Cous cous e potereIl favorito in prigione e rischio di derive autoritarie. Benvenuti nel caos delle elezioni tunisine

Ieri si sono svolte le elezioni presidenziali per eleggere il successore di Beji Essebsi. Ma il Paese in cui scoppiarono nel 2011 le scintille della primavera araba si regge su un equilibrio di poteri fragile, componenti sociali e religiose molto articolate, partiti frammentati

FETHI BELAID / AFP

Che molte cose in Tunisia siano avviate sulla strada della democrazia, della modernità e della tolleranza religiosa è fuori di dubbio. Ma è altrettanto fuori di dubbio che questa strada sia ancora tortuosa e piena di incognite, se si osserva la campagna per il rinnovo dell’Assemblea e per l’elezione a doppio del turno del presidente, dopo la scomparsa dell’anziano Béji Caid Essebsi lo scorso luglio. Un processo elettorale che è cominciato ieri, domenica, e si concluderà in ottobre.

Il Paese in cui scoppiarono, nel 2011, le scintille della primavera araba, poi tracimata in tutto il Maghreb con alterni sviluppi, si regge su un fragilissimo equilibrio di poteri, di componenti sociali e religiose molto articolate, di partiti frammentati e lacerati al proprio interno anche da conflitti personali.

La società tunisina riflette lo scenario politico, su cui pesano disoccupazione altissima e povertà diffusa, le seduzioni dell’islamismo radicale, il rischio terrorismo, che ha colpito ancora la capitale nel giugno scorso con due azioni simultanee di kamikaze. Il tempo dei terribili attentati del 2015 sembra tuttavia più lontano. Le misure di sicurezza sono importanti e funzionano. Il turismo è in piena ripresa, con oltre 9 milioni di visitatori, ma la polveriera della vicina Libia resta una minaccia permanente sulla serena convivenza e gran parte delle aspettative della Rivoluzione dei Gelsomini è stata disattesa.
I ceti urbani, la gioventù universitaria, la borghesia produttiva, sognano di proiettare in un futuro di sviluppo e benessere un piccolo paese dalle notevoli risorse : turismo, industria agroalimentare, educazione superiore, artigianato, industria mineraria. E, in questo scenario complesso, si sommano le lotte di potere, le strutture dello Stato non ancora consolidate, gli ambienti nostalgici del vecchio regime, i flussi migratori, la condizione femminile fra modernità e conservazione.

Nonostante i segnali di ripresa, il quadro economico resta complicato da forte debito estero, disoccupazione soprattutto giovanile e deprezzamento della moneta

Si capisce immediatamente quanto sia strategico e utile per i Paesi europei affacciati sul Mediterraneo aiutare la Tunisia, proteggerla dal caos libico, impedire derive autoritarie del passato e/o verso il radicalmismo religioso, ma si avverte quanto non sia facile consolidare relazioni e moltiplicare investimenti nell’incertezza politica che difficilmente queste elezioni potranno fugare.

Nonostante i segnali di ripresa, il quadro economico resta complicato da forte debito estero (94 per cento del Pil), disoccupazione soprattutto giovanile e deprezzamento della moneta. Fra gli investitori stranieri c’è dunque grande attendismo. Nessun sondaggio sgombra il campo da troppe variabili. Nemmeno il perimetro di poteri e competenze del futuro capo dello Stato è definito, nonostante la riforma della Costituzione che ha dato un ruolo decisivo alla figura del primo ministro e la creazione del Consiglio per la sicurezza nazionale, le cui competenze e ambiti di intervento restano incerti.

Basti considerare la figura più paradossale della campagna, Nabil Karoui, ricchissimo imprenditore, proprietario di Nessma TV, un’emittente privata nel cui capitale sono entrati a suo tempo Silvio Berlusconi e l’uomo d’affari franco tunisino Tarek Ben Ammar. Protagonista di una sorta di populismo al cous cous, Karoui ha conquistato rapidamente simpatie e sostegno elettorale di ampi strati della popolazione più povera con un’arma più convincente delle parole, della propaganda e delle promesse: pacchi dono, aiuti di ogni genere alle famiglie, alle donne sole, ai bambini, insomma alla Tunisia remota e dimenticata che non ha mai visto nessun germoglio di primavera.

