E dopo mesi di lavoro sottotraccia, di toni sobri e silenziosi, ecco che il presidente della Camera Roberto Fico ha levato il suo ruggito, dando un serio scossone al già traballante Governo. La prima spira di fuoco del pentastellato ha avuto come destinatario il premier Giuseppe Conte, al quale sta per giungere in queste ore una lettera in cui la terza carica dello Stato si lamenta delle condizioni in cui versa il Parlamento. “Camera ingolfata”, è il severo incipit della missiva, “più coordinamento sui decreti legge”. Un atteggiamento tanto intransigente quanto polemico, che fa tornare alla mente i tempi antichi, in cui Fico era tra i primi militanti e cuore pulsante del Movimento 5 stelle.
Cosa ha in mente ora? Fonti parlamentari parlano di una sua voglia non più reprimibile di far fuori politicamente Luigi Di Maio. Tra i due, ci confermano le stesse fonti, c’è ormai una distanza siderale, non c’è dialogo, e nelle prossime settimane questa situazione sarà sempre più evidente. Fico, dal canto suo, interloquisce con i partiti di sinistra, Leu in primis, e vive una sorta di frustrazione politica, che lo vede tenuto in disparte e affossato dal regolamento parlamentare.
Dov’è esattamente il problema? A differenza del Senato, alla Camera i lavori d’aula sono costantemente rallentati dalla valanga di ordini del giorno delle opposizioni. Per migliorare la situazione andrebbe appostata una modifica al regolamento. Chi può farlo? È davvero Conte a doversene occupare? Persone attorno a Di Maio ci spiegano che la persona giusta per farlo sarebbe proprio Fico, ma il motivo del suo scaricabarile su Conte è facile da intuire. Nella scorsa legislatura Ettore Rosato, che era capogruppo del Partito democratico alla Camera, voleva modificare il regolamento, ma i grillini si sono opposti. Ora per coerenza – o forse, dicono i rumor, per affaticare l’Esecutivo – Fico colpevolizza Conte e questo non fa altro che appesantire le spalle già stanche di Di Maio, terrorizzato di andare al voto a settembre.
Come Di Maio gestirà questa crisi interna per il momento non è dato saperlo, ma ciò che si prevede, è che lo scontento verso i sottosegretari Cinque stelle tenderà a crescere nelle prossime settimane
Nella stessa giornata della lavata di capo al premier, Fico si è anche scagliato contro i lobbisti, i cosiddetti “rappresentanti di interesse” che godono di una speciale tessera emessa dal Parlamento e iscritti in un’apposita lista. A Di Maio basterebbe già questa gatta da pelare, ma di profonde spaccature interne ce ne sono addirittura altre due. La prima è quella che fa capo al senatore Gianluigi Paragone, che al Senato ha ormai un grande seguito, e attorno al quale potrebbero orbitare i cosiddetti “dissidenti”. Il parlamentare, dicono fonti all’interno del Movimento, avrebbe la carte in regola per prendere la leadership del partito-piattaforma.
Ulteriore grana con cui dovrà misurarsi il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico Di Maio, è quella che risponde al nome di Davide Crippa, il sottosegretario proprio al Mise, quindi numero due di Di Maio stesso, che nonostante nei giorni scorsi sia passato per la “graticola”, cioè per il vaglio in stile mini processo dei parlamentari gialli, è in totale rotta di collisione con gli esponenti Cinque Stelle della decima commissione del Senato. La decima commissione della Camera, invece, lo difende a spada tratta, allontanando di fatto una soluzione indolore per la maggioranza grillina di governo.
Come Di Maio gestirà questa crisi interna per il momento non è dato saperlo, ma ciò che si prevede, è che lo scontento verso i sottosegretari Cinque Stelle, non solo Crippa, tenderà a crescere nelle prossime settimane. Quanto a Fico, c’è chi scommette che il letargo dei mesi scorsi sia giunto definitivamente al capolinea e che gli accadimenti di queste ore siano solo un assaggio dei fuochi d’artificio per far cadere il governo, o comunque per ridisegnare le proporzioni interne del Movimento.