Nella gara per ospitare le Olimpiadi invernali 2026 hanno vinto Lombardia e Veneto, insieme a Trentino-Alto Adige. A perder però potrebbe non essere stata solo la Svezia. Il grande evento, che indubbiamente avrà un impatto positivo sull’occupazione a medio termine, 8500 posti di lavoro previsti, potrebbe non essere così sostenibile e potrebbe incontrare più di una difficoltà a causa delle mutazioni del clima. Per il comitato organizzatore l’Olimpiade italiana risponde alle linee adottate dal Cio con la sua ultima riforma, la quale impone come requisito indispensabile per le candidature l’organizzazione di eventi a impatto ambientale contenuto e l’ottimizzazione di infrastrutture e sfruttamento del suolo. Ma il piano attuale di sostenibilità potrebbe non essere sufficiente a vincere la medaglia “verde”.
Uno dei principali problemi potrebbe essere lo scarso innevamento a causa del climate change. Secondo il climatologo Luca Mercalli, raggiunto da Linkiesta, «lo scenario climatico non può che essere ostile a questo evento. Passeranno altri 7 anni e le temperature medie aumenteranno. Certamente non farà più freddo di oggi. Sotto i 2000 metri la carenza di neve è già oggi un problema reale». Nel 2017, 57 delle 666 località sciistiche alpine non hanno potuto contare sui 30 centimetri minimi di neve per i tre mesi necessari ad assicurare la sopravvivenza nella stagione invernale
Per essere sicuri di avete tutta la neve necessaria si rende necessario costruire nuovi bacini idrici necessari per l’innevamento, andando però così ad alterare ulteriormente un ambiente già fortemente antropizzato e diminuendo le riserve idriche per l’agricoltura. Oltre che con impatti energetici importanti. Secondo il WWF Italia i 4.700 km di piste italiane consumano, oltre a un’esorbitante quantità di acqua, 600 GWh di energia all’anno per un costo di circa 136.000 euro per ettaro di pista.
Sarà un evento fuori scala rispetto alla capacità di accoglienza di piccole vallate dolomitiche ambientamene fragili
Gli ecosistemi montani settentrionali sono inoltre molto fragili da un punto di vista della biodiversità e della stabilità ecologica, messi già a dura prova da un turismo sempre più sregolato e da una crescente antropizzazione. Secondo gli esperti nell’arco alpino dovrebbero aumentare le aree protette e spingere su quello che Legambiente ha definito nel report Nevediversa 2018, “turismo invernale leggero”. Invece le Olimpiadi2026 aumenteranno inevitabilmente la popolarità delle destinazioni per il turismo di massa che favorisce l’uso degli impianti da sci, invece che alimentare una crescita di turismo alpino invernale sostenibile, a base di sci alpinismo, fat bike riding e ciaspolate.
Ci saranno poi ovviamente gli impatti inevitabili di tutti i grandi eventi: dallo spreco e creazione di rifiuti, alla mole immensa di CO2 generata da tutti gli spostamenti dei 250mila partecipanti, tra sportivi, spettatori e operatori media attesi. Secondo il comitato per la tutela delle alpi costituito da Mountain Wilderness, WWF Terre del Piave O.A., Italia Nostra Sez. Belluno «sarà un evento fuori scala rispetto alla capacità di accoglienza di piccole vallate dolomitiche ambientamene fragili, e al contempo portatrici di grandi valenze storiche e paesaggistiche, culturali e identitarie, che pretendono rispetto e non ammettono manomissioni né sovraccarichi».
Numerose nazioni e regioni hanno detto no alle olimpiadi invernali proprio per ragioni ambientali. A Calgary, in Canada, i cittadini hanno votato in un referendum per concentrare le risorse sulla tutela del territorio e evitare di sperperare denaro pubblico nei grandi eventi. Nel 2017 Innsbruck con 67,41% voti contrari ha rifiutato di candidarsi insieme a Kitzbuehel. Il timore è che le Olimpiadi possano divergere risorse per le sfide ambientali sempre più urgenti. «Milano ha davanti una grande sfida, quella di decarbonizzare la città e cambiare modello di mobilità. Speriamo che non si perdano sette anni per le Olimpiadi2026 spendendo e disperdendo risorse che servirebbero invece per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità meneghini», dice Stefano Caserini, professore del Politecnico di Milano.
