Musica condizionataDopo Sanremo, The Voice of Italy: con la Rai è sempre conflitto d’interessi

Mentre Gigi D'Alessio ha subito dichiarato di conoscere il concorrente figlio del suo amico, i giurati Guè Pequeno ed Elettra Lamborghini hanno addirittura finto di non conoscere le due artiste in gara con cui condividono il management. Intanto, i pezzi grossi delle major si fanno selfie da mafiosi

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Tempo fa stavo parlando con il proprietario di un network radiofonico di levatura nazionale. A un certo punto lui dice una cosa che non mi trova d’accordo. Provo a spiegargli la mia posizione, ma lui, per chiudere lì il discorso, mi dice: “no, guarda, lo hanno detto alla radio”. In realtà non ha detto così, ma ha citato il suo network radiofonico invece di dire radio. Poco cambia. Ora, a parte la bizzarria di citare la propria radio per avallare una propria tesi, come se io avessi detto, “no, guarda, c’è scritto in un mio articolo”, la cosa che mi ha lì per lì spiazzato è stata questa fiducia solidissima nei confronti dei media. No, chiaro, mi ha più fatto sorridere che citasse il suo network, lo ammetto, ma la faccenda della fiducia inattaccabile nei confronti dei media resta lì, incredibile. Perché, a parte il fenomeno recente delle fake news, più in generale citare i media nazionali a prova della veridicità di un qualsiasi fatto, da che gli editori in qualche maniera si sono schierati politicamente, è diventato sport suicida.

Un tempo, mica era un caso, Maurizio Costanzo, uomo che di media se ne intende dalla notte dei tempi, aveva coniato il claim “La televisione è la televisione, la vita è la vita”, quasi anticipando Aldo Cazzullo e la sua crociata luddista nei confronti dei social e dell’iperconnettività, ma nei fatti diceva una cosa semplice e di buon senso, che chiunque sano di mente avrebbe sottoscritto, almeno in pubblico.

Poi, mica sono nato ieri, so bene che Berlusconi è diventato per la prima volta premier grazie all’uso spavaldo che ha fatto dei suoi media, e che chi oggi parla di danni di serie tv come Gomorra, ree di aver creato un’epica della camorra, in fondo non è che si discosti troppo dalla verità, ma da qui a far passare per vero quello che passa dentro le nostre televisioni o dentro le nostre radio, dai, su, non scherziamo, ce ne corre.

E se già tutto questo andrebbe applicato alla lettera nei confronti di quei programmi di informazione che si dichiarano già dai nomi di parte, figuriamoci per quelli di intrattenimento, che neanche hanno da confrontarsi con la deontologia professionale di chi pratica il giornalismo (deontologia che, diciamocelo, viene presa per il culo più spesso di quanto non capiti a Di Maio in una qualsiasi puntata di Propaganda Live). Per dire, nessuno, spero, prende sul serio quel che succede nel salotto di Uomini e Donne. Nessuno crede a una sola parola che viene emessa, o anche solo pensata, in uno dei programmi della D’Urso. Nessuno decifra come non-fiction quanto avviene in un qualsiasi reality, dall’Isola dei Famosi al Grande Fratello.

Tutta finzione. Tutta fuffa. Tutte cazzate. La televisione è la televisione, la vita è la vita.

Appunto.

Ma, ovviamente, c’è un ma. Perché ci sono programmi in cui, in teoria, la finzione non dovrebbe essere di casa. Perché ci sono i televoti, quindi si chiede agli spettatori di spendere soldi in cambio del proprio peso nel prendere determinate scelte, e se ci fosse di mezzo la fiction, tanto più la fiction non dichiarata, beh, sarebbe a tutti gli effetti una truffa ai danni dei consumatori.

Se poi la faccenda dovesse avvenire in una rete del servizio pubblico, temo, la faccenda sarebbe ancora più grave, perché non solo si trufferebbero i consumatori chiamati al televoto, ma lo si farebbe usando i soldi dei contribuenti per promuovere tale truffa. Insomma, un bel casino.

