Dieci milioni di greci hanno votato ieri per migliorare il loro futuro, ma non cambierà niente. Fuori Alexis Tsipras, dentro Kyriakos Mītsotakīs. Cambiano i nomi, la storia però è sempre la stessa. Il partito di centrodestra Nea Dimokratia ha vinto le elezioni con il 39%, nove punti percentuali di vantaggio rispetto a Syriza e avrà la maggioranza assoluta dei seggi. Potrà governare da solo ma non basterebbe neanche il 100% dei consensi per cambiare la realtà. Purtroppo la democrazia è un concetto relativo quando il debito pubblico è il 180% del prodotto interno lordo. Da un anno la Grecia è uscita ufficialmente dal programma di prestiti della troika, dovrà ancora ridare ai suoi creditori i 110 miliardi di prestiti ricevuti dal vecchio fondo salva stati. La Commissione Ue, la Banca centrale europea e il Fondo Monetario internazionale non vanno da nessuna parte. Tsipras ha ottenuto di poter posticipare il pagamento a partire dal 2032, ma qualcuno prima o poi quei soldi dovrà restituirli. E nel frattempo la procedura di sorveglianza aumentata continua. Ogni tre mesi la Troika continuerà a controllare i conti ellenici.
Questo è lo scenario, ma lasciamo Kyriakos Mītsotakīs festeggiare la sua vittoria meritata. Ha ottenuto un capolavoro politico: il partito che insieme al Pasok ha contribuito ad aumentare il debito pubblico greco è di nuovo al potere dopo soli quattro anni. La classe media impoverita, i giovani che vogliono stabilità e sicurezza dopo anni di tagli e i nazionalisti delusi dall’accordo con la Macedonia del Nord hanno scommesso sulla ricetta magica di questo 51enne ex banchiere che ha studiato ad Harvard e viene da una delle dinastie politiche più importanti del Paese. Mītsotakīs promette di abbassare le tasse a medici, avvocati e imprenditori con uno shock fiscale del 4% invece del 2,3% di quest’anno. Una ricetta trumpiana per dare respiro ai greci e far ripartire l’economia. Ma basta un manuale di macroeconomia per smontare le facili illusioni: meno tasse, vuol dire meno introito e nel breve periodo si traduce in maggior debito pubblico. Ronald Reagan negli anni Ottanta fece rinascere l’economia Usa, ma il Pil aumentò di venti punti percentuali. Con il suo shock fiscale Donald Trump ha aumentato di qualche decimale la crescita del Pil che viaggiava già alla grande grazie all’amministrazione Obama e il debito pubblico americano ha raggiunto la cifra record di 22mila miliardi. Anche il più ottimista fatica a credere un esito diverso per Mītsotakīs, per giunta in un Paese devastato da quattro anni di sacrifici con un Pil minore della Lombardia.
Qualcosa però cambierà: le sfumature. Non il cosa ma il come. E questo potrebbe fare tutta la differenza del mondo per un popolo che dal 2015 sa quale sarà il destino di almeno tre generazioni
Per riuscire nella sua proposta di riforme il neo premier greco ha promesso di ridiscutere con l’Unione europea l’obbligo di mantenere l’avanzo primario al 3,5% del Pil fino al 2022 (4% quest’anno) e dare quanto guadagnerà nella trattativa per diminuire le tasse sui dividendi, le imposte per le aziende e addirittura incentivi per coppie greche che fanno figli. Tutto bello, tutto democratico, ma sarà difficile convincere la Troika a concedere tanto. Lo spettro del default non è mai andato via. I principali asset di Stato sono in mano a investitori stranieri, lo stato sociale è moribondo, i greci sono più poveri e arrabbiati e il debito pubblico non è diminuito. Qualcosa però cambierà: le sfumature. Non il cosa ma il come. E questo potrebbe fare tutta la differenza del mondo per un popolo che dal 2015 sa quale sarà il destino di almeno tre generazioni. Nea Dimokratia è un partito della famiglia dei popolari europei e Mītsotakīs è apprezzato da molti politici tedeschi e non. Addirittura Manfred Weber, considerato da molti un falco rigorista aveva aperto ad Atene la sua campagna elettorale per le europee del 26 maggio. Il neo premier greco è un uomo carismatico e pragmatico e saprà ottenere dall’Unione europea le condizioni giuste per sembrare diverso dal remissivo Tsipras. A differenza dell’Italia che da sempre si è comportata come il kamikaze dell’Unione – fatemi spendere o faccio saltare l’eurozona – la Grecia è sempre stata più accomodante ma chiede di non essere strozzata. Non di nuovo.
La lezione greca è che non importa chi sia al governo, quando il tuo debito pubblico è di 565 miliardi e l’80% è in mano a creditori internazionali non c’è populismo che tenga. Tsipras lo ha capito una notte di quattro anni fa quando in 24 ore mandò a casa Varoufakis e accettò le imposizioni della Troika per non far fallire il Paese. Ha agito in modo responsabile pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro. I greci hanno capito, sofferto ma non apprezzato. Erano disposti a subire le riforme ma con chiarezza, senza tradimenti notturni. E alla prima occasione utile hanno votato l’unica alternativa credibile. Tutti in Grecia sanno che sarà impossibile togliersi dal collo la corda dei creditori, chiedono solo di allentare un po’ la presa, giusto per respirare. Ma il timore è che lo sgabello su cui è poggiata non sia così stabile. «Una faccia, una razza» fu il motto diffuso dalla propaganda fascista durante l’occupazione della Grecia nella Seconda guerra mondiale. Un modo per dire che italiani e greci erano simili tra loro per etnia, usi e costumi. Nel 2019 il motto potrebbe essere: «Un grande debito pubblico, una coperta piccola per l’economia». Ricordiamocelo quando si tornerà a votare in Italia.