Dato che la loro realizzazione è inevitabile si può optare per un evento assolutamente circolare, ad emissioni quasi zero, che abbia un impatto rigenerativo, fissando obiettivi ben più ambiziosi di quelli presentati dal comitato promotore lombardo-veneto
Paolo Cognetti, autore del libro “Le otto montagne”, spinge «per una gentile protesta. Un evento così crea lavoro per qualche anno, ma poi quel lavoro se ne va dalla montagna, e rimangono solo i segni. Per evitare ciò si dovrebbe fare un evento rigenerativo, che spinga sulla tutela del territorio e lo migliori addirittura, penso ai luoghi colpiti dalla tempesta Vaia. Se tuteleremo montagna e boschi, facendo tutto quello che non si fa oggi, allora avremo un’Olimpiade memorabile».
È possibile, dunque, fare le Olimpiadi 2026 in maniera sostenibile? Dato che la loro realizzazione è inevitabile si può optare per un evento assolutamente circolare, ad emissioni quasi zero, che abbia un impatto rigenerativo, fissando obiettivi ben più ambiziosi di quelli presentati dal comitato promotore lombardo-veneto. «Abbiamo pensato ad un’olimpiade sostenibile. Ad esempio il 93% degli impianti inseriti è esistente o temporaneo», afferma il presidente del Coni, Giovanni Malagò. I Giochi 2026 puntano a riciclare il 100 per cento dei rifiuti urbani e l’80 per cento degli imballaggi, il divieto di incarti e confezioni monouso per cibi e bevande nonché con la scelta di materiali per il mantenimento del ghiaccio con meno ammoniaca, e l’utilizzo di pannelli solari per l’alimentazione degli impianti per la neve artificiale.
È indubbiamente un inizio. Ma cosa si può fare di più? Se da un lato la decisione di creare un evento diffuso ridurrà la pressione dei visitatori su una singola area, dall’altro si dovrà lavorare tantissimo sulla mobilità sostenibile per ridurre quando possibile gli spostamenti in auto. La sfida non è banale, dato che oggi da Livigno a Cortina con l’auto si impiegano 5 ore, mentre con i mezzi non esistono nemmeno soluzioni praticabili. «Servirà portare su treno il più alto numero di spettatori possibile collegando le aree remote con autobus elettrici che nel 2026 saranno pienamente disponibili. Bisognerà investire in quella direzione, anche con adeguate infrastrutture, e disincentivare l’automobile. Va creato un gruppo di lavoro dedicato alla mobilità che cerchi soluzioni leggere che combini mezzi pubblici con mobilità elettrica e studi nuove forme di sharing moblity per gli spettatori», dice a Linkiesta Gianni Silvestrini, direttore scientifico Kyoto Club.
Il goal emissioni nette zero è possibile e potrebbe segnare uno standard per eventi futuri, nel pieno rispetto delle linee guida Cio e dell’accordo di Parigi
C’è poi la sfida dei gadget, del food&beverage, attrezzature, costruzioni. Nel 2020 il Giappone realizzerà la prima Olimpiade con linee guida completamente circolari. Nel settore delle costruzioni, ad esempio, la progettazione modulare e l’uso di materiali durevoli di costruzione ridurranno gli sprechi. Un principio da tenere in considerazione anche per la realizzazione del villaggio olimpico nello Scalo di Porta Romana e per tutte le infrastrutture. Nell’area dei servizi, una soluzione per evitare di dover costruire hotel che non saranno necessari dopo i Giochi è quella di incentivare i cittadini a offrire servizi di condivisione della casa. Infine, sebbene sia una minuzia, il Giappone ha ricavato i metalli delle medaglie dal riciclo di telefoni. Milano-Cortina porrebbe fare lo stesso.
Sul piano compensazioni gli organizzatori dovranno lavorare per riforestare aree in bassa quota per compensare con le emissioni inevitabilmente generate dai viaggi degli atleti e spettatori. Il goal emissioni nette zero è possibile e potrebbe segnare uno standard per eventi futuri, nel pieno rispetto delle linee guida Cio e dell’accordo di Parigi. Infine i ricavi delle Olimpiadi dovrebbero servire proprio per sostenere la tutela del territorio sul lungo periodo allargando i parchi nazionali e costituendo nuove aree protette, rafforzando il sostegno a rifugi e attività di turismo leggero. Magari, una volta per tutte, chiudendo i passi ad auto e moto alpini per tutto l’anno.
Luca Mercalli rimane pessimista: «questi grandi eventi, anche con una mano di vernice verde, peggiorano il bilancio ambientale. Dai viaggi in aereo in tutto il mondo alla cementificazione, dagli impatti sui boschi alle strutture abbandonate, molto spesso rimangono solo i danni, come ben abbiamo visto in Piemonte». La vera medaglia la vincerà chi riuscirà a spingere gli organizzatori a fare molto di più che semplicemente considerare i problemi di sostenibilità.