Il tempo presente vive – con evidenza – l’egemonia dell’economico sul politico. Così, anche di fronte a fatti esclusivamente politici, la nostra prima chiave di lettura tende a essere mutuata dall’economia. Tuttavia, questo processo resta inconsapevole e non produce una vera “aziendalizzazione della politica” (che almeno avrebbe il merito di risultare razionale), bensì una serie di pasticci a cui non si riesce a dare un nome e una logica.
Il caso dell’ì’appena votata riduzione dei parlamentari ne è un esempio lampante. La motivazione economica, mutuata dalle crisi aziendali dove il taglio dei dipendenti è un passaggio inevitabile, appare assolutamente evidente. Però, una riduzione dei costi lasciata fine a se stessa, soprattutto di fronte a risparmi oggettivamente risibili (un caffè all’anno per ogni italiano), rende la mossa del taglio dei parlamentari solo un mero fatto simbolico.
Ben più efficace sarebbe portare a compimento la logica del risanamento aziendale sull’intera tematica che lega la rappresentanza politica alla volontà popolare. Così, esattamente come nelle crisi aziendali ci si muove su un complessivo ridimensionamento che viene finalizzato a ripartire su basi più stabili ed economicamente sostenibili, nel caso della politica occorrerebbe ridurre (cioè selezionare su base qualitativa), non solo l’elettorato passivo (gli eletti), ma anche quello attivo (gli elettori).
È evidente che una democrazia funzionerebbe meglio laddove gli eletti, grazie al loro numero limitato, avessero la possibilità di porsi su una dimensione di distaccata autorevolezza. Ed è altrettanto chiaro che, se il corpo elettorale si riducesse secondo una logica di autentico interesse per la cosa pubblica, allora il voto acquisterebbe un significato più ponderato e autentico.
Se il corpo elettorale si riducesse secondo una logica di autentico interesse per la cosa pubblica, allora il voto acquisterebbe un significato più ponderato e autentico
Tuttavia, mentre la riduzione degli eletti è un dato ormai condiviso (ora anche legislativamente), la riduzione degli elettori viene stigmatizzata e lasciata solo alla spontanea disaffezione dei cittadini. Se la tendenza astensionista (che, essendo una tendenza storica, va compresa e rispettata) fosse assecondata da un meccanismo razionale (che ovviamente non deve essere di tipo partecipazionista), allora essa produrrebbe certamente un miglioramento qualitativo della democrazia italiana.
Le strade per raggiungere questo obiettivo passano sia per l’indebolimento di quell’ircocervo politico-mediatico che trasforma la politica in un genere dello spettacolo che richiede un clima di campagna elettorale permanente, sia per una richiesta agli elettori di esercitare con più sforzo il loro interesse alla vita democratica, attraverso l’adozione di strumenti come l’iscrizione ogni volta alle liste elettorali, la data di elezione in giorno feriale ecc.
Queste tesi possono apparire anomale e paradossali, ma hanno lo scopo di consapevolizzare il ceto politico rispetto a comportamenti che generalmente vengono a riprodursi senza un’analisi dei presupposti e delle conseguenze. Spesso, infatti, il politico assomiglia a un rabdomante che indovina la direzione senza capirne il perché. Nei rari casi in cui lo capisce, l’artigianalità rabdomantica del politico si trasforma nell’opera esemplare di uno statista che passa alla storia.