Permette, Avvocato?Il 2019 è stato un anno bellissimo, ma solo per Giuseppe Conte

Dalla natalità ai morti sul lavoro, dalla crescita zero al cambiamento climatico il 2019 non è stato un anno fantastico come promesso dal presidente del Consiglio pochi mesi fa. Ecco cinque problemi che il nuovo governo dovrà risolvere per far ripartire l'Italia

VINCENZO PINTO / AFP

Alla fine ha avuto ragione lui. Il 2019 è stato davvero un anno bellissimo. Non tanto per l’italia che non cresce più, quanto per l’imprevedibile ascesa politica dell’avvocato degli italiani diventato all’improvviso uno statista. Sì, lo sappiamo, quella di Conte è stata una battuta infelice che gli rimarrà addosso per sempre, ma permetteteci di ricordare che fino a poche settimane fa il presidente del Consiglio italiano era considerato solo chiacchiere e pochette. Ora però la situazione è cambiata, il governo gialloroso subentrerà a quello gialloverde e gli ultimi 14 mesi finiranno nel dimenticatoio. Le esagerazioni nel curriculum, la promessa di una crescita del Pil all’1,5% che non c’è stata, l’approvazione dei due decreti di sicurezza bis. E sia, scurdámmoce ‘o ppassato come da tradizione italiota, ma vi prego, ricordiamoci del presente. Non vorremmo deprimere subito i sostenitori del nuovo governo, ma in attesa di realizzare il nuovo Umanesimo ci sarebbero una serie di problemi strutturali da risolvere al più presto se vogliamo che il prossimo anno, quello dopo e quello dopo ancora, siano davvero bellissimi. Ne citiamo cinque, ma potrebbero essere cinquanta.

Primo: la natalità. I dati pubblicati dall’Istat il 3 luglio sono micidiali: il 2018 è stato l’anno in cui sono nati meno bambini dall’Unità d’Italia nel 1861. Solo 439.747 neonati. In un solo anno gli italiani hanno fatto 18mila figli in meno rispetto al 2017. Il calo della natalità c’è dalla metà degli anni Settanta ma è dal 2015 che il numero delle nascite non supera la soglia psicologica del mezzo milione. Se contiamo dal 2014 è come se fosse scomparsa di colpo una città come Palermo. Il problema non è solo culturale ma economico: le italiane entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro e quando hanno la sicurezza economica per sposarsi e fare figli è ormai troppo tardi. L’orologio biologico non segue il calendario della precarietà. Il governo gialloverde aveva promesso di supportare le famiglie per spingere gli italiani a fare più figli, ma in 14 mesi non ha fatto nulla. Nel contratto di governo M5S e Lega si erano presi l’impegno di rendere gratuiti i servizi di asilo nido per le famiglie italiane o di dare sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli. Nisba, niet, nada. Addirittura nella legge di bilancio 2019 è stata tolta la possibilità di fruire del bonus asilo nido o del libretto famiglia per servizi di baby sitting come alternativa al congedo parentale. Meno figli vuol dire meno persone in grado di lavorare e mantenere in piedi il sistema pensionistico italiano, ancora più appesantito dopo la riforma di Quota 100. Il calo delle nascite riduce sempre di più la popolazione più attiva e produttiva.

I primi sei mesi del 2019 da record: sono stati denunciati 482 infortuni mortali sul lavoro, il peggior dato dal 2016

Secondo: il lavoro. Il decreto dignità avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi nel mercato occupazionale. Da inizio anno aumentano i contratti trasformati da tempo determinato a indeterminato e sale il numero degli occupati. L’Italia è diventato il paese della cuccagna? Non proprio perché secondo l’ultimo report dell’Inps pubblicato ieri, dopo il boom di gennaio le trasformazioni dei contratti stanno diminuendo sempre di più. E nel giugno del 2019 rispetto all’anno precedente ci sono state 158mila assunzioni in meno: di queste 14mila a tempo indeterminato e 104 mila a tempo determinato. Lo stesso report ci dice che le ore di cassa integrazione complessiva autorizzate a luglio sono state il 33.5% in più rispetto all’anno scorso: 19,1 milioni contro 14,3. A navigare nei numeri c’è da affogare: le ore di cassa straordinaria sono arrivate a 10 milioni: +50,2% rispetto al luglio 2018 e c’è un vero e proprio boom degli interventi in deroga +317,5% in soli dodici mesi. Per non parlare di chi ha un lavoro ma muore mentre sta facendo il proprio dovere. Ieri Pagella Politica per Agi ha pubblicato i dati sui primi sei mesi del 2019 da record: sono stati denunciati 482 infortuni mortali sul lavoro, il peggior dato dal 2016.

