La Gimnasia La Plata è una piccola società calcistica del campionato argentino. La squadra, di sconfitta in sconfitta, frequenta i bassifondi della classifica. I suoi tifosi sono intristiti e depressi, come la maggioranza degli argentini per ben altri e più gravi motivi: la crisi economica, il rischio default del Paese, una drammatica campagna elettorale che probilmente riconsegnerà la presidenza alla tradizione peronista populista.
Che cosa può ridare gioia e speranza se non l’apparizione di Dio? Dio, in Argentina, ha le fattezze di un uomo imbolsito, invecchiato, ingrassato, che parla sottovoce e fa ancora più fatica a muoversi, ma fa sognare la gente, scalda i cuori, promette miracoli. Dio, in Argentina, si chiama DAM, Diego Armando Maradona, l’ex Pibe de Oro, che essendo divino e con molte vite, ne sta spendendo un’altra al servizio del Gimnasia La Plata che lo ha ingaggiato come allenatore. Un incarico che appare mission impossible per il suo fisico provato e per le condizioni della squadra, ma i miracoli a volte avvengono e Dio di solito è chiamato per questo.
La gloria terrena è passata, nel mondo il ricordo calcistico è ancora vivo soltanto fra i tifosi del Napoli che, generazione dopo generazione, ancora lo celebrano con bandiere e striscioni allo stadio e altarini nei quartieri spagnoli, ma nel cielo dell’Argentina DAM non é ricordo né nostalgia, é presenza attuale, miracolosa e fonte di salvezza. Sono accorsi a migliaia allo stadio del Gimnasia La Plata e migliaia hanno comperato la maglietta di Maradona allenatore, regalando insperato benessere alle casse societarie un po’ esauste.
Importa vedere, sognare e fare sognare, come hanno probabilmente calcolato i dirigenti del Gimnasia ingaggiando Maradona
Seicento i giornalisti accreditati per raccontare i passi lenti e incerti del Dio tornato sulla terra, cioè in campo. Milioni quelli che non c’erano ma avrebbero dato tutto per esserci, non per vedere uno spettacolo né un magico palleggio, ma per credere a un sogno con i propri occhi e rinnovare il mito con la propria testa. E poco importa che quel signore ingrassato e sfatto, probabilmente bisognoso di un modesto ingaggio come i vecchi attori dei teatri di provincia, sia una vaga controfigura del Pibe de Oro.
Importa vedere, sognare e fare sognare, come hanno probabilmente calcolato i dirigenti del Gimnasia ingaggiando Maradona. Si sa già che verrà spesso sostituito dal suo vice, che dovrà sovente assentarsi, che magari cambierà idea e cercherà nuove avventure, essendo un Dio instabile e capriccioso. Ma, intanto, i tifosi accorrono e si svenano per assistere a un allenamento e acquistare una maglietta.
Può essere che il ritorno in campo del Dio del calcio sia soltanto un nostalgico tango argentino. Ma nell’epoca in cui possiamo vedere un partita in 3D, come se fossimo dentro lo stadio, in cui è possibile ammirare un Maradona bionico, ventenne e dinamico come nei lontani anni Ottanta, compiendo un viaggio artificiale nel passato; nell’epoca in cui anche la politica e le relazioni personali possono viaggiare online, l’entusiasmo per un mito in carne ed ossa e la voglia di partecipare a un evento in prima persona ci ricordano che – oltre Apple e Facebook – c’è ancora tanta vita.
Siamo dunque grati a Diego Armando Maradona. E non solo per le magie calcistiche di cui ha deliziato in passato tifosi e avversari. La sua divina apparizione ci ha riportato almeno per qualche attimo sulla terra, al nostro STADIO biologico, e naturale, ci ha fatto riscoprire la forza dei sogni, il piacere di partecipare dal vivo e non su una piattaforma, l’utilità sociale dello stadio, della piazza, dello stare insieme, del condividere senza digitare, cioè del con-vivere.