Nerd, asiatico, startupper. Andrew Yang avrebbe tutti gli elementi per essere bullizzato anche fossimo alle High School, e invece inizia a essere considerato una potenziale mina vagante nella corsa alle Primarie dei Democratici. La sua idea cardine, per scardinare? Il “Freedom Dividend”, ovvero una sorta di Reddito di Cittadinanza – ma quello vero – in salsa sino-americana.
Yang, che viene dal mondo hi-tech della robotizzazione e automazione, sa bene che la sfida che aspetta l’uomo oeconomicus del XXI secolo risiede proprio qui: nel continuare a essere utile, e attuale. In un presente-futuro in cui l’intelligenza artificiale sembra in procinto di superarci non solo nei mestieri di fatica, ma anche in quelli creativi, la domanda verosimile è: ha ancora senso che noi lavoriamo? O, semplicemente, possiamo goderci i vantaggi dell’efficienza creata dall’automazione industriale? L’idea di Yang è proprio questa: finanziare un reddito di cittadinanza – vero, non à la Cinque Stelle, camuffando cioè un sussidio di disoccupazione – grazie ai proventi dei giganti dell’industria americana, e agli enormi risparmi in termini di risorse umane ed efficienza derivanti dai progressi tecnologici.
Yang propone nella sostanza di dare a qualsiasi cittadino americano tra i 18 e i 64 anni un reddito mensile di mille dollari, finanziandolo con una maggiore tassazione sui big player. A chi lo attacca da destra, accusandolo di essere un comunista – un’accusa che nella patria del capitalismo è particolarmente pesante – risponde di non star ambendo a un socialismo di stampo sovietico, ma “a un capitalismo che non parta da zero”.
All’alba della precedente rivoluzione industriale, le automobili cambiarono il nostro modo di intendere gli spostamenti, ed ebbero a corollario uno smarrimento di senso per noi marginale: quello del ruolo del cavallo. Quello che Yang ci dice, in sostanza, è che i prossimi cavalli potremmo essere noi: l’evoluzione dell’intelligenza artificiale potrebbe farci sentire superati, inadeguati come specie – almeno chi di noi non avrà il potere economico per upgradarsi, accogliendo nel proprio corpo alcuni miglioramenti tecnologici per aumentarci come individuo, a livello esperienziale. Per non finire dunque come gli spingitori di pulsanti in ascensore in Cina, o in un altro delle migliaia di esempi di lavoro superfluo creato artificialmente per mantenere basso il livello di disoccupazione, il reddito di cittadinanza universale è un’alternativa che ha senso considerare, anche a costo di dover riscrivere l’articolo numero 1 di qualche Costituzione.
L’Alaska spartisce un dividendo di circa 2.000 dollari all’anno derivante dai proventi dell’industria petrolifera ai suoi cittadini. Yang propone sostanzialmente di allargare la portata di quest’assegno e la base di fruitori estendendola a tutti gli Stati Uniti
I detrattori di Yang non mancano, e lo attaccano sia da sinistra (“in questo modo regaliamo 12.000 dollari l’anno anche all’1% più ricco del Pianeta”) che da destra (“vogliamo finanziare la pigrizia? È questo che vogliamo?”). La provenienza eterogenea degli attacchi fa ben sperare, e per quanto le critiche universali siano condizione necessaria, ma purtroppo non sufficiente per individuare le innovazioni epocali, Yang pare avere un buon set di risposte precompilate alle FAQ dei critici – come d’altronde il bot che risponde alla sua pagina ufficiale su facebook, che ci si veda dell’ironia o meno. Rispetto al “reddito di cittadinanza” italiano, che effettivamente disincentiva i giovani ad andare a lavorare (o almeno, a non farlo in nero) perché il delta tra quanto percepirebbero stando a casa e quello di uno stipendio medio attuale è risibile, nei rari casi in cui non sia addirittura negativo, nella versione americana invece 1.000 dollari al mese sono 1.000 dollari al mese in ogni caso, sia se non lavori (e dovrai allora parecchio stringere la cinghia), sia se lavori. Tutt’altro che un incentivo alla pigrizia insomma, ma un vero e proprio aiuto sostanziale specialmente per le fasce più basse del ceto sociale.
