aver mandato un’armata di 230mila soldati a morire nella neve con le scarpe di cartone… Ma se avessero avuto delle scarpe confortevoli la spedizione avrebbe avuto un senso e un merito? La colpa è aver fatto morire i nostri, colpevoli d’invasione, o aver fatto morire gli altri, invasi e innocenti?»), l’Islam («Non possiamo convivere con l’Islam terrorista, con l’Islam integralista, neanche con l’Islam semplicemente ortodosso. Un cittadino di qualunque parte del mondo, convinto di essere lui nella verità e tutti gli altri nell’errore, convinto che lui vale più di tutti gli altri, che lui uomo vale più di sua moglie e può picchiarla, che i suoi figli maschi valgono più delle sue figlie femmine, che la teocrazia è l’unico governo giusto e la democrazia è sbagliata, quest’uomo può vivere soltanto dentro la sua civiltà».

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