Nuovo governo, nuova linea sull’immigrazione. Per il momento, questo sembrerebbe emergere da tutti gli elementi usciti dal nuovo esecutivo italiano. Un cambio di passo notevole, che nel giro di poche settimane ha portato dalla retorica dei “porti chiusi” dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ai rispolverati principi di solidarietà, che il premier “bis” Giuseppe Conte non ha esitato a sottolineare a più riprese nei suoi recenti discorsi. Anche dall’Europa – malgrado la neo commissaria Von Der Leyen giusto ieri abbia rivolto una risposta “tiepida” al presidente del Consiglio sul cambio delle regole di Dublino – l’apertura al dialogo e ad un meccanismo di redistribuzione dei migranti ha posto le premesse per l’avvio di una strategia concertata a livello comunitario. Per Stefano Allievi, sociologo esperto di Islam e migrazioni, «questo cambio di rotta è positivo, perché interrompe l’azione di chi usava i problemi dell’immigrazione come capro espiatorio per acquisire consenso». Ma per cambiare davvero la narrazione, avverte, «non si può semplicemente passare dai porti chiusi all’accogliamoli tutti, perché così si fa un favore a Salvini». Più che inscenare il teatrino per stabilire chi si prende quelli che vengono salvati dalle Ong, insomma, «occorre governare il fenomeno presidiando i confini, ma al contempo favorendo l’immigrazione regolare. Perché quella a noi serve».
Professor Allievi, che cosa è cambiato con il nuovo governo in tema di immigrazione?
La prima cosa che è cambiata è la collocazione non tanto politica, ma dell’orientamento generale sui problemi dell’immigrazione. Prima avevamo un ministro dell’Interno il cui obiettivo era creare conflitti per acquistare consenso, e non per nulla la Lega è passata dal 17% al 38%. Ora invece abbiamo un ministro tecnico, che è abituato a risolvere i problemi invece di crearne. Siamo passati da un approccio ideologico ad uno pragmatico. Sulle grandi linee non sappiamo ancora niente, possiamo immaginarle ma le vedremo agli atti. Il cambio di personalità e di obiettivi è un notevole cambiamento, più consono allo stile del ministero in quanto tale, perché Luciana Lamorgese è stata un autorevole prefetto. Non ci si deve aspettare grandi proclami, ma un approccio serio e concreto.
Il tema è emerso subito: diverse navi Ong hanno recuperato i migranti dai barconi proprio in questi giorni.
Io non ho titolo per dare consigli, ma cercherei di non pensare che le Ong siano il centro del mondo, per diversi motivi: il primo è che gli sbarchi in sé sono una minoranza rispetto al complesso del fenomeno dell’immigrazione. In più quelli salvati dalle Ong sono una minoranza rispetto al totale degli sbarchi. E infine perché i problemi dell’immigrazione non si risolvono in mare. Quest’enfasi eroicizzante fa male anche alle Ong, perché non dovrebbero avere nessuno da raccogliere in mare. Lo dico perché chi ha contribuito a fossilizzare il dibattito per un anno e mezzo sullo scontro Salvini-Ong ha fatto un favore a Salvini. Poi il problema di decidere singolarmente dove indirizzare le Ong resta, perché le persone giustamente vanno salvate. Ma dal nuovo governo mi aspetterei non tanto dichiarazioni sul salvare o non salvare le persone, ma di porre le linee guida per una normalizzazione delle politiche sull’immigrazione, compresa la normalizzazione del dibattito. Da un lato facendo accordi con l’Europa e ripensando Dublino. E poi da lì a cascata, lavorando con i Paesi africani. Una delle cose che mi sconvolge in ciò che è avvenuto nell’ultimo anno è che Conte, Macron e Merkel dovessero dividersi quanti prenderne a testa volta per volta. Ma il problema non è chi si prende i 14, 22 o 105 migranti su questa o quella nave, anche perché quelli che si facevano belli ad accogliere poi ce ne rimandavano due o tremila con i charter due giorni dopo. Quello che serve è creare sistemi di redistribuzione automatici. Poi certo, se dal governo italiano il primo segnale fosse sull’apertura dei porti sarebbe uno straordinario regalo.
«Bisogna allontanarsi da un dibattito ossessivamente incentrato su una questione che in termini di numeri e costi è banale, per occuparsi di questioni più grandi»
Ma quindi Lamorgese ha fatto male a negare lo sbarco ai migranti della Sea-Eye l’altro giorno?
Io credo che debba prendere le misure delle vicende. Una politica intelligente è fatta anche di segnali, che si mandano sia ai cittadini che agli altri paesi. Una politica tutta giocata sulle emozioni, sia in positivo che in negativo, però, è controproducente: spero in un cambiamento dello stile politico in cui non si faccia più così. Bisogna allontanarsi da un dibattito ossessivamente incentrato su una questione che in termini di numeri e costi è banale, per occuparsi di questioni più grandi. Perché la prima vera soluzione per diminuire gli sbarchi di immigrati irregolari è aprire gli ingressi a quelli regolari. A dirlo nel 2019 sembra fantascienza, ma prima era sempre stato così. Per questo io sono d’accordo a chiudere i porti agli irregolari, e so che suona paradossale, ma è la verità. Quel che ci serve è l’immigrazione regolare, per motivi demografici e di forza lavoro. Così, invece che giostrarsi sugli arrivi di 200mila immigrati se ne potrebbe programmare l’arrivo di 2 milioni, e tutto sarebbe più efficiente.Bisognerebbe cambiare la Bossi-Fini, insomma. E poi?
