I numeri degli economistiAnche il Rapporto sullo stato sociale boccia il governo: “Con reddito e quota 100 l’Italia non crescerà”

Presentato alla Sapienza di Roma il “Rapporto sullo stato sociale” del 2019. Secondo gli economisti, la manovra avrà una limitata capacità espansiva. Colpa anche di reddito e quota cento, che hanno performance più basse delle previsioni di Palazzo Chigi

Uno: manca un’«adeguata attenzione al lungo periodo che invece sarebbe necessaria per affrontare i problemi strutturali insiti del nostro sistema economico». Due: «Si avverte una limitata capacità espansiva». Tre: reddito di cittadinanza e “quota cento” non avranno gli effetti economici previsti. Le conclusioni dell’ultimo “Rapporto sullo stato sociale” dell’Università Sapienza di Roma sulla manovra di bilancio del governo Conte sono tutt’altro che positive. Il 2019, parafrasando il premier Giuseppe Conte, sarà tutt’altro che un anno bellissimo.

Anzi. In uno scenario di crescita da zero virgola, le performance economiche che gli economisti intravedono sono scarse. «Gli investimenti pubblici sono stati ridotti e la spesa si concentra sui trasferimenti destinati al reddito di cittadinanza e quota cento che, a guardare i numeri, avranno performance più basse di quelle potenziali e anche più basse di quelle che ci si aspettava», spiega a Linkiesta Felice Roberto Pizzuti, professore di Politica economica della Sapienza, che ha curato il Rapporto.

Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che ha partecipato alla presentazione del rapporto nell’ateneo romano, ha aggiornato i numeri delle domande del reddito di cittadinanza arrivate all’istituto. «Sono 1,2 milioni, secondo i dati aggiornati a qualche giorno fa», ha detto. «Il tasso di rifiuto si conferma intorno al 25-27%», per cui «gli individui raggiunti cono circa 3 milioni». Siamo lontani ancora, quindi, dai 5 milioni di beneficiari in condizione di povertà stimati dal governo. Motivo per il quale il reddito, secondo il Rapporto, potrebbe non avere quell’effetto di crescita economica, legata all’aumento corrispondente dei consumi, su cui il governo invece aveva puntato.

Sia perché le domande sono minori del previsto (tant’è che il governo ha già stimato un risparmio), sia perché i furbetti sono sempre dietro l’angolo. E a far diminuire le richieste del sussidio potrebbero essere gli stessi requisiti imposti per l’accesso. «Misure come il reddito di cittadinanza oscillano sempre tra Scilla e Cariddi: tra il potenziale uso opportunistico di beneficiari che potrebbero avere redditi nascosti, non destinando quindi il sussidio interamente per i consumi, e i complicati vincoli per l’accesso che generano il timore di esporre a controlli la propria reale situazione reddituale», dice Pizzuti. Tant’è che «l’efficacia potenziale del reddito potrebbe addirittura dimezzarsi», si legge nel rapporto.

Non solo. «L’ammontare del beneficio previsto dal reddito di cittadinanza e la sua vicinanza con alcune retribuzioni, specialmente se a tempo ridotto, potrebbe dar luogo a una riduzione dell’offerta di lavoro o favorire occupazioni totalmente in nero o con retribuzioni dichiarate inferiori rispetto a quelle effettive», si legge. «Per attenuare questi rischi, si potrebbe prevedere anche la possibilità tra un cumulo parziale tra il beneficio ricevuto come reddito di cittadinanza ed eventuali redditi da lavoro». L’equilibrio che va trovato è «tra dissuadere da comportamenti opportunistici e illegali ed evitare vincoli di accesso e controlli per i beneficiari così scoraggianti da tramutarsi in barriere anche psicologiche alla richiesta di queste prestazioni per chi sarebbe opportuno le ricevesse».

Gli investimenti pubblici sono stati ridotti e la spesa si concentra sui trasferimenti destinati al reddito di cittadinanza e quota cento che, a guardare i numeri, avranno performance più basse di quelle potenziali e anche più basse di quelle che ci si aspettava


Felice Roberto Pizzuti, professore di Politica economica della Sapienza

E anche sull’anticipo dell’età della pensione previsto da “quota cento”, le previsioni degli economisti della Sapienza non sono ottimistiche quanto quelle di Palazzo Chigi. A confermarlo, sono le stesse domande arrivate all’Inps, poco più di 116mila fino a metà aprile scorso, di cui circa il 20% respinto per mancanza di requisiti. Ma le aspettative del governo erano più alte: si prevedeva che le adesioni arrivassero all’80% dei potenziali beneficiari, pari a 365mila persone secondo la relazione tecnica del decretone, corrispondenti a una maggiore spesa di 4,8 miliardi nel 2019. La spesa sul bilancio dell’Inps, quindi, sarebbe di molto minore. Ma anche i numeri sui nuovi posti di lavoro per i giovani, il ringiovanimento della forza lavoro e l’aumento della produttiività annunciate dal governo non ci saranno. Nonostante da molte parti si fosse già fatto notare che per ogni quattro nuovi pensionati con quota cento, ci sarebbe stato un solo nuovo occupato e non quattro.

«Se si pensa che gli 80 euro del precedente governo non hanno stimolato gli sperati aumenti di consumo, ma un aumento del risparmio dovuto ad aspettative non ottimistiche sui redditi futuri, le adesioni a quota cento potrebbero essere inferiori alle aspettative per lo stesso motivo», dice Pizzuti. «L’incertezza del futuro può spingere ulteriormente gli occupati a scegliere di non anticipare la pensione, a causa della connessa riduzione del reddito prevista».

Qualcuno potrebbe dire, insomma, che il governo aveva fatto i conti senza l’oste. E, alla fine, quei conti non sorrideranno. Se secondo il Ministero dell’Economia l’effetto moltiplicativo della manovra economica sul Pil dovrebbe essere di circa un punto percentuale, in base al modello previsionale utilizzato nel “Rapporto sullo stato sociale”, lo stimolo positivo sarebbe invece solo di circa mezzo punto percentuale e si concretizzerebbe non prima della metà del 2020. Certo, l’effetto espansivo della manovra potrebbe essere maggiore, con un moltiplicatore fino allo 0,85. Ma solo se i trasferimenti messi a disposizione del reddito di cittadinanza fossero completamente assorbiti dai 5 milioni di beneficiari poveri previsti e se questi trasformassero i 780 euro ricevuti in acquisti e consumi. Ma visto che non avverrà, intanto, la Corte dei Conti ha già consigliato al governo di non scavare ancora di più la fossa del debito pubblico, usando il risparmio del reddito “per ridurre il disavanzo e rientrare dal debito”.

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