Almeno un effetto collaterale della crisi economica non era negativo. Stiamo parlando della differenza tra i tassi di occupazione maschili e femminili che tra il 2007 e il 2014 era calata di circa 6 punti, tra il 23,5% e il 17,6%. Certo, un progresso dal sapore agrodolce, perché dovuto più a un calo pronunciato dell’occupazione maschile, colpita duramente dalla crisi dell’industria e dell’edilizia, che a un aumento di quella femminile, rimasta piuttosto stagnante su livelli tra i più bassi d’Europa.
Tanto è vero che un trend simile, e anzi ancora più accentuato, si era verificato anche in Spagna. Ci si stava avvicinando comunque alle medie europee e ai numeri, pur ancora lontani, dei Paesi più avanzati.
Con la ripresa però si è bloccato tutto. La rincorsa delle donne verso la parità si è fermata. In quell’anno si era arrivati a un gender gap, qui inteso come distanza tra i due tassi di occupazione (maschile e femminile) del 17,6%. In quelli successivi c’è stato addirittura un peggioramento, e a fine 2018 la differenza era del 17,9%.
In questi quattro anni l’occupazione femminile è sì cresciuta, dal 47,2% al 49,6%, ma meno di quanto abbia fatto quella maschile, salita dal 64,8% al 67,5%. Anche altrove in Europa non ci sono stati miglioramenti apprezzabili, e in Spagna si è assistito a un peggioramento anche maggiore. Ma da nessuna parte sono ancora meno della metà le donne con un impiego. Era legittimo e doveroso aspettarsi uno scatto dell’occupazione femminile almeno in Italia, visto che si partiva da livelli infimi. Non è accaduto. Il soffitto di cristallo resiste.
Nonostante i nuovi lavori nei servizi avanzati e alla persona, ambiti che occupano tradizionalmente donne, nonostante siano le donne sempre più a occupare le aule universitarie, a laurearsi di più e meglio. Ma a quanto pare l’istruzione non basta. Se analizziamo il gap occupazionale per le giovani laureate, sotto i 30 anni, vediamo come questo di fatto non esista. Anzi, in alcuni anni è stata maggiore l’occupazione femminile di quella maschile. Ma non esistono solo le laureate 28enni. Tra le giovani diplomate, che sono del resto di più, questo gender gap è invece in crescita. E soprattutto non si vedono miglioramenti tra le più anziane. Tra le laureate e le diplomate tra i 30 e i 50 anni. C’è stato un crollo solo tra le donne più istruite over 55, a causa degli effetti della legge Fornero, che ne ha trattenuto al lavoro molte, soprattutto nell’insegnamento e nel pubblico impiego.
Anche nel resto d’Europa assistiamo purtroppo a un aumento del gap occupazionale con l’età. Ovunque questo raddoppia o triplica tra i 20-24 anni e i 35-39. I progressi della maggiore istruzione si infrangono di fronte al fattore maternità. Da nessuna parte si è riusciti a impedire che il raggiungimento dell’età in cui si crea una famiglia causi l’uscita dal mondo del lavoro di grandi quantità di donne.
Ci sono due osservazioni però da fare. In Italia nonostante la minore fertilità il gap occupazionale delle 35-39enni e delle 40enni è maggiore che altrove, all’incirca il doppio di quello medio europeo, e c’è un peggioramento rispetto all’età più giovane molto più pronunciato anche rispetto a dove si fanno più figli. Non c’entra quindi solo la maternità. E poi nel resto d’Europa quando i figli crescono si ritorna al lavoro, il gender gap nell’occupazione dopo i 40 anni cala in Francia, Germania, Regno Unito, ma non in Italia e Spagna. Dove anzi continua a peggiorare. Chi è fuori è fuori, non vi sono strumenti o incentivi perchè una 40enne possa trovare lavoto dopo averlo lasciato.
Negli ultimi anni non ci sono stati miglioramenti, in particolare per le 30enni. I progressi precedenti durante la ripresa si sono infranti, la curva che rappresenta l’andamento del gap occupazionale (all’inverso) ha smesso di crescere, come se veramente quel soffitto di cristallo di cui si parla si sia materializzato sul grafico
Si deve spezzare quell’incantesimo che costringe le donne, anche le più brillanti e istruite, a rinunciare al lavoro per diventare madri, per poi non riagguantarlo più. Ne abbiamo bisogno soprattutto se vogliamo che aumentino anche le nascite. Non possiamo permetterci di creare un’alternativa tra figli e lavoro, anche perchè la conseguenza è non avere né gli uni né l’altro.