Sovraffollate, disumane e fatiscenti. Le carceri italiane, nonostante il calo dei reati, non migliorano la loro condizione. Poche settimane fa è arrivata l’ennesima bacchettata da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo sul giro di vite applicato per la legge che regola il carcere a vita. L’ergastolo italiano è stato descritto come disumano, e nel caso non fosse abbastanza a sottolineare la gravità della situazione, nel giro di due giorni nelle carceri italiane sono morti tre detenuti (due dei quali si sarebbero suicidati).
Sommosse soffocate come quella avvenuta a Napoli nel carcere di Poggioreale, dove in poche ore i detenuti hanno preso il sopravvento sulla gestione del presidio detentivo, sono benzina in questo scenario infuocato che da un momento all’altro rischia di esplodere. Secondo l’ultimo report, “Il carcere secondo la Costituzione”, dell’associazione Antigone, una delle maggiori organizzazioni in difesa della tutela dei diritti dei carcerati, sono 60.439 i detenuti presenti nelle carceri italiane al 30 aprile 2019: quasi 10.000 in più dei 50.511 posti letto ufficialmente disponibili, per un tasso di affollamento ufficiale che sfiora il 120%.
Numeri che lasciano poco spazio all’immaginazione e riportano la Nazione indietro nel tempo, precisamente al 2013, ai giorni della sentenza Torreggiani emessa della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ci condannava per la violazione dell’art. 3 della Cedu per i “trattamenti inumani e degradanti” subiti dai detenuti in alcuni istituti penitenziari italiani. Un’onta che ha pesato sull’onore dell’intero Paese ma che, da quanto emerge in quest’ultimo report, non ha fatto sì che la situazione cambiasse poi molto.
Salvo per la parentesi dell’indulto del 2006 e l’onda d’urto provocata dalla sentenza di Strasburgo nel 2013, la popolazione detenuta è stata tendenzialmente in continuo aumento e in piena dissonanza con i dati che registrano la frenata dei reati. “Ciò è spiegabile con diverse considerazioni, tra cui sicuramente una riduzione del fenomeno cosiddetto delle ‘porte girevoli’, vale a dire delle permanenze in carcere di arrestati in flagranza di reato per periodi brevissimi in attesa dell’udienza di convalida”, argomenta il report. Allo stesso tempo, la tendenza a emettere pene più lunghe comporta una diminuzione del flusso di uscita e pertanto l’aumento della popolazione carceraria.
La medaglia d’oro per la regione con il maggior numero di detenuti va alla Lombardia (8.610), seguita da Campania (7.844), Lazio (6.528) E Sicilia (6.509). Mentre quella dove il tasso di affollamento è maggiore è la Puglia (160,5%), seguita dalla Lombardia (138,9%). Le uniche regioni virtuose sono la Sardegna e le Marche. Più significativi i numeri assoluti dei detenuti rispetto ai posti letto disponibili: a Poggioreale sono alloggiati 731 detenuti in più di quelli che l’istituto potrebbe contenere, per l’altro penitenziario napoletano, Secondigliano, sono 418. Anche il romano Rebibbia Nuovo Complesso ospita oltre 400 detenuti in più della sua capienza, mentre Regina Coeli “solo” 381. Storia analoga per Milano, Lecce,Torino,Taranto e Bologna.
Nel 35,3% di quest’ultime, infatti, non c’è acqua calda, il 7,1% non dispone di un riscaldamento funzionante, nel 20% non ci sono spazi per permettere ai detenuti di lavorare e nel 27,1% non ci sono aree verde per i colloqui coi familiari. Risulta inoltre che il 18,8% degli istituti presentano celle dove non si rispetta il parametro dei 3mq per detenuto (soglia minima secondo la Corte di Strasburgo), le quali per giunta nel 54,1% dei casi non dispongono neanche della doccia
«Gli obiettivi che la Costituzione assegna all’esecuzione penale sono importanti: assicurano la dignità dei detenuti e favoriscono la loro risocializzazione», afferma Gianmarco Gori, membro de L’altro diritto, il centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità. «Le risorse disponibili tuttavia non sono mai sufficienti. Il compito di L’altro diritto pertanto è quello di colmare questa costante condizione di carenza in quanto è estremamente importante fornire gli strumenti necessari per conoscere i propri diritti. In particolare per i detenuti di origine straniera che spesso si trovano in una condizione ancora più svantaggiata, mancando di quella rete sociale sul territorio (colloqui con esterni, avvocato, etc) che gioca un ruolo fondamentale per assicurare la possibilità di una detenzione umana e per progettare qualche forma di reinserimento».
Deleterio e inumano, il sovraffollamento tuttavia non è il solo morbo che affligge le carceri italiane. Nel 35,3% di quest’ultime, infatti, non c’è acqua calda, il 7,1% non dispone di un riscaldamento funzionante, nel 20% non ci sono spazi per permettere ai detenuti di lavorare e nel 27,1% non ci sono aree verde per i colloqui coi familiari. Risulta inoltre che il 18,8% degli istituti presentano celle dove non si rispetta il parametro dei 3mq per detenuto (soglia minima secondo la Corte di Strasburgo), le quali per giunta nel 54,1% dei casi non dispongono neanche della doccia.
