Il giorno della marmottaDisastro Brexit, il parlamento inglese incarta Boris Johnson

Ieri in un colpo solo BoJo ha perso il suo primo voto in Aula da premier e la maggioranza che teneva in piedi il governo. Le opposizioni e qualche ribelle dei conservatori posso approvare oggi una legge che impedisca la Brexit senza accordo. Il premier invocherà le elezioni ma ha fatto tutto da solo

BEN STANSALL / AFP

Boris Johnson ha infranto la prima regola della Brexit: non svegliare il Parlamento che dorme. Ieri ha perso in un colpo solo il suo primo voto in Aula da premier e la maggioranza che teneva in piedi il governo. Laburisti, nazionalisti scozzesi, indipendenti e liberaldemocratici hanno approvato una mozione per costringere oggi la Camera dei Comuni a votare una legge che posticipi la Brexit: 328 sì, 301 no. Lo hanno fatto grazie al voto di 21 deputati ribelli del partito conservatore. E se la legge oggi sarà approvata, Johnson chiederà le elezioni anticipate entro un mese. Se i due terzi dei parlamentari approveranno, si voterà il 14 ottobre, tre giorni prima del Consiglio europeo, l’evento in cui secondo il governo inglese si dovrebbe trovare un accordo con la Commissione europea. Chi vincerà deciderà il destino della Brexit. Ancora una volta l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si è rivelata più difficile del previsto. Ma questa volta Boris si è messo da solo nel pantano.

Una settimana fa il premier aveva chiesto alla regina Elisabetta di sospendere l’aula per cinque settimane a ridosso della scadenza del 31 ottobre per non permettere alle opposizioni di prolungare la Brexit ancora una volta. Un colpo di mano che ha risvegliato l’opinione pubblica inglese fino a quel momento rassegnata a veder il governo fingere di voler trovare un accordo con l’Unione europea. Da quando il 24 luglio è diventato leader dei conservatori e in automatico premier, Johnson ha potuto giocare da solo sfruttando le posizioni confuse e disunite delle opposizioni. La richiesta di sospensione però ha spostato il conflitto dai mass media all’aula del Parlamento. E nella Camera dei Comuni, dove la sua retorica pro Brexit diventa un mezzo e non un fine, Johnson ha trovato le stesse difficoltà del suo predecessore Theresa May: Parlamento in stallo, veti incrociati e il partito conservatore diviso al suo interno.

Come in Italia, anche nel Regno Unito il sovranismo è preso a calci sui denti dalla democrazia parlamentare

BoJo non ha più una maggioranza, ma rimane ancora al governo perché l’opposizione non ha voluto ancora sfiduciarlo. La fragile coalizione formata dal partito conservatore e il Dup, partito unionista nordirlandese, aveva solo un seggio di vantaggio. Il tassello che ha fatto cadere il domino è stato l’ex sottosegretario Philip Lee, anti Brexit, passato ai Liberaldemocratici. Ieri durante il discorso di Johnson alla Camera dei Comuni si è seduto tra i banchi dell’opposizione. L’ultimo atto simbolico della guerra civile che dal 2016 contrappone i remainers ai leavers nel partito conservatore, arrivata ormai alle purghe. A poco a poco Boris Johnson si sta liberando dei deputati moderati che vorrebbero rimanere nell’Ue. Il premier ha promesso che toglierà dalle liste elettorali tutti i parlamentari ribelli, compresi quelli che si rifiuteranno di votare un accordo con la Commissione da lui siglato, se mai ci sarà. E nel frattempo ha espulso tutti e 21 i deputati dei tories che hanno votato ieri per la mozione. Nella lista degli epurati ci sono conservatori di rango come l’ex ministro delle finanze Phil Hammond o Nicholas Soames, nipote di Winston Churchill. Ormai mancano solo le liste di proscrizione. Ma c’è anche chi se n’è andato da solo come l’ex ministro degli Esteri Alistair Burt che ha confermato ieri di non volersi ricandidare in caso di nuove elezioni. «Sono preoccupato che il partito conservatore diventi il Brexit party», ha detto un’altra ribelle epurata, l’ex sottosegretario di Stato per l’istruzione Justine Greening riferendosi al partito creato da Nigel Farage.

Johnson prepara un partito snello e compatto e accetterà il voto di oggi pur di andare alle elezioni. Il premier vuole basare la campagna elettorale su una sola promessa: che farà uscire il Regno Unito dall’Ue il 31 ottobre, con o senza accordo. Se vincerà, il 1 novembre la Brexit sarà finita in un modo o nell’altro Ma per andare alle urne serve la maggioranza dei due terzi del Parlamento e il leader dei laburisti Jeremy Corbyn ha detto che non voterà a favore fin quando la Camera dei Comuni non approverà la legge per evitare il no deal. La strategia di Johnson l’ha spiegata bene il suo collega di partito Kenneth Clark, deputato conservatore da 23 anni, ora nella lista degli epurati: «Johnson vuole stabilire condizioni impossibili, attribuire il più possibile la colpa all’UE per il mancato accordo, andare elezioni subito prima che gli svantaggi della Brexit siano manifesti».

In queste settimane il premier formalmente ha detto di voler ottenere un accordo durante il Consiglio europeo che inizierà giovedì 17 ottobre. Ma finora a Bruxelles non è arrivata alcuna proposta concreta su come sostituire il backstop. Il meccanismo inserito nell’accordo siglato da Theresa May e la Commissione europea per evitare il ritorno delle dogane nel confine tra Irlanda e Irlanda del Nord è l’ostacolo che non fa progredire le trattative. Johnson vuole toglierla, per Bruxelles è imprescindibile. Questo è l’unico vero stallo. E il governo inglese non sta facendo nulla per cambiare la situazione. Come ha confermato il ministro per gli affari europei finlandese Tytti Tuppurainen. La Finlandia è presidente di turno del Consiglio, l’organo che riunisce i ministri dei 28 Stati Ue in base al dossier da affrontare. A domanda se la Brexit sarà un disastro: Johnson ha risposto in Parlamento che ci sarà qualche «incidente di percorso» ma il Regno Unito è un grande paese e risolverà tutto. Lunedì Boris incontrerà a Dublino il premier irlandese Leo Varadkar ma non si parlerà di backstop. Ecco perché ormai la Commissione europea dà per scontato che il 31 ottobre ci sarà una Brexit senza accordo. Per questo sta pensando a un piano per finanziare le conseguenze del no deal usando i fondi Ue riservati alle catastrofi naturali. Anche se questa sembra una catastrofe tutta artificiale.

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