L’Italia è il paese che amava
Com’è finito Berlusconi a fare da spalla a tutto ciò che è antiberlusconiano

A San Giovanni la catastrofe politica del Cavaliere, da protagonista acciaccato della vita politica italiana con il patto del Nazareno a triste gregario di Casa Salvini, Meloni e Pound. Nel videomessaggio del 1994, la strada per evitare l’epilogo inglorioso

Soltanto quattro anni fa, nonostante tutte le vicissitudini giudiziarie e le pochade più o meno eleganti, Silvio Berlusconi era uno dei protagonisti della vita politica italiana. Ora è tristemente finito a fare da opening act di Matteo Salvini e da spalla di Giorgia Meloni, dico di Giorgia Meloni, la bambina posseduta di Poltergeist.

Come abbia fatto a ridursi così, è un mistero. Dopo l’implosione del suo ultimo governo, i successori Mario Monti ed Enrico Letta sono entrati a Palazzo Chigi grazie ai suoi voti. Matteo Renzi ha fatto da solo, con alcuni fuoriusciti da Forza Italia, ma l’architrave del governo dei mille giorni è stato il patto cosiddetto del Nazareno, tra Renzi e Berlusconi, per riscrivere la Costituzione e far ripartire l’Italia. In quel momento il Cavaliere era certamente un leader azzoppato, ma continuava a essere una forza centrale della vita politica del Paese e stava riscrivendo le regole costituzionali, votate insieme in aula tre volte, con il giovane non-comunista che a torto o a ragione, o per le ragioni giuste o quelle sbagliate, molti sostenevano fosse il suo erede. A un certo punto, Berlusconi ha deciso di far saltare il patto, forse perché temeva di finire schiacciato dall’irruenza renziana arrivata al 40 per cento alle Europee del 2014, provando a fregare il giovane di Rignano sull’elezione del Presidente della Repubblica e mettendosi d’accordo con Massimo D’Alema su Giuliano Amato al Quirinale. Patto saltato, anche per una malriposta sicumera renziana, riforme costituzionali gettate al vento, vocazione riformista abbandonata, Paese regalato alle forze populiste e nazionaliste, e adesso a un accordo strategico tra la vecchia sinistra che lui ha sempre detestato e i Cinque stelle che non ha mai blandito. Ma soprattutto, dal punto di vista di Berlusconi, il risultato è la totale irrilevanza della sua esperienza politica.

La fotografia della catastrofe berlusconiana è la piazza San Giovanni di sabato mattina: il polo o la casa delle libertà a trazione liberal-democratica (anche solo a parole) non esistono più, sostituiti dal partito unico salvinano, nazionalista e anti europeo, illiberale e filo russo, smoderato e statalista, fiancheggiato dai nostalgici della Meloni e di Casa Pound che si muovono in direzione opposta all’Msi che negli anni berlusconiani andava a Fiuggi per liberarsi del passato disonorevole e provava a trasformarsi in un’alleanza nazionale defascistizzata.

La parabola politica di Berlusconi immaginava una società libera, senza paura, senza invidia sociale, senza odio di classe e generosa, solidale e tollerante, a San Giovanni si è conclusa negando se stessa

«L’Italia è il Paese che amo», disse nel 1994 Berlusconi nel famoso videomessaggio in cui annunciava la nascita di Forza Italia. Riletto oggi, quel testo scritto da Giuliano Ferrara è il miglior manifesto politico contro la caciaresca improvvisazione illiberale e moscovita di Salvini: «Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare». E, ancora, «mai come in questo momento l’Italia, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare lo Stato… Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali». Maturità, testa sulle spalle, esperienza, creatività e innovazione, capacità di far funzionare lo Stato, richiamo ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, non sono esattamente le prime cose, e nemmeno le ultime, che vengono in mente guardando Casa Salvini, Meloni e Pound.

«Noi crediamo nell’individuo – disse Berlusconi nel 1994 – nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà», principi opposti a quelli di chi ha a cuore quota 100, porti chiusi, patti politici con la cleptocrazia del Cremlino e nostalgia del Ventennio.

«Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento – concluse Berlusconi nel 1994 – è perché sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita».
La parabola politica di Berlusconi immaginava una società libera, senza paura, senza invidia sociale, senza odio di classe e generosa, solidale e tollerante, ma a San Giovanni si è conclusa negando se stessa.

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