A gravare sul bilancio ci sono poi i dati sul tasso di suicidi e malattie mentali. La perdita della libertà personale e le condizioni in cui spesso si è obbligati a scontale la pena, hanno portato a 28,7 la percentuale di detenuti che assume una terapia psichiatrica e, dall’analisi del portale Ristretti Orizzonti, a ben 67 il numero dei suicidi (69 se si contano i recenti avvenimenti). Scende invece il tasso di omicidi dietro le sbarre, mentre dal 2015 crescono gli atti di autolesionismo, che lo scorso anno sono arrivati a 10.368.
Nel corpo di polizia penitenziaria mancano all’appello circa 5mila unità. In aggiunta alle altre 5mila tagliate dalla legge Madia, per un totale complessivo di 10mila assenti
Contro ogni previsione, l’Osservatorio Antigone smorza ogni tipo di allarme stranieri nelle carceri italiane. Negli ultimi 10 anni le presenze straniere negli istituti penitenziari sono diminuite di oltre 1.000 unità: ogni 100 stranieri residenti regolarmente in Italia, lo 0,36% finisce in carcere (considerando anche gli irregolari). Resta il fatto, che i detenuti stranieri compongono il 33,6%, circa 20mila unità, tra cui si distinguono per entità i marocchini e i nigeriani (in netto aumento in questi ultimi anni), mentre calano le presenze dei rumeni e di filippini (a prevalenza femminile).
C’è poi la questione dei reati. Perché di fatto riusciamo ad avere uno tra i peggiori sistemi penitenziari europei e allo stesso tempo un crollo del numero dei reati? L’effetto collo di bottiglia ha portato l’Italia a essere il primo paese dell’Ue per incremento della popolazione detenuta tra il 2016 e il 2018, in quanto di mix come il nostro, leggi che inaspriscono le pene e giudici che emettono sentenze più dure, è difficile trovarne altrove. Nell’ultima decade le condanne inferiori ai 5 anni sono diminuite del 30% mentre quelle più lunghe sono aumentate del 53%. La prima ragione per cui si viene messi “al fresco” restano comunque i reati di droga: in media, i carcerati in Europa per questi tipi di reati sono il 18%, in Italia il 35%.
Facendo un passo all’esterno dello schema statistico con il quale viene analizzato il mondo penitenziario, però, la realtà assume un respiro ancora più greve. «Nel corpo di polizia penitenziaria mancano all’appello circa 5mila unità. In aggiunta alle altre 5mila tagliate dalla legge Madia, per un totale complessivo di 10mila assenti», spiega Gennarino De Fazio, segretario nazionale dell’organizzazione sindacale Uilpa Polizia Penitenziaria. «L’affollamento è solo uno dei problemi: il più grave, ovviamente, da cui discendono gli altri. Quello che è all’origine di tutto, però, rimane il fallimento dell’intero progetto e del modello in cui lo Stato ha investito. Il paradosso è tale: l’inasprimento delle pene all’esterno ha innescato un allargamento delle maglie all’interno dei carceri, in quanto non c’è coerenza tra misure restrittive e risorse del sistema penitenziario».
Beh, se come chiosava Fedor Dostoevskij “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”, allora l’Italia deve davvero cominciare a preoccuparsi
Insomma, se la funzione degli istituti penitenziari è quella di rieducare nel rispetto della dignità umana, in Italia siamo ben lontani dall’obiettivo. E in primis lo si deve a un fattore puramente economico: nonostante il lieve aumento di circa 17 milioni per i fondi destinati all’Amministrazione Penitenziaria, il costo per il detenuto è sceso in modo drastico passando da 137,02 euro nel 2018 a 131,39 euro al 30 aprile 2019 (causa e conseguenza, l’aumento delle persone recluse). Come se non bastasse, il Difensore Civico di Antigone nel corso del 2018 ha trattato 120 nuovi casi, praticamente un nuovo caso ogni tre giorni, relativi ad abusi, maltrattamenti, diritti non rispettati e condizioni strutturali allarmanti.
A rimetterci, però, non sono solo i detenuti. «La sola analisi numerica non è sufficiente per capire le dinamiche di un istituto penitenziario», afferma Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Penitenziari. «Sono aumentate le violenze carnali tra detenuti e circa del 400% le aggressione nei confronti dei poliziotti penitenziari. Ma la cosa più drammatica è il fatto che lo Stato in carcere non comanda più. Oggi i detenuti comunicano con l’esterno con una facilità enorme e il sistema rieducativo è praticamente assente».
Ma non solo. Se l’allarme stranieri secondo Antigone è del tutto controllato, per Di Giacomo le cose sono decisamente differenti. «Oltre che sul territorio campano e siciliano, la mafia nigeriana è anche e sopratutto all’interno delle carceri, dove detta legge agli altri detenuti. Specializzata in atti di violenza meschini nei confronti dei carcerati, questo tipo di mafia è sottovalutata dalla sfera politica e a mio avviso molto pericola fuori e dentro gli istituti».
Beh, se come chiosava Fedor Dostoevskij “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”, allora l’Italia deve davvero cominciare a preoccuparsi.