Mica è un caso, per dire, che il delirio sui conflitti di interessi relativi a Ferdinando Salzano sia venuto fuori riguardo al Festival di Sanremo e ai Music Awards. Sono entrambi programmi che vanno in onda su Rai1, nel servizio pubblico, appunto.

Bene. O male, fate voi.

Ora, a parte che a veder quelle facce viene un po’ da sorridere, la cosa che colpisce come un pugno allo stomaco, sulle prime, è l’evocare con il sorriso sulle labbra due pluriomicidi, per altro morti, come Riina e Provenzano. Davvero una battutona. Ma superato questo momentaneo disagio, superato anche un certo imbarazzo, resta il fatto che il capo delle edizioni della principale major musicale in Italia si senta di dipingersi come un boss tra i boss

Veniamo a oggi. In questo momento sta andando in onda su Rai2 The Voice of Italy, il talent noto perché le scelte iniziali dei giudici, i coach, o come cazzo si chiamano, si fanno spalle al palco, alla cieca. Il talent, in realtà, più noto per aver lanciato Suor Cristina, una sorta di flagello biblico che ciclicamente ci ritroviamo in mezzo alle scatole (e uso un modo di dire bambinesco solo perché sono figlio di un diacono) e soprattutto per non aver mai tirato fuori un talento che abbia avuto modo di essere riconosciuto come tale dalla filiera musicale.

Quest’anno gli ascolti stanno andando un po’ meglio, anche in virtù della scelta dei giudici. Nota la giusta esclusione di Sfera Ebbasta, di cui si era parlato a suo tempo, ritenuto inidoneo per via della tragedia di Corinaldo e dei suoi atteggiamenti poco consoni subito dopo quei fatti luttuosi, la Fremantle, casa di produzione anche di X Factor, si badi bene, ha optato per un quartetto sulla carta davvero bizzarro, ma nei fatti funzionante: Morgan, Guè Pequeno, Elettra Lamborghini e Gigi D’Alessio.

Al momento, mancano un paio di settimane alla finale, i giudici hanno fatto le loro selezioni alla cieca e una prima scrematura, arrivando a avere sei cantanti per team. Bene. O male, siamo sempre lì.

Nella narrazione del programma le scelte dei giudici avvengono alla cieca, appunto. Almeno nella prima fase. Poi, quando i giudici hanno fatto tutte le loro scelte, succede che assistono alle audizioni dei cantanti che si propongono per questa prima scrematura potendoli guardare. Tanto non li possono scegliere.

Per questo nell’ultima puntata è successo che Gigi D’Alessio guardasse con particolare trasporto l’esibizione di un cantante urban napoletano, scelto poi da Guè Pequeno, e, appena finita la sua esibizione si alzasse lo andasse a abbracciare e dichiarasse pubblicamente di conoscerlo sin da quando era un bambino, in quanto figlio di Sal Da Vinci, cantante pop napoletano suo grande amico. Un modo corretto di far sapere a tutti che i due si conoscono, tanto per non dar adito a voci o altro. Anche perché, questo è un fatto, il ragazzo anche volendo non sarebbe potuto finire nella squadra di Gigi, non in questa fase, avendo già Gigi finito le sue selezioni. TVOI, come viene chiamato sui social, non è un programma di fiction, ma un talent che prevederà il televoto, quindi si deve giocare corretto, questo il sottotesto.

Bravo Gigi. E bravi gli autori. Poi, chiaro, nello sviluppo del racconto ci sono anche parti scritte, quindi in qualche modo non esattamente vere, come quando Simona Ventura, la conduttrice del programma, va a chiamare a casa i futuri concorrenti. Ma quello è spettacolo, non è barare. Si costruisce, per dirla con gli haters di Gomorra e Saviano, un’epica.

Bene. O male, vedi tu.

