A Harold Bloom che però se ne è andato
Sulle sponte, che sono rive di propria volontà e non unite da alcun ponte…
… sulle sponte appunto di questo fiumastro, che è poco fiume ma più di un torrente, splendente come lo scodinzolare di una cometa…
… sulle sponte, ascoltando l’arzigorgoglìo dell’acqua, che sarebbe un sonaglio di gorghi che girano contorti e quasi artificiosi…
… sulle sponte mi sentii all’improviso, cioè con l’impronta veloce e luccicante dell’attimo fulgente sul mio volto, un inteingrato, cioè irriconoscente nei confronti della realtà nella quale ero vivente, e anche irriconoscibile come personaggio romanzesco, perciò la luce mi metteva in luce…
… e sentii una voce che mi diceva vaffantastico, e io fantasticazzai, cioè feci fantasie strafottenti, strafottenti la realtà, e poi mi abbandonai, ossia mi caddi sovra queste sponte, siccome sdelinquente…
… sdelinquente, cioè mi illanguidisce il mio teppismo, che è fare le rapine alle parole, che è il mio pastatempo, cioè occupo le mie giornate a mangiare come parlo, ossia con la bocca piena di frasi, che sono come i bucatini pieni di sugo ma anche di fischiante vuoto, per ciò bucatini, per satisfar la mia voracuità, ché nelle parole ho sempre da sentire un pieno intorno a un vuoto silenzioso, che se l’aspiro fischia ossia fa il verso, sennò stiamo sempre a fare mera realtà, la cronaca, e non realtà fuggente, che è la letteratura, la quale è un lepre femmina…
… e qui, sulle sponte di questo fiumastro mi sono rielegato, come s’io fossi onde di pagine voltate alla riva…
… rielegato, ossia come esiliato, quindi scucito, ma poi ricucito, scollato e però anche incollato, in copia unica, ovvero me medesimo, nella mia pelle o nella mia brossura, a seconda di come mi sento, se di lusso o se popolare, come libro perduto o abbandonato, un po’ bandito e un po’ bandellato…
… bandito e bandellato ovvero col risvolto umano, sul quale sveltamente ad agio, cioè con comoda rapidità, è tatuato il prezzo ossia la borsa, e è tatuata la vita ossia l’orma della mia vita alla quale mi sono iscritto, l’autobiocrazia di me come un sol uomo al potere della parola viva sulla lettera morta, poi che ha sofferto le più atroci penne…
… e me ne sto come se fossi un florileggìo odoroso per gli occhi di chi legge, come se fossi un autocomunista, un paroletario, un popolo di pagine, ora in un libro tra le mani di una passiflora, la mia lettrice appassionata, la fanciulla in fiore, Carlotta di Classe, dalle cui dita tènere, allentate, assopite dalla lettura io, scosceno, ripido, erto, precipite discendo, scivolo spudotato in grembo a lei disegnando lo stesso arco delle sue palpebre superiori che si chiudono sognanti…
… e si chiama curvasogno questo chiudersi di palpebre, le sue, e di pagine, le mie, perché è così, con gli occhi chiusi, che si legge…
… così noi somigliamo come cosce d’acqua al fiumastro, allo scorrere di un romanzo istantaneo e perenne d’amore…
… e in quest’estasi di fiumastro e sponte erbose, su questo bel parato, cioè prato con anche fronde e rami floricanti e uccelleggianti, come disegnati da William Morris su tessuti e rotoli di carta che ci avvolgono, noi, rilegati ossia legati ancora, ci titoliamo con un sol urlo: “Ora o mai piuma!”, e ci sotto sotto titoliamo: “Avanti, copulo, alla riscossa, ondulatoria e sussultoria, e pure elettrica”…
… e questa è la lettura consigliata dei fatti, accaduti su le sponte di un fiumastro, una lettura scritta con proprietà comune di lingueggio e dichiarazione congiunta d’amore per le sette e quaranta…
… sovra queste sponte pittate a parato, questo prato scoiattolato da animalucci del tipo Eliot, Stevens, Crane, che vanno appresso a Bloom che se ne è andato.