Un grillino e una tedesca, nello stesso giorno, sullo stesso argomento: il salario minimo. Entrambi favorevoli, entrambi ottimisti: bisogna ridare dignità al lavoro, bisogna mettere un tetto al di sotto del quale gli stipendi non possono andare. Per Di Maio, un tetto italiano di 9€ lordi all’ora, per la candidata alla Commissione Europea Ursula von der Leyen un minimo uguale in tutta Europa, ancora da definire. C’è da farsi suonare almeno un campanello d’allarme. Possibile che quei due abbiano un’opinione convergente su una ricetta economica? E se è così, questa ricetta è davvero buona per il nostro paese?
Bisogna stare molto attenti al tema del salario minimo. Alzare gli stipendi ai giovani è sacrosanto, ma farlo per legge e per di più magari, con un livello minimo uguale per tutta Europa, rischia di essere il colpo di grazia finale alla nostra industria. In altre parole: con un salario minimo europeo, o abbassiamo il cuneo fiscale o siamo morti.
Ai tempi delle svalutazioni della lira l’industria italiana era in grado di mantenersi competitiva sui mercati internazionali modificando il cambio con le altre valute: da un giorno all’altro, abbassando il valore della moneta, le nostre automobili potevano riproporsi sul mercato tedesco o americano a un prezzo più basso. Questa possibilità è finita con l’avvento dell’euro.
Dagli accordi di Maastricht in poi i nuovi salari hanno continuato a scendere: adesso un primo stipendio è quasi la metà del reddito medio italiano
Dal 1992 in poi l’industria italiana ha vissuto perciò soprattutto sulle spalle dei più giovani. Per recuperare competitività infatti l’unica cosa che è riuscita ad abbassare sono i salari dei nuovi entranti nel mercato del lavoro. Come dimostra lo studio di Bankitalia, Il gap generazionale, dagli accordi di Maastricht in poi i nuovi salari hanno continuato a scendere e se prima di quella data erano addirittura più alti dei salari dei lavoratori anziani, adesso un primo stipendio è quasi la metà del reddito medio italiano. È una vera emergenza, è la nascita dei cosiddetti “working poors”. Ma al tempo stesso questo meccanismo ha consentito all’Italia di andare avanti. Ha consentito alla manifattura italiana di restare la seconda del continente e di continuare a essere la principale rivale di quella tedesca.
Sì, l’industria italiana continua a essere un campione europeo, continua a essere la prima sul continente dalla quale la Germania deve guardarsi. Ecco perché la proposta interessa anche agli imprenditori tedeschi. Il loro ragionamento è: abbiamo tolto a quelli italiani la possibilità di svalutare la lira, togliamogli anche quella di comprimere i salari.
Nonostante da anni il dibattito converga sulla necessità di abbassare il cuneo fiscale e dare respiro alla generazione più giovane, la pressione fiscale non ha fatto che salire
Chi si frega le mani su questa prospettiva è perché pensa che non saremo mai in grado di tagliare le tasse sul lavoro e lo pensa per due motivi. Il primo è perché, con il 132% di rapporto Debito/Pil, il sentiero per farlo è molto stretto e perché le stesse istituzioni europee renderanno (per fortuna!) difficile ogni tentativo di sconfinamento. Il secondo è perché semplicemente non l’abbiamo mai fatto: piuttosto che tagliare il cuneo fiscale, abbiamo preferito investire lo scarso tesoretto che c’era in Quota 100 e Reddito di Cittadinanza.
Nonostante da anni il dibattito converga sulla necessità di abbassare il cuneo fiscale e dare respiro alla generazione più giovane, la pressione fiscale non ha fatto che salire. Anzi, più è salita la pressione e più sono stati compressi i salari. Una correlazione che si può anche leggere al contrario. Più sono stati compressi i salari e più lo Stato si è allargato.
Forse proprio questo deve farci riflettere: da quasi 30 anni cerchiamo di abbassare il cuneo fiscale con risultati pari a 0. Che sia davvero il caso di provarci passando dal salario? Con la consapevolezza che non ci sono altre strade possibili per la sopravvivenza, potrebbe essere l’occasione giusta per spostare la pistola dalla tempia dei giovani a quella dello Stato e degli sprechi. Perché il messaggio più chiaro di così non può essere: o tagli, o muori.