Parliamo proprio di epica, adesso. La nostra discografia è moribonda. Qualcuno, io per esempio, sostiene che sia proprio morta da tempo, e che quella che si vede aggirare ora è in realtà uno zombie da abbattere a colpi di mazza da baseball con il filo spinato intorno, tipo la Lucille di Negan.

La discografia è morta, quindi, ma ci sono dei personaggi che la abitano che sembrano volerci raccontare altro. Restando in ambito di The Walking Dead, anche in quel mondo apocalittico lì, del resto, c’è chi si atteggia a re o regina, seppur di uno sparuto gruppetto di superstiti, figuriamoci nella nostra realtà tutta glitter e streaming.

Giorni fa, per dire, uno dei protagonisti di questo declino, Claudio Klaus Bonoldi, Head of A&R Italy della Universal Music Publishing, in sostanza l’editore che ha sotto contratto giganti come Tommaso Paradiso, Davide Petrella, Dario Faini, Calcutta e affini, ha pubblicato una foto che, se possibile, dice assai più di quanto io non possa fare con le parole, a riguardo. Nella foto, pubblicata su Instragram, c’è lui, la tipica stempiatura in bella mostra, in mezzo a due persone. Alla sua destra c’è Pico Cibelli, Director Local Frontline Repertoire della Sony, cioè il capo degli artistici della major in questione, alla sua sinistra Jacopo Pesce, un tempo pari ruolo in Universal, poi declassato, giustamente, a capo della Island Records, divisione della Universal Music Italy.

La foto, e qui sta il punto, il focus dell’epica, è accompagnata da queste parole: “Selfie con Riina e Provenzano”, seguite da un cuore nero e dall’hashtag #wargames.

Ora, a parte che a veder quelle facce viene un po’ da sorridere, la cosa che colpisce come un pugno allo stomaco, sulle prime, è l’evocare con il sorriso sulle labbra due pluriomicidi, per altro morti, come Riina e Provenzano. Davvero una battutona. Ma superato questo momentaneo disagio, superato anche un certo imbarazzo, resta il fatto che il capo delle edizioni della principale major musicale in Italia si senta di dipingersi come un boss tra i boss, per altro dimostrando che quando in passato si parlava di strane connessioni tra le multinazionali in questione, magari, non si era lavorato di fantasia come qualcuno ha provato a far credere.

I discografici come boss della mala. Roba buona per una puntata di Empire, o di Vynil, magari, o se si pensa a personaggi come Tony Mottola e artisti come, che so?, Johnny Cash, non certo se si pensa a Pico Cibelli, Jacopo Pesce e artisti come Rkomi o Tedua.

Ma il punto è l’epica, mica la verosimiglianza della narrazione. Questi si sentono evidentemente dei boss, e come boss si comportano. Torniamo quindi a TVOI.

Sono state fatte le squadre. Nelle squadre ci sono alcuni nomi che chi si occupa di musica conosce, altri sono delle vere novità. Per dire, su queste pagine si era parlato tre anni fa di Jessica Lorusso, che per qualche ora è stata nel team di Elettra Lamborghini, e altri nomi potrei fare.

Ma due sono i nomi che mi hanno particolarmente colpito. Mi fermo. E faccio un altro passo indietro.

Non sarebbe cioè il caso di togliere una volta per sempre di mezzo questi benedetti conflitti di interessi? Mica possiamo far passare per buono che la Universal, o qualcuno che per la Universal lavora, Shablo nello specifico, si faccia gli affari suoi nel servizio pubblico, no?

