Il dado è tratto. Comunque vada a finire sul tavolo del presidente della Repubblica Mattarella ci sono le decisioni di due partiti politici (con i migliori risultati alle elezioni politiche, poiché non siamo in una sondaggiocrazia) di prendersi la responsabilità di governare insieme nonostante le enormi differenze nell’interpretare il proprio ruolo e nonostante i burrascosi trascorsi, anche recentissimi, che li hanno visti menarsi senza esclusioni di colpi. Il primo inequivocabile dato politico è che il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle hanno deciso di rischiare moltissimo in termini di credibilità e di investimento sul futuro con un passaggio che ne potrebbe determinare la disgraziata disfatta (se non addirittura il disfacimento) o che potrebbe inaspettatamente rivitalizzarli in un momento di crisi per entrambi.
Il primo evidente risultato, invece, è l’accantonamento dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini, riuscito nella miracolosa impresa di mettersi all’angolo da solo chiudendo tutti gli altri fuori come nella migliore tradizione iper-sovranista, che ora torna ricacciato all’opposizione con evidente usura dei suoi cavalli di battaglia: ha governato facendo campagna elettorale e ora, semplicemente, continuerà a farla. Potrebbe anche non notarsi la differenza.
Zingaretti e Di Maio, da canto loro, si ritrovano invece ad affrontare l’enorme rischio di compromettere tutto con qualche passo falso: l’accrocchio PD-M5S può precipitare facilmente nell’ultima opacizzazione di entrambi. Il Movimento 5 Stelle rischia, dopo l’accordo della Lega, di diventare la peggiore Democrazia Cristiana sempre intenta a brigare pur di rimanere al potere sbriciolando l’idea di essere portatrice di rinnovamento e rendendosi riconoscibile come l’utile sponda di tutti pur di stare al governo e il Pd rischia di perdere quell’alone di serietà e responsabilità che gli ha permesso comunque di rimanere a galla anche nell’ultima disastrosa stagione politica e che l’ha reso comunque papabile come voto utile contro l’avanzare del populismo. Se il governo giallorosso dovesse fallire sarà difficile togliere dalla testa di molti elettori il dubbio che sia stato solo l’ennesimo tentativo di stare al potere per il potere, senza visioni e senza contatto con i bisogni dei cittadini.
Se si riusciranno a trovare pochi punti chiari di programma e persone capaci nel rappresentarli all’interno del governo ci sarebbe l’occasione di dimostrare che il bene del Paese viene prima di qualsiasi ragionamento di bottega
Però il Conte bis potrebbe anche essere portatore di opportunità: da una parte il Movimento 5 Stelle potrebbe scrollarsi di dosso quella superficialità movimentista che l’ha visto troppo spesso alla mercé del suo alleato e degli umori istantanei dell’agenda politica, passando troppo spesso per gli utili idioti di una propaganda da cui tra l’altro non hanno tratto nessun beneficio, vincolati alle utopie di Grillo e alla gestione aziendale di un Casaleggio che trama nell’ombra. Essere al governo con un partito strutturato come il Partito Democratico (perché si può non amare il Pd, si può sottolinearne l’infiacchimento negli ultimi anni ma non se ne può negare la presenza sui territori) costringe il Movimento 5 Stelle a stare sui temi e a diventare adulti molto di più che con il guascone Salvini: se ci riusciranno si potranno presentare alle prossime elezioni con una nuova maturità come valore aggiunto e togliendosi di dosso quella tiritera dell’antipolitica che funziona sui social ma non funziona in termini di credibilità.
Dall’altra parte il Partito Democratico ha preso una decisione e ha scelto uno slancio (proprio loro che sono stati accusati per anni di essere arroccati in loro stessi) che potrebbe permettere una nuova connessione con pezzi di elettorato che erano ormai scappati e che potrebbe determinare un cambiamento fruttuoso su una comunicazione politica più che fallace nell’ultimo periodo. Se si riusciranno a trovare pochi punti chiari di programma e persone capaci nel rappresentarli all’interno del governo ci sarebbe l’occasione di dimostrare che il bene del Paese viene prima di qualsiasi ragionamento di bottega. Qualcuno, in primis Calenda, ripete che l’occasione non sia abbastanza ghiotta e troppo rischiosa ma la politica, da sempre, difficilmente presenta vie facili da percorrere (basta vedere le fragorose cadute dei leader degli ultimi anni) e l’autoesclusione del leader leghista con la sua azzardata crisi di governo permette di escluderlo dal palco del Viminale e concede lo spazio per tentare di affrontare temi un po’ già serie dei finti nemici di emergenze immaginarie.
La trattativa, c’è da dire, è stata finora uno spettacolo piuttosto desolante, tra spifferi e recriminazioni che colano da tutte le parti; ma siamo sicuri che fosse così facile fare parlare tra loro due forze politiche che si erano arroccate nell’essere l’una l’avversaria preferita dell’altra? Ma davvero non siamo consapevoli che l’inquinamento culturale, politico e etico di questi ultimi mesi fosse un’emergenza da affrontare a muso duro? Qualcuno dirà: Conte e M5S sono gli alleati di quell’avvelenamento dei pozzi. Vero, verissimo. Ma che il M5S abbia deciso di accordarsi con il Pd non significa comunque che ci sia uno spazio per correggere la rotta? Altrimenti perché non avrebbero potuto riappacificarsi con la Lega con in più la comoda poltrona di presidente del Consiglio per il capo politico Di Maio? Ovvio, la strada è lunga e irta. Ma pensare che Di Maio e Zingaretti non ne siano consapevoli è già nella fantapolitica. Adesso magari, per cominciare, iniziamo a non prendercela con quei bambini e quelle donne stuprate in mezzo al mare. Un governo che non si gira dall’altra parte sarebbe già qualcosa.