Occorre ottenere un cambiamento radicale della linea di Dublino in una logica di gestione regolata dei flussi, a condizioni ben precise. Si consente a 500mila immigrati regolari di entrare, mentre i Paesi di partenza collaborano per trattenere gli irregolari. Sarebbe un processo di reciproca convenienza. Ad oggi l’Italia concede molti più permessi di soggiorno per motivi che sono diversi dal lavoro piuttosto che permessi lavorativi, che è paradossale perché a noi servono i lavoratori. I morti nel Mediterraneo non sono di interesse per nessuno, e l’unico modo per ridurre le morti è ridurre i flussi. Basti pensare al problema dei minori stranieri non accompagnati: se esistono è perché abbiamo bloccato l’ingresso ai padri, invece di partire loro mandano i figli. In più, da quando i flussi sono irregolari, il livello di istruzione dei migranti è calato e ci sono molti più analfabeti. Gestiamo quelle quattro barche, insomma, ma allo stesso tempo inviamo segnali di voler risolvere i problemi più grossi. Questi flussi sono gestiti da organizzazioni mafiose e criminali transnazionali: è ora che gli Stati inizino a gestirli direttamente. Avere dei regolari che sappiamo chi sono è un vantaggio. Mentre per i richiedenti asilo veri e propri, quelli verrebbero gestiti molto meglio attraverso i corridoi umanitari: te li vai a prendere perché è una responsabilità civile.Concorda sul fatto che anche in Europa sembra essere cambiata la narrazione?
Una cosa va detta: è vero che l’Italia e la Grecia sono state lasciate sole per troppo tempo. Quando a giugno 2018 Sanchez aveva aperto il porto di Valencia alla Aquarius, sul molo c’erano 800 giornalisti che non si erano mai accorti che in Italia le navi arrivavano tutti i giorni e che in pochissimo tempo avevamo accolto decine di migliaia di persone. In questo senso c’è stata una totale disattenzione da parte dell’Europa. L’immigrazione incontrollata non è stata irrilevante sul fatto che siano andati al governo gli anti-immigrati. Quando Minniti nel 2017 disse “Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica del Paese”, io abitando in Veneto erano già sei mesi che temevo per la tenuta democratica del Paese. Non ci si può più permettere di vivere in uno stato di emergenza permanente, occorrono gesti coraggiosi e simbolici. La Germania ha spalancato i confini in una volta sola, investendo in formazione, ed è passata dall’essere il paese più vecchio d’Europa ad aver scalato la classifica. Mentre l’Italia è rimasta da sola a detenere quel primato.«Se mio figlio ha paura del buio, e io gli rispondo con una statistica, non ho risolto il suo problema. Con chi ha paura degli immigrati il discorso è lo stesso»
Come gestire i confini, quindi?
Dell’immigrazione c’è bisogno ma va regolata, se non la regoli è pericoloso per il Paese, perché devi dimostrare che i confini li controlli. I confini sono una cosa seria, anche chi lavora nell’ambito umanitario deve ragionare su tutta la filiera. Per fare sì che non ci sia più bisogno delle Ong, questo dovrebbe essere il loro obiettivo, devono avere un progetto e delle proposte. Non metto in discussione i salvataggi, ma vanno fatti con una ratio. Bisogna spingere affinché il processo lo gestisca l’Europa, non con la repressione, ma con le politiche. Immagina un domani senza immigrati, il nostro Pil crollerebbe. Questa è l’operazione culturale che va fatta. Controllare le frontiere è diverso da costruire muri.Ma le persone capiranno? In questo senso l’Italia sembra essere spaccata a metà…
Non penso che la pubblica opinione sia spaccata a metà, è molto meno, solo che viene enfatizzata dal mancato ascolto che viene dall’altra parte. Io faccio sempre questo esempio: se mio figlio ha paura del buio, e io gli rispondo con una statistica, non ho risolto il suo problema. Con chi ha paura degli immigrati il discorso è lo stesso. Se gli rispondo dicendo “sei un cretino”, o razzista, o irrazionale, non ho risolto il problema e ho aumentato la distanza comunicativa. Nel mondo di chi è solidale con l’immigrazione, al quale appartengo anch’io, questa cosa non è stata fatta, si è risposto con le statistiche o liquidando il tutto con un “non capisci niente”. Se io ascolto, parlo, prendo sul serio il tuo ragionamento, e trovo delle soluzioni che vadano nella direzione del trasformare quella paura, tipo “Ti va se teniamo la luce accesa in corridoio per un po’?”, questa non è comunque una soluzione ottimale, ma se lui non smette da solo, devo andargli incontro. Una politica seria si fa così. Altrimenti ti dò un capro espiatorio, Salvini ha fatto così. Ma il punto non è amare o odiare Salvini, piuttosto è dire: proviamo a ragionare su dei flussi decenti? Posso dire: “Sono d’accordo con te, non dovrebbero arrivare quei barconi”. Se invece diciamo no, tu sei una carogna, regaliamo interi pezzi dell’opinione pubblica a quelli come Salvini.Nel complesso è ottimista?
Sono meno pessimista di prima, questo sì, ma bisogna fare un passo ulteriore, passare dal pro e contro al ragionare sul come. Sul come possiamo proporre delle cose intelligenti, alcune funzioneranno e altre no. Io lavoro su questo da trent’anni e ormai so che il tema non è l’immigrazione ma l’emigrazione. È andata via più gente di quella che è entrata, ma di questo non si parla. Mettiamoli sullo stesso tavolo invece che trattarli come due argomenti separati.