Durante le settimane precedenti alla messa in onda delle puntate, abbiamo avuto modo di assistere al dietro le quinte del programma grazie a quanto i giudici hanno pubblicato sui social. Sappiamo che, proprio in virtù del cambio della guardia in corsa tra Gigi D’Alessio e Sfera Ebbasta le audizioni sono state fatte in maniera molto serrata, al punto che in puntata si sono dovuti giustificare del fatto che i giudici erano vestiti sempre uguale (e la motivazione trovata, è una scelta estetica, di riconoscibilità, un po’ come i vestiti dei Simpson, è davvero da capo dei capi, Guè, complimenti). In questa narrazione sui social abbiamo appreso che, per creare lo spirito da spogliatoio, subito prima di iniziare le audizioni i quattro giudici sono stati mandati in una SPA per socializzare e rilassarsi. C’è una foto che ce lo racconta bene. C’è Guè Pequeno, lui ha fatto il selfie, e ai suoi lati ci sono Gigi D’Alessio, con cui fraternizzerà al punto da fare poi un feat nel suo nuovo singolo, Quanto amore si dà, e Dj Shablo, A&R della Island, Universal Music Group, titolare dell’agenzia Thaurus, quelli del tour farlocco di Sfera Ebbasta, per capirsi, nonché manager dello stesso Guè, della Lamborghini e di tanti altri artisti.

Concentriamoci su Shablo. Di lui abbiamo parlato in passato, per la sua continguità con Jacopo Pesce, il Provenzano o Riina della foto di Bonoldi, non è dato a saperlo, e per questo suo essere manager di una porzione importante dei giudici di TVOI. Lui lavora per la Universal, major titolare dei diritti sul talent di Rai1 tanto quanto Sony lo è per X Factor, e anche per la Thaurus. Con la Thaurus produce e spinge artisti, spesso poi distribuiti dalla Island diretta proprio da Pesce, il Provenzano o Riina della foto di Bonoldi, vallo a capire. Tra gli artisti, anzi, le artiste, visto che sono due donne, prodotte da Shablo con la sua Thaurus, ci sono anche Leslie e Hindaco. Le due hanno anche fatto un brano insieme, con Shablo. “Bimbe (Holla)”. E mentre Hindaco al momento non risulta più seguita da Thaurus, Leslie è invece ancora lì. La cosa che stupisce, e che lascia basiti, è che ovviamente le due siano finite nei team dei due artisti di Shablo, Guè e Elettra Lamborghini. Artisti che, però, a differenza del Gigi D’Alessio che, seppur fuori dai giochi, si è sentito in dovere di dichiarare la sua amicizia con il figlio di Sal Da Vinci, né Guè né Elettra si sono sentiti in dovere di raccontarci la loro profonda continguità con le due trapper/rapper. Hanno fatto proprio finta di non sapere chi fossero, ricordiamolo, hanno lo stesso management in comune, fanno parte della stessa famiglia.

Ora, siccome Rai2 è una rete del servizio pubblico e siccome in finale sarà il televoto a decidere chi vincerà, quindi sono in ballo sia i soldi dei contribuenti, sia i soldi dati a chi gestirà il televoto, mi chiedo e chiedo ai soliti Salini e Foa, non sarebbe il caso di eliminare le due concorrenti? Non sarebbe cioè il caso di togliere una volta per sempre di mezzo questi benedetti conflitti di interessi? Mica possiamo far passare per buono che la Universal, o qualcuno che per la Universal lavora, Shablo nello specifico, si faccia gli affari suoi nel servizio pubblico, no?

Torno poi all’incipit di questo articolo, c’è ancora qualcuno che creda a quello che passa dentro la televisione? Cioè disposto a spendere i propri soldi per televotare qualcuno ben sapendo che, è chiaro, i giochi sono fatti addirittura prima di cominciare, sempre per la famosa contiguità di cui parlava la De Santis a Sanremo?

Chiudo poi rivolgendomi a Alessandro Massara, che so persona per bene, presidente della Universal Music Italia, è il caso che i suoi dipendenti utilizzino questo linguaggio sui social? Riina? Provenzano? Siamo seri?

Scrivo questo nel giorno in cui ricorre la morte del giudice Falcone, della sua compagna e della sua scorta, santo Dio, a tutto c’è un limite.

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