Quando era più pimpante, Harold Bloom incendiava. In una fatidica intervista disse che Dario Fo era “semplicemente ridicolo”, che Toni Morrison non era degna del Nobel per la letteratura (“Siamo vecchi amici e le voglio bene. Ma dopo Amatissima ha scritto solo supermarket fiction, perseguendo una crociata socio-politica”), che Il giovane Holden “fra 30 anni, chi se lo ricorderà?”. Rifiutò un invito a corte da parte di Giovanni Paolo II (“Cristianità è sinonimo di antisemitismo”), difendeva la grande letteratura dei “maschi, europei, bianchi, defunti”, allineati nell’epocale Canone Occidentale (in Italia lo stampa Bur), mettendosi contro mezza accademia. Ci ha insegnato a volare alto, a pretendere, dai libri, un abisso, imponendo allo scrittore di essere un devastatore di mondi, un ideatore di cosmi. Per altro, scrive benissimo.
Mesce la scrittura al sacro, il libro al Libro, la letteratura alla teologia, Harold Bloom, con l’ambiguo intento, credo, di defraudare Iddio dal suo trono. A suo dire, i poeti sono angeli e gli scrittori Titani: che riconquistino il cielo dove abita l’usurpatore, il Dio-monolite. In ogni caso, Il Genio, costruito secondo la sequenza della Kabbalah, è un libro enciclopedico e semplice, un perpetuo invito alla lettura e alla vigoria di verbi verticali. Il libro che preferisco, Rovinare le sacre verità. Poesia e fede dalla Bibbia a oggi era stampato da Garzanti, era il 1992, chi lo pubblica più? Un tot di anni fa, quando pareva che Bloom ci lasciasse le penne, mi chiesero un ‘coccodrillo’ precauzionale. Questa operazione da becchino giornalista non mi garbava. Scrissi. Bloom sopravvisse. Cancellai tutto, ispirandogli, mi auguro, una vita decuplicata.