“Tits don’t get you anywhere these days, trust me”, le tette non ti portano da nessuna parte di questi tempi, credimi. Questo lampo di saggezza proviene da Fleabag, serie tv che si trova su Amazon Prime, scritta e recitata da Phoebe Waller-Bridge (chiamata di recente a rifinire il copione del nuovo James Bond). La protagonista di Fleabag (significa “sacco di pulci”, quindi pulciosa, sgradevole), proprietaria di una deliziosa caffetteria londinese, lo dice alla fine della prima puntata, e si riferisce a due fatti. Uno: poco prima, per errore (vero eh) mostra le tette a un consulente bancario. L’uomo, totale vittima del post-metoo, terrorizzato di essere intrappolato in una denuncia per molestie, la caccia e lei non ottiene il prestito. Due: poco prima, c’è un rapporto anale tra la protagonista e il suo trombamico: lui la ringrazia perché è riuscito per la prima volta a praticare il sesso anale. E poiché viviamo nel periodo storico del sesso anale, le tette non ti portano da nessuna parte. Una sorta di zeugma concettuale unisce le conseguenze del #metoo alla moda del sesso anale.
Brillantemente scritta, ma quasi ancora meglio interpretata, “Fleabag”ci racconta in due serie da 6 puntate l’una e da 25 minuti a puntata (misura aurea), a che punto è arrivato il femminismo ora. Risultato? Il femminismo non sta tanto bene, forse è morto e sepolto con la retorica del #metoo. E così la protagonista è quello che dovrebbe essere ogni donna cosciente: una femminista inconsapevole. Che si arrabatta come può tra i ruoli sociali scavalcando strategicamente le differenze di genere senza volerle mutare, perché semplicemente così è più facile. “Le donne, a differenza degli uomini, nascono col dolore”, dice una lesbica nella serie, dopo avere appena vinto un non desiderato premio alla carriera in quota rosa. La vera liberazione? La menopausa. Non si soffre per il ciclo, non si soffre per il parto, non si soffre: apátheia (assenza di passione). La libertà sta nell’assenza del corpo.
E insomma Fleabag è una femminista dalla sessualità libera che non se la sente di definirsi femminista solo per questo, anzi: è una donna che vuole provare orgasmi e sedurre (anche un prete, che poi ama) perché come spiega ironicamente alla sua psicoterapeuta, vuole colmare “il vuoto del cuore” (la seduta è un regalo del padre). Fleabag ammette che l’ipersessualità può essere effetto di un problema: un’insicurezza, un malessere (“Il sesso non mi ha portato niente di buono fini qui”). Non corrisponde in nessun modo all’emancipazione femminile. E infatti Fleabag ha – spoilerino – perso e tradito un’amica e la serie racconta l’elaborazione del lutto. L’emancipazione qui avviene reagendo alle convenzioni sociali, ai ruoli, proprio come fa Fleabag: con ironia. Nemmeno Girls di Lena Dunham aveva osato tanto: essere cioè veri, politicamente scorretti, cinici. Ma non vuoti, anzi: politici. L’accento è totalmente British, i personaggi sono pochi, i nudi inesistenti. Cosa?!
Il corpo nudo – grasso o magro – non è un oggetto che veicola un messaggio: se magro, di superficialità, se grasso di profondità politica
Ebbene sì. Non ci sono nudi. Finalmente. Questo stupisce, sia perché la serie è tratta da un monologo teatrale, e a teatro a un certo punto, per moda o per necessità, si sono spogliati tutti. Fleabag non si spoglia ogni 15 minuti così come faceva Lena Dunham in Girls, per sdoganare televisivamente l’idea che si possa essere sovrappeso o con un corpo normale. Il corpo nudo – grasso o magro – non è un oggetto che veicola un messaggio: se magro, di superficialità, se grasso di profondità politica. Il corpo nudo non dovrebbe veicolare alcun messaggio, la reificazione del corpo con giusta causa non esiste. Cosa che invece, detto tra noi, Lena Duhnam con Girls ci ha imposto prima come grande novità (e infatti lo era), e adesso nella sua vita reale ne sta svilendo l’effetto. La scorsa settimana si è spogliata su Instagram per difendere la causa delle persone con dipendenze, chiedendo like e commenti, per fare una donazione. Ha senso?
In Fleabag c’è poco nudo, ma tanto cervello. I bisogni sono fisici, umani e carnali, ma la resa è dialettica. Non ci sono scene di 15 minuti di sesso reale, silente, con quei rumori di sesso nature, che sembra di stare dentro a un documentario di Alberto Angela con sudori, sospiri. In compenso ci sono tanti commenti (la protagonista si rivolge al pubblico). Non c’è continenza, il linguaggio è oltre l’esplicito. Il sesso verbalizzato, non si vede niente. A un certo punto Fleabag fa sesso col suo compagno storico, che la ama, ed è dolce e sensibile come un petalo di rosa. Lei si rivolge al pubblico, annoiata: “Vorrei solo che mi scopasse, lui invece vuole fare l’amore». No worries per tutte: la menopausa è vicina.