Nel Paese di La Fontaine, la cicala continua a vivere al di sopra dei propri mezzi, nonostante periodici rapporti allarmistici e i decibel delle grida di dolore dei contribuenti. Ma questo bengodi è anche il Paese di Macron, ovvero un Paese che con la stabilità politica e il peso specifico della storia e della diplomazia si garantisce credibilità e fiducia sui mercati e può fare digerire agli alleati europei la propria poco invidiabile condizione dei conti pubblici. Talvolta permettendosi anche di dare qualche lezione ai vicini, come ricorderà il nostro ex ministro Tria dopo i colloqui con il commissario Moscovici. Talvolta, teorizzando, come fece a suo tempo Chirac, il diritto a sforare i criteri di Maastricht.
Qualche esempio, uscito di recente da un documentato rapporto, “Il libro nero dello spreco”, curato da un esperto del ramo, Jean Baptiste Leon, e da un’associazione di contribuenti. In totale, la spesa pubblica inghiotte il 56 per cento del Pil. Le oltre 1200 agenzie pubbliche nei diversi settori d’intervento divorano circa 40 miliardi all’anno. La promessa di Macron, molto simile a quella dei predecessori, di ridurre il numero di funzionari e impiegati pubblici (un record mondiale) è stata largamente disattesa, anche per effetto della lunga protesta dei gilet gialli. Addirittura, i dipendenti pubblici sono aumentati di qualche decina di migliaia di unità, sia pure in settori nevralgici come le forze armate, la polizia e la giustizia. La protesta dei gilet gialli si è anche tradotta in un incremento della spesa pubblica, circa 17 miliardi fra sgravi fiscali, contributi e rivalutazione del salario minimo. Sono cifre che fanno lievitare il deficit dello Stato al 2,1 per cento del Pib. Il debito raggiunge i 2400 miliardi di euro, 34 Mila euro per ogni cittadino francese, e si avvicina alla barra fatidica del 100 per cento del Pib (98,9). Ancora “poco” rispetto all’Italia, ma molto superiore al debito tedesco, nonostante i probabili correttivi che Berlino metterà in atto nei prossimi mesi.
La spesa pubblica francese ha origini storiche, è connaturata a un sistema istituzionale e a una mentalità collettiva che eleva lo Stato a protettore dei cittadini dalla culla alla tomba. Uno Stato socialista con istituzioni democratiche e un settore privato ultraliberale, al passo con la competitività internazionale, che costituisce anche la maggiore fonte di imposte. Ma in questo quadro, come si legge nel “libro nero dello spreco”, ci sono le spese che fanno sorridere o inorridire a seconda dei punti di vista. I “rondò” nelle strade francesi, realizzati forse in nome della sicurezza stradale, sono più di cinquantamila, sei volte più che in Germania, dodici volte più che nel Regno Unito. E sono costati una trentina di miliardi.
Il debito della città è salito da un miliardo nel 2001 ai 5,7 miliardi di oggi, con un incremento costante durante la gestione Hidalgo. Ogni parigino nascerà con 3400 euro di debito sulla testa
Comuni e dipartimenti sono particolarmente voraci. Spendono naturalmente per il benessere dei cittadini e il livello di corruzione è oggettivamente basso, ma i criteri di spesa sono a volte bizzarri. Si spende per festival, monumenti, sovvenzioni e iniziative culturali, acquari, parchi pubblici, centri termali, impianti sportivi. Tutto bene, ma anche per una pista artificiale da sci e addirittura per il reinserimento sociale di ex guerriglieri delle Farc, la guerriglia colombiana. C’è poi il conto permanente di alcune aziende pubbliche, con in testa le Ferrovie, i cui dipendenti godono di condizioni di particolare favore per viaggiare quasi gratis. I beneficiari sarebbero però il 15 per cento dei dipendenti in attività, mentre tutti gli altri sarebbero figli e parenti.
Secondo un rapporto dell’ispettorato delle finanze, un terzo dei funzionari statali lavora meno dell’orario legale già ridotto a suo tempo a 35 ore, secondo una legge molto discussa e mai abrogata. Ma il record dei record lo sta ormai raggiungendo la sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, alla quale è stato dedicato un altro libro dal titolo emblematico, Sant’Anna, in omaggio a quanti – parigini, imprese, dipendenti comunali, immobiliaristi e società di servizi – hanno direttamente o indirettamente beneficiato di una politica a dir poco espansiva : migliaia di cantieri aperti, centinaia di chilometri di piste ciclabili, pedonalizzazione dei “Quais” Lungosenna, acquisto di alloggi in quartieri chic per favorire una maggiore integrazione sociale. Il debito della città è salito da un miliardo nel 2001 ai 5,7 miliardi di oggi, con un incremento costante durante la gestione Hidalgo. Ogni parigino nascerà con 3400 euro di debito sulla testa.
Naturalmente la Ville Lumiére vanta servizi efficienti, un’offerta culturale straordinaria, un’attrattività commerciale e turistica ai primi posti nel mondo, nonostante i sabato dei gilet gialli, la minaccia terroristica e i periodici scioperi dei trasporti pubblici. Ma per quanto riguarda la viabilità, la gestione Hidalgo, nonostante il conclamato impegno ecologico, ha scontentato molti, creato colossali ingorghi e non ha migliorato la qualità dell’aria. Cambiano i presidenti, la cicala francese non demorde. Ma non è il caso di fare calcoli e confronti con l’economia di casa nostra, gravata da un debito molto superiore e in stagnazione da un decennio. Casomai andrebbero fatte riflessioni sul dirigismo di Stato, che per quanto costoso e a volte sprecone, mobilita risorse e garantisce servizi. Se non va sempre bene spendere, è mortale spendere male o non essere nemmeno capaci di spendere i soldi che arrivano dall’Europa. E casomai andrebbero fatte riflessioni sulla stabilità politica, l’arma letale della cicala francese.