Terzo, la sanità. Come denunciato già a giugno da Linkiesta nel 2025 potrebbero mancare in Italia circa 16mila medici specialisti nel settore pubblico. Oggi il Servizio Sanitario Nazionale può contare su 56mila medici, ma tra 15 anni ne saranno rimpiazzati solo il 75%, Tradotto 42mila. E Quota 100 voluta dal governo gialloverde rischia di far andare molto prima in pensione i medici italiani che in media hanno 54 anni d’età. Secondo le previsioni di Anaao Assomed saranno 38mila i medici che andranno in pensione entro il 2021. Chi li sostituirà? In media si laureano 10mila medici ogni anno, ma le borse di studio per pagare la specializzazione sono state solo 7mila nel 2018. Andando avanti così nei prossimi cinque anni potrebbero essere 20mila i laureati esclusi dalla specializzazione. Ma senza guardare al futuro basta già vedere i problemi che hanno le regioni italiane, sempre più a corto di medici, soprattutto in estate. Addirittura il 14 agosto il governatore leghista del Veneto Luca Zaia ha dato il via libera all’assunzione con contratti autonomi di 500 giovani medici, laureati e abilitati, ma non ancora in possesso della specializzazione. A mali estremi, estremi rimedi. Una mossa che potrebbe fermare l’emmorragia di giovani medici che vanno a specializzarsi all’estero perché in Italia non possono. Secondo la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sono circa 1500 all’anno i camici bianchi a partire. E bacioni anche ai 225 milioni spesi dallo Stato italiano per formarli.

Dal 2002 al 2017 oltre 2 milioni di italiani sono emigrati dal Sud al Centro-Nord. Più o meno come se tutti gli abitanti della Calabria fossero scomparsi in 15 anni

Quarto, il Sud Italia. Le anticipazioni del rapporto dello Svimez pubblicate a inizio agosto sono implacabili: nel 2019 il Mezzogiorno andrà in recessione. Il Pil diminuirà del -0,3%. Il divario con resto d’Italia cresce sempre di più. Solo nel 2018 il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord è stato pari a quasi 3 milioni di persone. Dal 2002 al 2017 oltre 2 milioni d’italiani sono emigrati dal Sud al Centro-Nord. Più o meno come se tutti gli abitanti della Calabria fossero scomparsi in 15 anni. Solo nel 2017 l’equivalente della popolazione di Salerno ha lasciato il sud: 132mila persone, di cui la metà è formata da giovani. il 72% di chi lascia il Mezzogiorno ha meno di 34 anni. E se i più giovani se ne vanno mancano i talenti e la forza lavoro per dare dinamismo all’imprenditoria e attrarre gli investimenti.

Quinto: l’economia. Il presidente del Consiglio e i suoi due vice avevano promesso che nel 2019 il Pil italiano sarebbe cresciuto dell’1,5% grazie alle riforme volute dal governo gialloverde. Quota 100 avrebbe aumentato l’occupazione, liberando tre posti di lavoro ogni pensionato. Il reddito di cittadinanza avrebbe aumentato di colpo la domanda interna di consumi e l’effetto moltiplicatore avrebbe fatto da volano per l’economia italiana. Non è successo. Secondo gli ultimi dati dell’Ocse il Pil italiano è a crescita zero nel secondo trimestre 2019, fanalino di coda della zona euro. L’unico aspetto positivo di questa crisi di governo ad agosto è che lo spread è sceso a quota 171. Ma non è tutto in discesa. Secondo le stime di Chiara Manenti dell’ufficio studi d’Intesa Sanpaolo citate dal Sole 24 ore, lo Stato dovrà trovare entro fine anno 125 miliardi di titoli di Stato sul mercato. In bocca al lupo. Per non parlare delle famose clausole di salvaguardia. Da giorni facciamo notare che nessun esponente della nuova maggioranza ha spiegato come intende trovare 23 miliardi per evitare l’aumento automatico dell’Iva. Ancora non abbiamo ricevuto risposta. Manca meno di un mese prima della presentazione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il testo base in cui si indicherà a grandi linee la legge di bilancio del 2019. L’Unione europea da anni chiede riforme strutturali e i governi italiani rispondono chiedendo di fare debito per poter aumentare la spesa corrente con riforme inefficaci: gli 80 euro, quota 100, reddito di cittadinanza. Sarà ora di invertire la rotta?

E poi ci sarebbe un punto zero che viene prima della Sanità, del lavoro della depressione economica del Mezzogiorno: la lotta al cambiamento climatico. Il luglio del 2019 è stato il mese più caldo mai registrato di sempre. Non diamo certo la colpa al povero Conte se c’è stato un aumento del riscaldamento globale. Ma il presidente del Consiglio nel discorso con cui ha accettato l’incarico ieri ha detto di voler guidare un governo nel segno della novità. Da giorni questo giornale propone soluzioni concrete per impostare un’agenda verde: riutilizzo, riciclo e recupero dei rifiuti, al posto di discariche e inceneritori; la bonifica dei siti inquinanti; la riconversione industriale dell’Ilva; i contributi dello Stato dalle energie fossili alle energie rinnovabili. Sarebbe il modo migliore per rendere il 2020 un anno bellissimo. O almeno vivibile.

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