La democrazia si regge sull’equilibrio dei poteri. Il governo ha bisogno di un’opposizione puntuale, critica, se possibile costruttiva. Deputati e senatori, regolarmente eletti, rappresentano il popolo che delega appunto agli eletti la rappresentanza dei propri interessi. I corpi intermedi, le rappresentanze sociali e di categoria devono stimolare il Parlamento a promuovere leggi e norme e sensibilizzare l’esecutivo. La burocrazia e gli apparati seguono i processi politici con competenza e lealtà. La Costituzione, le cui modifiche sono state peraltro respinte in un referendum dalla grande maggioranza degli italiani, stabilisce le regole di funzionamento e le linee ideali del sistema Paese.
La stampa, come ha ricordato proprio in questi giorni il presidente Mattarella, ha il diritto/dovere della critica, della denuncia, del rispetto e del racconto di tutte le opinioni. Ma la stampa ha anche un dovere di analisi, denuncia dei problemi, di ascolto delle varie categorie sociali, di relazionare le problematiche del Paese con le questioni politiche ed economiche internazionali.
Se diamo ascolto al quotidiano dibattito volgare e strumentale fra le forze politiche, se osserviamo la campagna di delegittimazione del governo e del parlamento cominciata al Papeete Beach e proseguita nelle piazze già nel primo giorno della fiducia al Conte bis, si ha la sgradevole sensazione che l’impianto istituzionale, le norme costituzionali e la legge democratica del reciproco riconoscimento di tutte le forze politiche – pubblicamente e non soltanto, come capita di vedere, alla bouvette di Montecitorio – abbiano perso significato o possano essere interpretate a piacimento e secondo convenienza.
Tutti hanno il diritto di manifestare, ma questa recriminazione non ha nulla a che vedere con la delegittimazione a colpi di insulti, cartelli offensivi in Parlamento, sproloqui nei talk show, accuse gratuite di complotti e congiure internazionali
Se diamo ascolto alla sequela di insulti online contro chiunque faccia politica o esprima un concetto e, infine, al modo in cui spesso giornali, talk show e televisioni raccontano le vicende di casa nostra amplificando il peggio (dal gossip politico alla vita privata, osservando dal buco della serratura anche i sentimenti più intimi) abbiamo la sgradevole sensazione che molti attori siano fuori posto e fuori ruolo, alleati non sempre consapevoli di un’opera collettiva di demolizione caricaturale del sistema Paese nelle sue diverse espressioni.
A scanso di equivoci, tutti hanno il diritto di manifestare e le opposizioni in particolare hanno il diritto di reclamare nuove elezioni nella convinzione che, stando ai sondaggi, sarebbero maggioranza nel Paese. Ma questa recriminazione non ha nulla a che vedere con la delegittimazione a colpi di insulti, cartelli offensivi in Parlamento, sproloqui nei talk show, accuse gratuite di complotti e congiure internazionali.
Al tempo stesso, nei media si legge spesso una narrazione che non corrisponde alla realtà e che confonde social, satira e cronaca in un tutto indistinto. Una narrazione virtuale, più attenta all’effetto immediato sui social (che non sono la realtà) incline ai luoghi comuni, disattenta a tante realtà diverse, a volte positive, a volte drammatiche, ma comunque nascoste al grande pubblico perché sconosciute. Ci sarebbe più bisogno di inchieste approfondite, confronti equilibrati, dibattiti senza urla e sovrapposizioni di voci, telegiornali pubblici imparziali.
C’è un concetto che in Italia sembra essersi perso in questa lunga stagione dell’odio e della propaganda contrapposta, ossia il senso della misura, che è anche questione di serietà, educazione, stile
Beninteso, con tante significative eccezioni in tutti i campi, con una sensibilità che sovente distingue comportamenti maschili e femminili, ovviamente. Ma l’impressione generale è quella di un cupio dissolvi da tempio dei filistei, da basso impero in cui il principale interesse non è quello collettivo, ma la sopravvivenza politica, la difesa del proprio angolo di potere e carriera, la ricerca ossessiva di rivincite e consenso à la carte.
Non stiamo parlando di utopie o del Paese dei Campanelli. Ovunque, nel mondo libero, la politica può essere dura, priva di ideali, spietata e a volte corrotta. Ovunque nel mondo libero la stampa ha un ruolo essenziale di critica e denuncia del potere, di qualsiasi potere, ma è anche incline al sensazionalismo e ad assecondare reazioni emotive più che riflessioni. È nel mondo non libero che la politica si perpetua e si difende con bugie spesso grossolane, l’umiliazione delle opposizioni, il bavaglio alla stampa, la repressione poliziesca.
C’è però un concetto che in Italia sembra essersi perso in questa lunga stagione dell’odio e della propaganda contrapposta, ossia il senso della misura, che è anche questione di serietà, educazione, stile. Stile che, a ben vedere, è la cifra del nostro Paese negli ambiti più svariati. Resta da capire perché ce ne siamo dimenticati.