Il bastone
“Più che Isaia sei un imperterrito cretino
ma non puoi rovinare nel pantano
dei tiepidi: alzati e urla!” urlò – poi (1)
rientrò nell’ombra da cui era esploso
donandomi un cuneiforme incubo. (2)
L’operazione mi sembrò scabrosa: (3)
il sacrario ridotto a una liturgia
di guaiti (4), alla passerella dei perbenisti
del verbo. Non c’è perdono per chi
vuole scandalizzare trafugando il
luogo comune in estasi feticista. (5)
Imbrattano sestine con il fango
si stimano ispirati celebrati da
cerebrali didascalie compiacenti (6)
simili a museruole di diamante:
basta il Reverendo delle Meraviglie (7)
il Cerusico delle Centurie (8) a
redimere in cenere quelle bimbe
di latta quelle filastrocche inermi (9)
…forse Veronica (10) dilapida il verso
sul petto di Marco (11) che la ricambia
istoriandole il pube di idiozie
sulle cosce lunate s’ambienta
l’allupato – il labirinto dell’ego
si squaglia in quisquiglia l’enigma in cui
si crogiola l’uomo – la ferocia del
bimbo – squama in ghigno, nell’arconte
della porcata una arcata di vanità (12)
…ma il Tempo ha morsi planetari
la Giustizia cavalca sopra i ghepardi
il poeta ha l’ambivalenza dello
scorpione perché pone mercato tra
i morti: di questi non resterà che
il singulto – il sinistro di un sospiro. (13)
Con impeto apocalittico, il recensore in versi fa riferimento a mitologie astruse, certo – poveretto – che una giustizia regga le sorti della letteratura: questo libro, ritiene, sarà presto inghiottito nell’oblio
- Il recensore è tormentato da perplessità: perché perpetuare la pratica della critica se in cambio riceve offese, quando va bene, o diffide, per non dire querele? Il mondo delle belle lettere lo ha relegato al sottosuolo. Una voce gli suggerisce tuttavia che smettere di indignarsi, di leggere, di confrontarsi aspramente, è, per lo scrittore, la morte.
- Notoriamente, il recensore poeta è afflitto da visioni, corrotto da incubi.
- Si fa riferimento al volume scritto da Valentina Raimo e Marco Rossari, Le bambinacce, Feltrinelli, 2019.
- Il recensore si sorprende: la casa editrice che ha pubblicato le poesie di Antonio Porta e di Elio Pagliarani, di Giovanni Testori e di Edoardo Sanguineti come può ridursi a pubblicare un libro in versi tanto modesto?
- Si stigmatizza la natura del libro in versi come paradigma di banalità. Esempio: la breve poesia che mostra il “signore brutto/ che aprì il cappotto/ e mostrò il mostrabile”, si conclude così: “Lei imperturbabile/ davanti all’uccello/ disse: ‘Aspettami lì,/ prendo un righello!’”. Tale incrocio tra Carducci e soft porn (“Esiste l’erezione,/ e così sia”) evidentemente fa brillare l’ira del recensore.
- Il libro in versi è aureolato da una fascetta con frase firmata da Tiziano Scarpa: “Poetiche, sensuali, spassose. Ah, se il mondo assomigliasse a queste bambinacce! Andrei a viverci di corsa”. Caso di pedofilia lirica? In ogni caso, la descrizione sull’ala del libro, che dice di “cinquantacinque giocosi e stralunati componimenti in versi” sfascia la libido ed estenua l’ironia. Tutto, ormai, è delicatamente stralunato, dal frappè al frac indossato da un rapper. Per chiarezza, stralunato significa “sconvolto, stravolto, inebetito”.
- Ci si riferisce a Lewis Carroll, autore delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.
- Ci si riferisce a Giorgio Manganelli, autore, tra l’altro, di Centuria e di Pinocchio: un libro parallelo.
- Si forniscono altri esempi a dimostrare la stortura lirica del libro. “Vibra che ti vibra/ si sentiva un po’ così/ così una mattina pigra/ provò a toccarsi lì”. Si suppone che il tema, qui, sia l’autoerotismo. La bimba intrigata dal “maschietto”, che “voleva vedere/ se sotto le mutande/ davvero aveva un coso/ in mezzo alle gambe”, resta allibita: “Poi un giorno lo vide/ e disse: ‘Tutto qua?’”. Pare al recensore in versi che un tema intricato come la sessualità infantile possa essere trattato con ben altro sfoggio di lirica intelligenza: perché ridurre il fatto a una battuta da bar sport?
