Quando i media italiani elogiavano il concordato tra cattolici e Mussolini

L’accordo stipulato tra Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri doveva unire monarchia, fascismo e Chiesa cattolica. I cosiddetti Patti del Laterano ricevettero critiche e consensi: un libro ricostruisce l’analisi che la stampa ne diede in quegli anni

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A poco meno di un secolo dalla loro sottoscrizione i Patti Lateranensi restano un modello e punto di riferimento di straordinaria modernità. Le spinte interne agli stessi partiti e movimenti protagonisti del giovane Stato, la ricerca di un nuovo ruolo internazionale del Papato, le grandi trasformazioni sociali e belliche a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento e il nuovo ruolo fondamentale dell’opinione pubblica e dei media, hanno contrassegnato un’epoca di scontri e continue crisi tra gli schieramenti in campo. Tuttavia, nel 1929, i contraenti riuscirono a venirsi incontro, con la firma dei Patti Lateranensi e la nascita della Città del Vaticano. Tra critiche e consensi della vox populi, questo studio approfondisce le posizioni e le reazioni delle forze in gioco, ripercorrendo la stampa di quegli anni e le biografie dei protagonisti, gli interessi in ballo e l’evoluzione dei fatti, nel solco del dibattito politico svoltosi in un’epoca decisamente straordinaria.

Proponiamo alcuni stralci del volume di Alessandro Vinai “I media e il Concordato Stato-Chiesa del 1929” (The Skill Press).

Nell’ormai classico volume: Chiesa e Stato in Italia, Arturo Carlo Jemolo, con la lucidità del testimone e il rigore dello storico, documenta l’emozione degli italiani ma anche degli Stati esteri alla notizia della firma l’11 febbraio 1929 dei Patti lateranensi.

Dopo un primo momento di sorpresa seguirono nell’opinione pubblica interna e internazionale un ventaglio di reazioni in cui prevalse senz’altro il consenso e in qualche caso l’entusiasmo per la realizzazione del grande ideale della Conciliazione. L’accordo stipulato tra il duce del fascismo Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri segretario di Stato vaticano sanava il caso di coscienza che aveva diviso gli italiani nel Risorgimento e monarchia, fascismo e Chiesa cattolica si saldarono in una sintesi di valori nazionali e quale elemento fondante dell’unità della Patria. Muovendosi in questa direzione, negli anni della dittatura il regime tentò di assorbire ogni differenza tra la sfera politica e la sfera religiosa e di fare della religione cattolica una componente dello Stato totalitario. È questa, ad esempio, la dottrina del fascismo inteso secondo Mussolini, come una concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale.

Ma la visione di come interpretare il significato dei Patti del Laterano fu fonte di equivoci tra chi li inquadrerà come elemento culminante del Risorgimento italiano e chi invece li vedrà come occasione fondante della nuova era fascista, oppure come punto di partenza per costruire l’Italia cattolica: dunque, un’identica norma viene letta o come arrivo o come avvio per destinazioni differenti.

Per comprendere questi significati dobbiamo allargare lo sguardo ed osservare come dal Risorgimento ai nostri giorni due periodi dividono la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa: il primo è definito separatista e si estende già dal 1848 e, soprattutto, dalla proclamazione del regno d’Italia fino al 1929; l’altro periodo, indicato come concordatario, prende avvio con i Patti lateranensi, si consolida nel 1948 con l’articolo 7 della Costituzione e si rinnova con gli Accordi di Villa Madama del 1984.

Il primo di questi momenti storici è caratterizzato dalla cosiddetta legislazione eversiva, che inizia nel Regno di Sardegna e viene estesa al Regno d’Italia; eversiva del patrimonio ecclesiastico e, in modo più generale, volta a colpire le posizioni di privilegio godute dalla Chiesa cattolica. Diverso è il secondo periodo in cui la Conciliazione viene intesa come esito del processo di unificazione non dell’Italia, già avvenuto, ma degli italiani.

Questo orientamento si pone in linea con la visione patriottica tesa ad inquadrare la grande guerra e l’11 febbraio del 1929 come eventi che segnarono il compimento dell’unità nazionale secondo il disegno cavouriano. Il fascismo non sarebbe stato dunque un prodotto nuovo e rivoluzionario, ma il frutto della guerra nazionale (una guerra che se segnò il collaudo della legge delle Guarentigie ne evidenziò le insufficienze), all’insegna della conservazione dei frutti della vittoria e della riconquistata pace religiosa. Seguendo la direzione della continuità – attraverso una serie di passaggi intermedi – arriviamo alle Guarentigie e, più indietro, allo Statuto albertino e per qualcuno ancora oltre, richiamando le tradizioni religiose di Casa Savoia.

Questo inquadramento non rappresentò una posizione isolata, ma l’espressione di una certa parte dell’opinione pubblica italiana che si rifaceva all’800, mentre ci fu chi pensò che l’Accordo concordatario dovesse servire al fascismo per avere maggiore consenso e, quindi, risultare più libero per poter realizzare, in quanto alleato con la Chiesa, lo Stato fascista.

C’è poi da aggiungere che la gerarchia ecclesiastica in occasione delle elezioni politiche del 1929 è prodiga di consensi per Mussolini e il 13 marzo la Giunta centrale dell’Azione cattolica: “richiama nei cattolici italiani il dovere di concorrere col loro voto alla formazione della nuova Assemblea legislativa, destinata a sancire e ad attuare le importantissime Convenzioni del Laterano, convinta che il perfetto adempimento di esse sarà uno dei contributi più necessari e più efficaci per l’auspicata prosperità e grandezza della Nazione” (L’Osservatore Romano, 17 marzo 1929, p.2).

A fronte di questo largo consenso, il dissenso è meno valutabile e rimase nascosto dai clamori dell’evento. Secondo taluno la soluzione conseguita sarebbe stata peggiore del male, soluzione che trovò oppositori anche nelle fila del fascismo del peso di Giovanni Gentile, il quale definì la possibilità di una conciliazione tra Stato e Chiesa sostanzialmente come una “brutta utopia”. Un dissenso che non fu presente soltanto in campo laico, ma si manifestò, seppur nascostamente, anche tra taluni cattolici più osservanti.

L’intero contenuto di questa monografia è volto a cogliere le sfaccettate reazioni che si manifestarono come esito della Conciliazione, dividendo ancora una volta gli animi tra coloro i quali ritenevano che, come fu per Enrico IV, “Parigi val bene una messa”, mentre per altri, meno clericali, ma più credenti una messa vale infinitamente più di Parigi.

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