Quel libro che ha valore di un aculeo. Uscito nel 1972, dal titolo indimenticabile, Meditazioni sullo Scorpione, chiunque lo conosca continua a rileggerlo, a tenerlo sotto il cuscino, ne tramanda il segreto. Qui siamo al vagabondaggio del pensiero che semina rasoi sotto le palpebre. Sergio Solmi, insomma, è uno dei più raffinati scrittori e pensatori dell’epoca, ma pochi lo sanno, presi a omaggiare Manganelli o Landolfi o altri esteti del bello stile, lo traviano all’oblio.
Quel libro che ha valore di un aculeo. Uscito nel 1972, dal titolo indimenticabile, Meditazioni sullo Scorpione, chiunque lo conosca continua a rileggerlo, a tenerlo sotto il cuscino, ne tramanda il segreto. Qui siamo al vagabondaggio del pensiero che semina rasoi sotto le palpebre. Sergio Solmi, insomma, è uno dei più raffinati scrittori e pensatori dell’epoca, ma pochi lo sanno, presi a omaggiare Manganelli o Landolfi o altri esteti del bello stile, lo traviano all’oblio.
Ci fu una specie di venerazione verso Solmi, nato 120 anni fa, cresciuto a Torino, impiegato ad alto livello nella Banca Commerciale Italiana (il che gli impedì di infognarsi nel battibecco letterario, da cui si tenne a distanza). Carlo Bo ne scrisse così: “Solmi è stato antifascista, combattente della Resistenza e nella sua famosa fuga dalla caserma delle brigate nere di via Rovello dobbiamo rilevare un tratto che illumina anche lo studioso e il poeta. Lasciato per un momento libero dai suoi aguzzini, il Solmi chiese dove fosse l’uscita e se la squagliò. Questo è stato sempre il suo modo di comportarsi anche in letteratura: presente e libero, padrone di se stesso e in grado di giudicare le debolezze e i ‘vuoti’ degli altri. Proprio per questo, senza mai venire meno alla regola del riserbo e della prudenza, insomma fuor della mischia, è arrivato più in là degli altri, senza aver pagato scotti di nessun genere, arbitro dei suoi lunghissimi e intensi approcci alla verità poetica”.
Nella ricostruzione di un Mitreo ho visto il toro di bronzo che si allontana, disfacendo il corpo, dallo scorpione con la coda irta, simile a una lanterna. Scorpione fuoco in fuga, perpetua agnizione. Dello scorpione, inteso anche come sego zodiacale (“vermiglia, al centro dell’addome, brillerà la luce di Antares”), Solmi fa il centro dell’enigma, dell’ambiguità d’esistere, del ritorno allo scatto che uccide, vibrando la vita. “Attenuandosi il febbrile scompenso che diciamo esistere, ci sembrerà sempre più di ‘essere’, come gli animali e le piante, che tanto più di noi coincidono con la loro figura, affermano senza dubitazioni la loro essenza… Il fertile abisso dell’inesistenza d’aprirà ancora una volta a picco nel nostro essere, la guerra madre di tutte le cose ci metterà ancora contro noi stessi, e un fresco pullulare d’inafferrabili memorie rispumeggerà ancora dalla cieca corrente: inebriante movimento, cara vertigine di sentirci ancora fuggenti tra essere e non essere, estrema ventata di poesia”. Cavalcare lo scorpione e suggere tutti i veleni del vivere, come voleva Rimbaud, tra i totem della ricerca letteraria di Solmi.+