Karoui è stato in testa nei sondaggi senza nemmeno aver fatto campagna, essendo che comizi e apparizioni televisive gli sono stati impediti per cause di forza maggiore: è stato arrestato a fine agosto con l’accusa di frode fiscale e riciclaggio. La sua prigionia, secondo i bene informati, non sembra particolarmente dura (anche per le benevole attenzioni dei carcerieri), ma nessuno sa dire se e quando finirà, con tutte le imprevedibili implicazioni qualora la Tunisia si svegliasse con un presidente vittorioso, ma in manette. Non è nemmeno chiaro se, andando al ballottaggio, potrebbe essere ammesso a concorrervi e nessuno riesce a immaginare gli sviluppi nel caso fosse eletto.

Proprio una donna è il simbolo più forte della Tunisia moderna e democratica. Souad Abderrahim ha messo fine “a 160 anni di potere maschile a Tunisi”, conquistando il municipio della capitale

Intanto ha iniziato lo sciopero della fame e i suoi supporter diffondono l’immagine di un “Mandela tunisino”, vittima del potere. Nel frattempo, la diffusione del messaggio elettorale e la difesa dalle accuse è affidata alla moglie, Salwa Smaoui, figura emblematica della borghesia tunisina, produttiva ed emancipata. Ingegnere, laureata negli Stati Uniti, è dirigente alla Microsoft.

“Mio marito – ha detto a Le Monde – dà fastidio ai poteri costituiti. La lotta alla povertà non è propaganda, ma un impegno morale, dopo la tragedia che ci ha colpito.” Il figlio della coppia, ventenne, è morto in incidente stradale e a lui è stata dedicata una Fondazione per la distribuzione degli aiuti.
I sostenitori di Karoui vedono nella vicenda una macchinazione ordita dal suo principale competitor, il primo ministro Yousef Chaled.

Intanto, gli exit pool lo danno al secondo posto, quindi sicuramente al ballottaggio, dietro il professor Kais Saied-, un giurista di chiara fama, indipendente, che ha ricevuto l’appoggio dei giovani e degli intellettuali, ma anche di ambienti religiosi. Saïed è un conservatore sulle questioni sociali, la parità uomo donna, il ruolo dello Stato.

L’incertezza sul futuro della Tunisia è determinata anche da altri fattori non meno complicati del destino di Karoui. Il primo è la crisi d’identità e di linea politica del principale partito di matrice islamista, Ennhada, che ha perso consensi alle ultime elezioni e che ha visto l’eliminazione del proprio candidato. Ennahda resta il partito più organico e strutturato, ma dirigenti e correnti interne appaiono divisi fra un’impostazione conservatrice dell’identità religiosa e un’impostazione più in sintonia con la secolarizzazione della società tunisina, benchè questa opzione sia considerata da alcuni osservatori poco più che un maquillage.

Il secondo fattore decisivo è rappresentato dall’elettorato femminile, leggermente maggioritario rispetto al maschile. Nessuno fa previsioni sulla partecipazione effettiva, sopratutto nelle zone più depresse e lontane dai centri urbani, e sulle intenzioni di voto. Le donne tunisine in questi anni sono state decisive per la democratizzazione e la modernizzazione del Paese, ma religione e arretratezza pensano ancora negli strati più poveri della popolazione. Soltanto due le donne candidate alle presidenziali, decine di migliaia nemmeno iscritte alle liste elettorali.

Ma proprio una donna è il simbolo più forte della Tunisia moderna e democratica. Souad Abderrahim ha messo fine “a 160 anni di potere maschile a Tunisi”, conquistando il municipio della capitale.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club