- (10) Veronica Raimo, scrittrice, l’ultimo libro si intitola Miden.
- (11) Marco Rossari, ottimo traduttore di Malcolm Lowry, scrittore; l’ultimo libro si intitola Nel cuore della notte.
- (12) Il recensore continua a ritenere che modesti siano i mezzi poetici a disposizione del duo Raimo-Rossari. Tra le poesie segnaliamo La bambina che era un bambino: “tutte le sere pregava Gesù/ ché quel coso non lo voleva più”.
- (13) Con impeto apocalittico, il recensore in versi fa riferimento a mitologie astruse, certo – poveretto – che una giustizia regga le sorti della letteratura: questo libro, ritiene, sarà presto inghiottito nell’oblio. Più interessante la considerazione sulla natura del poeta, che vive tra ambiguità e innocenza, tra i vivi e i morti, incredibile e mai creduto, contraffatto dalla contraddizione.
Eletta alla poesia, con rapporti miliari con Rilke e Kafka – non c’è accesso a una didattica dello spaccio culturale, qui, ma adesione e portuale abbraccio, un bocca-a-bocca – Tiziana Cera Rosco è artista compiuta che nel verbo trova la spina dorsale, la scala alla rovina
La carota. I poeti ci sono – spesso hanno cronache verbali adatte alla foresta, a una natività tra oceani. Per questo, bisogna stanarli, tra sussurri di fogli scambiati nelle catacombe. Altre volte, sono lì, tanto presenti – tanto potenti – che solo gli insani non li vedono. LietoColle, ad esempio, stampa la collana ‘Pordenonelegge’ di lungimirante bellezza – non mi è chiara la differenza tra alcuni libri, egualmente gialli, e altri detti ‘Gialla Oro’, spero non s’istituisca una differenza di talento tra i testi, perché non c’è classismo in poesia: o è poesia o non è, e nessuno è più re di altri.
Tra gli ultimi libri pubblicati, Corpo finale di Tiziana Cera Rosco esce dal seminato lirico per diventare libro d’ore, armeria della dottrina, un grado sovrano del compito (Il compito è il titolo di una sua raccolta, edita nel 2008 sotto gli auspici di Milo De Angelis), l’acme della disciplina. “Poi venne fatta una distinzione tra i praticanti/ E fu punito chi pregava in anticipo la neve/ Quell’incontro col cuore triangolare di purezza/ Quella cosa angolo”.
Eletta alla poesia, con rapporti miliari con Rilke e Kafka – non c’è accesso a una didattica dello spaccio culturale, qui, ma adesione e portuale abbraccio, un bocca-a-bocca – Tiziana Cera Rosco è artista compiuta che nel verbo trova la spina dorsale, la scala alla rovina. Si sbaglia, però, a intendere la sua poesia come uno spartito: qui più che il ‘dire’ c’è un mozzare di lingue e di dita (“In qualunque luogo sarà il corpo/ Là si raduneranno le aquile./ Per questo ti dico “Non Tremare”/ “Non Tremare” sarà il tuo tuono”), la benedizione di una crudeltà rasoiata nel limpido, curativa, perciò, dico. C’è una tenerezza che può giungere solo dall’azzeramento, un azzardo di ingenuità millenaria, “il radicale toccare il suolo di una perdita”.
Non si desidera per vaniloquio un deserto, ma soltanto per una parola tesa tra trachea e accerchiamento, responsabilità che aggioga più di un cielo, più di una crociera di stagioni. Si è sempre, aspettando la poesia, in “un imperativo aperto”, nell’incarico che non ha arcata di risposta, nel vasto. Qualcuno si nasconde nel campo di pannocchie, “è un’ora formidabile”, egli crede al fruscio come alle costellazioni, e che sia leggendario il cane che strappa a morsi il vegetale, razziando: non regalare il viso al pianto, restare regali al dolore, ecco cosa dice Tiziana.
Tiziana Cera Rosco, Corpo finale, LietoColle, 2019