Barbarie politicaPiù Greta, meno Salvini: sono i cambiamenti climatici che fanno migrare le persone, non le navi delle Ong

Sulla questione migranti si continua ad oscillare tra il buonismo dell’accoglienza indiscriminata e la propaganda che si ostina a ignorare un fenomeno inarrestabile. Le soluzioni si possono trovare. Ma non è comportandosi così che Salvini farà svegliare l’Europa

Secondo l’ultimo rapporto dell’ONU, i cambiamenti climatici sono la causa principale delle migrazioni. Desertificazione, carestie, disastri naturali riducono le possibilità di sviluppo, impoveriscono ancora di più le aree colpite e innescano giganteschi movimenti di popolazione. Fra i 100 e i 140 milioni di individui saranno le vittime di questo immane danno collaterale, popoli in movimento nei prossimi anni, ed è superfluo chiedersi verso quali aree del mondo saranno diretti. L’errore che si continua a commettere, sia a livello di decisori, sia a livello di opinione pubblica, è di oscillare fra il buonismo dell’accoglienza indiscriminata e la propaganda che ignora fenomeni di cui occorrerà prima o poi assumere qualche responsabilità. Non è necessario risalire al passato coloniale, alle sciagurate guerre umanitarie del secolo scorso, all’opera sistematica di sfruttamento delle risorse del terzo Mondo, alle politiche militari e ideologiche delle grandi potenze. Basterebbe una dose intelligente di egoismo, basterebbe cioè comprendere che di questo passo non si salva nessuno. Né i migranti, né gli “stanziali”

Se è vero, come è vero, che non possiamo accogliere tutti – anche perchè le conseguenze sociali e politiche sarebbero devastanti, sia per le società interessate sia per gli stessi migranti, vittime e al tempo stesso capri espiatori – è soprattutto vero che non è più possibile fare finta di non vedere la genesi dei fenomeni, non impegnarsi a costruire politiche nazionali e continentali, trincerarsi dietro pregiudizi e luoghi comuni che alimentano le peggiori opzioni politiche e ideologiche, che in fin dei conti danneggiano gli stessi Paesi di accoglienza.

Non sarà uno sbarco in più o in meno a cambiare il corso delle cose, ma un gesto di umanità potrebbe essere il primo passo per costruire una politica condivisa, basata sulla realtà e non sulla sua negazione

Ecco perchè il caso Sea Watch può essere il paradigma di questi scenari. Un caso da calura estiva che scalda le teste e non i cuori, una briciola nel grande mare delle tragedie, dei numeri, delle statistiche, degli scenari del nostro tempo. Usare la Sea Watch come grimaldello propagandistico, accompagnato da consuete volgarità (la comandante « sbruffoncella ») nei confronti di chi rischia la vita, è un ennesimo tentativo di chiudere gli occhi e di farli chiudere all’opinione pubblica e al proprio elettorato, blandendola con esibizioni muscolari. Sea Watch diventa caso politico perchè solo così si nasconde la realtà dei problemi e si imbastiscono polemiche senza capo nè coda che imprigionano giornali, televisioni, la politica in un dibattito estenuante e senza sbocco, perchè, a torto o a ragione, tutti abbaiano alla luna.

Il ministro Salvini ha qualche ragione nel richiamare l’Europa alle proprie responsabilità. Ma non può fare finta che non esistano nostre responsabilità in rapporto alla nostra politica migratoria, al nostro isolamento in Europa, alle nostre strizzatine d’occhio ai governi sovranisti che tutto vogliono fuorchè darci una mano, né ignorare il fatto che Paesi come la Germania hanno accolto e integrato percentuali di migranti ben superiori alle nostre. Né si può fare finta di non sapere che centinaia di migranti continuano ad arrivare con mezzi di fortuna e che centinaia di migranti sono rispediti in Italia attraverso gli aeroporti.

Se davvero si vuole usare la SeaWatch per svegliare l’Europa, lo si faccia con la dignità del ruolo, nel rispetto di chi sta soffrendo da giorni e di chi rischia la vita per portare un aiuto. Si tratta di esseri umani, non di cose da tenere al largo. O alla larga come sembra di sentire dire nel lessico leghista. Non sarà uno sbarco in più o in meno a cambiare il corso delle cose, ma un gesto di umanità potrebbe essere il primo passo per costruire una politica condivisa, basata sulla realtà e non sulla sua negazione.