Ocean’s talesInquinamento marino, così la tecnologia ci aiuterà a combatterlo

L’inquinamento del mare da plastiche è un problema che oggi la tecnologia ci può aiutare a risolvere. Dai veicoli autonomi sottomarini ai sistemi galleggianti, le parole chiave sono raccolta e prevenzione. Che però non saranno possibili senza aggiungere anche una buona dose di consapevolezza

Photo by Matt Hardy on Unsplash

Sono molti i campi in cui l’innovazione tecnologica può e sta supportando la salvaguardia dei mari. I dati sulla presenza di rifiuti in mare, ad esempio, provengono da indagini svolte secondo protocolli standardizzati ed elaborati da Organismi internazionali. Tuttavia, le campagne di monitoraggio manuale sono costose, richiedono molto tempo, e possono essere influenzate dalla soggettività degli operatori. Oltretutto, con il rilevamento solo visivo è pressoché impossibile riconosce le diverse tipologie di rifiuti che cambiano aspetto in funzione del degrado che subiscono.

Il monitoraggio è quindi un campo nel quale le tecnologie – ad esempio attraverso gli AUVs (Autonomous underwater vehicles) – possono davvero aiutare a comprendere meglio le fonti, i tipi, i potenziali percorsi e le tendenze temporali dei rifiuti marini, esplorando zone che sarebbero comunque precluse all’azione umana. Alcuni ricercatori sono infatti impegnati nello sviluppo di algoritmi che sugli AUVs possano riconoscere (ed eventualmente raccogliere) una ampia gamma di rifiuti, anche molto deteriorati. Come la misura dei quantitativi di microplastiche nei sedimenti, che rappresenta una frontiera del monitoraggio delle plastiche in mare, rispetto alla quale è possibile immaginare di raggiungere risultati significativi solo attraverso l’uso delle nuove tecnologie.

Le soluzioni tecnologiche, anche se parte di un approccio efficace, da sole non bastano. Il vero cambiamento atteso è quello delle attitudini, dei modelli di produzione e consumo, senza i quali nessun miracolo tecnologico potrà salvarci

Un altro ambito in cui lo sviluppo tecnologico è impegnato a trovare soluzioni innovative è quello della prevenzione, che vuol dire evitare che le plastiche o altri composti entrino in mare in corrispondenza di diversi punti di immissione. I filtri per trattenere le microplastiche nelle lavatrici domestiche, o anche lo sviluppo di soluzioni per filtrare o per accelerare la decomposizione delle microplastiche, scomponendole in composti innocui, in corrispondenza degli impianti di trattamento degli scarichi urbani ne sono solo due esempi. Alle foci dei fiumi o in altri punti strategici è possibile utilizzare sistemi galleggianti che possono monitorare oltre che opporre una barriera fisica all’ingresso delle macroplastiche e altri rifiuti in mare. Su queste e altre soluzioni sta lavorando un consorzio di imprese, università e altri centri di ricerca nell’ambito di un progetto finanziato nel programma H2020.

Dove l’inquinamento da rifiuti è già presente è necessario, però, raccogliere e recuperare. Pensare di raccogliere le enormi quantità di plastica generata con sistemi convenzionali (reti, imbarcazioni) è poco credibile. In questo campo, le moderne tecnologie di clean up mettono a disposizione barriere passive, come quella ideata da una ONG olandese, o stanno sviluppando prototipi di robot che possano raccogliere macro rifiuti e – in futuro – microplastiche, come quelli su cui sta lavorando un Istituto di ricerca italiano.

Le soluzioni tecnologiche, anche se parte di un approccio efficace, da sole non bastano. Il vero cambiamento atteso è quello delle attitudini, dei modelli di produzione e consumo, senza i quali nessun miracolo tecnologico potrà salvarci. Ciò vuol dire, prima di tutto, comprendere il ruolo e le esigenze dei singoli attori, incoraggiare la più ampia varietà di stakeholder a condividere soluzioni e a lavorare insieme per un cambio di sistema, creare consapevolezza rispetto al fatto che un ecosistema marino in salute è un interesse comune, ma anche coinvolgere tutti nella co-produzione di informazioni e conoscenza. Solo così potremo pensare di prosperare al fianco dei nostri oceani.

A cura di Marco Frey, Professore Ordinario Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

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