Certo, c’è chi pensa che il tutto sarà fagocitato da un’inflazione generale dei prezzi, ma è d’altronde molto difficile immaginare tutte le implicazioni sociali che la misura potrebbe portare prima di vederla messa in pratica. Per questo, il 44enne originario di Taiwan (quindi, almeno per i cinesi, Cina) porta ad esempio i primi casi di reddito di cittadinanza al mondo, a partire da quello sul suolo americano: l’Alaska, che spartisce un dividendo di circa 2.000 dollari all’anno derivante dai proventi dell’industria petrolifera ai suoi cittadini. Yang propone sostanzialmente di allargare la portata di quest’assegno e la base di fruitori estendendola a tutti gli Stati Uniti. Il candidato democratico, accreditato al momento tra l’1 e il 2,5% dei voti alle prossime Primarie, guarda con interesse anche agli altri esempi mondiali di reddito di cittadinanza, tra cui gli esperimenti finlandesi, svizzeri, canadesi e, bontà sua, a quello che reddito di cittadinanza affatto è nel nostro Paese.
Lo Universal Basic Income non è un concetto del tutto nuovo: se ne parla negli USA da decenni, e Yang non ha certo il copyright. In questo caso gli sviluppi tecnologici hanno suggerito al giovane aspirante POTUS di finanziarlo con una sorta di “Robotax”, di cui parlò in tempi non sospetti anche il famoso pensatore bolscevico Bill Gates. Il fatto che sia Amazon a pagarci la paghetta invece che aumentare i dividendi per i suoi azionisti è da un lato terribilmente liberista, perché implica che Amazon sarà libero di continuare a operare nel mercato spingendo ancora più a fondo sull’automazione di quanto già non abbia fatto, e dall’altro terribilmente socialista, perché ridistribuisce il reddito tra i consumatori – secondo Yang, alimentando anche il circolo virtuoso dell’aumento dei consumi.
Yang è consapevole che 1.000 dollari al mese non risolveranno tutto, ma crede che la misura servirà ad “allentare la tensione” di una società che, volente o nolente, ha inventato la carta di credito per spendere oggi soldi che conta di avere domani
Dove troviamo i soldi? Già, i soldi. Da buon imprenditore, Yang ha fatto i compiti a casa per quanto riguarda i conti. Secondo le sue stime, attualmente il governo americano spende 1.500 miliardi di dollari all’anno in politiche di welfare. Il costo dell’Universal Basic Income è da lui stimato in 3.300 miliardi di dollari. Dove si trovano dunque i 1.800 miliardi che mancano? Beh, sempre seguendo le sue proiezioni, invero piuttosto ottimistiche, il beneficio in termini economici generato dal suo reddito di cittadinanza porterebbe a un aumento del Pil americano di circa 40 miliardi di dollari l’anno (con un tasso di crescita tra l’8 e il 10%), con una creazione di 2 milioni di nuovi posti di lavoro. Inoltre, anche i costi legati alla gestione della criminalità diminuirebbero, perché l’iniezione di cash aiuterebbe a mitigare sostanzialmente la piaga sociale numero uno degli States, dove la popolazione carceraria arriva a un incredibile 3% della popolazione – in Italia, per fare un esempio, la percentuale arriva a stento allo 0,1%.
Yang è consapevole che 1.000 dollari al mese non risolveranno tutto, specie nelle zone che lui conosce meglio, come New York o la Silicon Valley dove già ora il reddito medio supera i 90.000 dollari l’anno, ma crede che la misura servirà ad “allentare la tensione” di una società che, volente o nolente, ha inventato la carta di credito per spendere oggi soldi che conta di avere domani. Quello di cui vuole rimpossessarsi Yang è, se non il sogno americano del “Make America Great Again”, almeno la speranza, e la fiducia nel futuro: “Molte persone oggi pensano che i loro figli se la passeranno peggio di loro, e questo crea una società più xenofoba e in costante tensione”, spiega. Una tensione che Yang vorrebbe sciogliere anche liberando da alcuni vincoli la cultura americana, che è quella in cui la carriera lavorativa degli studenti comincia con un debito d’onore che contraggono per potersi permettere di studiare nelle migliori università del Paese (e di cui lui, non a caso, vuol tagliare la retta, anche se non eliminarla come farebbe un Sanders, per dire). “Se puoi dire a tuo figlio che quando avrà 18 anni riceverà 1.000 dollari al mese dal suo Paese e il suo futuro è assicurato, allora credo che il livello di stress sarà minore, la diversità ben voluta e la generosità maggiore” è il suo pensiero.
Un pensiero che, se non lo porterà a sedere nella Stanza Ovale, almeno potrà contribuire a portare nella conversazione democratica una riflessione necessaria e credibile su cosa vogliamo fare della prossima rivoluzione che ci sta per accadere sotto il naso. Un elefante nella stanza che l’asinello americano deve affrontare internamente, prima di poter attaccare quello successivo – il “mostro finale”.