La speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi ha annunciato nei giorni scorsi l’apertura della procedura d’impeachment contro il presidente Donald Trump, accusato di aver suggerito velatamente al neoeletto presidente ucraino Volodymyr Zelensky di indagare su Hunter Biden, figlio dell’ex vicepresidente Joe Biden, per eventuali episodi di corruzione durante il suo mandato come membro del consiglio di amministrazione della società energetica Burisma dall’aprile 2014 al marzo 2019 (Un riassunto della successione degli eventi si trova qui). Un potenziale crimine che comporterebbe il coinvolgimento di una potenza straniera nello screditamento di un rivale politico come Biden, attualmente candidato alle primarie presidenziali. Ma come funziona questo processo politico. Ecco tutto quello che avreste voluto sapere (ma non avete mai osato chiedere).
L’impeachment è nell’ordinamento statunitense la procedura attraverso la quale si pone in stato di accusa un ufficiale federale per un crimine commesso nell’esercizio delle sue funzioni
Impeachment: come funziona e a chi si applica
L’impeachment è nell’ordinamento statunitense la procedura attraverso la quale si pone in stato di accusa un ufficiale federale per un crimine commesso nell’esercizio delle sue funzioni (in casi rari anche prima di entrare in carica). La stesura e il voto degli articoli di accusa è a carico della Camera dei Rappresentanti mentre il processo vero e proprio viene svolto dal Senato, presieduto dal Giudice capo della Corte Suprema. Per la messa in stato di accusa basta la maggioranza semplice, mentre per la rimozione servono i due terzi. Durante tutto il procedimento l’ufficiale incriminato rimane al suo posto. Tralasciamo in questa circostanza gli impeachment a livello statale, dato che ognuno dei cinquanta ordinamenti ha delle peculiarità differenti. Il primo impeachment ad essere iniziato fu contro il senatore William Blount del Tennessee nel 1797. Negli anni precedenti si era indebitato pesantemente per l’acquisto di poco più di 10mila kmq di terre vergini nel Sud Ovest degli Stati Uniti e nel 1795 quando ci fu un crollo dei prezzi di questi appezzamenti sfiorò la bancarotta. Con l’aiuto di un agente indiano, John Chisholm, aveva cercato di far sì che la Gran Bretagna conquistasse la Florida spagnola con l’aiuto della loro flotta e l’aiuto di milizie mercenarie a terra, in cambio del libero accesso dei mercanti americani nel territorio, in modo da aprire la via dei Caraibi e del fiume Mississippi e far così salire il prezzo delle terre. Il piano venne scoperto e Blount venne processato (in modo assai concitato) ed espulso dal Senato prima che il processo andasse a termine. Da allora venne impostato il precedente che, data la sua natura, in casi simili dev’essere lo stesso Senato a espellere i suoi membri per crimini di varia natura (segnalo la storia completa del processo Blount).
Il secondo ad essere rimosso fu il giudice John Pickering della Corte distrettuale del New Hampshire, accusato più prosaicamente di ubriachezza molesta durante l’esercizio delle sue funzioni. L’impeachment andà a buon fine e venne rimosso dalla sua carica il 12 marzo 1804. In totale 15 processi hanno riguardato giudici federali (in un caso anche un giudice della Corte Suprema, William Douglas, prosciolto per insufficienza di prove dalla Camera il 3 dicembre 1970) e un segretario alla Guerra, William Worth Belknap, dimessosi nel 1876 per un caso di corruzione riguardante la gestione di un forte militare nell’attuale Oklahoma, all’epoca territorio nativo americano (sul sito del Senato americano trovate un recap della vicenda sintesi). L’ultima rimozione per impeachment ha riguardato il giudice della Corte del distretto orientale della Louisiana Thomas Porteous, rimosso per aver fatto dichiarazioni false sul proprio status finanziario.
L’immediato predecessore di Abraham Lincoln, il democratico James Buchanan, venne messo sotto inchiesta dalla commissione presieduta dal repubblicano John Covode, che lo accusava di usare sistematicamente la corruzione dei deputati come metodo di governo per far passare come valida la nuova costituzione del Kansas
Processare un presidente: quando potere legislativo ed esecutivo si scontrano
Parafrasando l’incipit di Anna Karenina, tutte le amministrazioni presidenziali si assomigliano, ma ogni impeachment è un caso a sé, come spiega molto bene David Greenberg. I primi casi di tentata messa in stato d’accusa riguardano due presidenti del periodo precedente la guerra civile. Nel 1842 venne aperta un’inchiesta contro John Tyler, ex vicepresidente del defunto William Henry Harrison, eletto per il partito Whig nel 1840. Nel corso della sua presidenza Tyler si avvicinò sempre di più ai democratici e cominciò a mettere il veto sui provvedimenti della sua ex maggioranza non come veniva fatto fino ad allora, ovverosia quando c’erano problemi di costituzionalità, ma anche per motivi squisitamente politici. John Minor Botts, deputato whig della Virginia, tentò di vagliare la possibilità di metterlo in stato di accusa per aver invaso le prerogative del Congresso di definire la politica interna, ma la sua risoluzione venne bocciata per 127 voti a 83. L’immediato predecessore di Abraham Lincoln, il democratico James Buchanan, venne messo sotto inchiesta dalla commissione presieduta dal repubblicano John Covode, che lo accusava di usare sistematicamente la corruzione dei deputati come metodo di governo per far passare come valida la nuova costituzione del Kansas, la cosiddetta “costituzione di Lecompton”, che faceva entrare il Kansas nell’Unione come stato schiavista. L’amministrazione rispose alle accuse definendole come prive di fondamento e totalmente viziate dalla partigianeria politica. L’inchiesta si chiuse con un nulla di fatto il 17 giugno del 1860, all’immediata vigilia della secessione degli Stati del Sud. Forse pesò anche il fatto che, in caso di rimozione di Buchanan, sarebbe subentrato il suo vicepresidente John C. Breckinridge, apertamente favorevole alle istanze sudiste (tanto da disertare e unirsi all’esercito confederato dopo lo scoppio delle ostilità). Bisognerà aspettare la fine della guerra per vedere il primo vero e proprio processo. Il presidente era Andrew Johnson, ex sarto del Tennessee diventato deputato e senatore, unico sudista a non essersi dimesso dal Senato, rimanendo fedele all’Unione. Come atto di riconciliazione nazionale, nonostante fosse un membro del partito democratico, venne nominato da Abraham Lincoln in un ticket che assunse il nome temporaneo di “National Union Party”. Dopo l’assassinio di Lincoln, Johnson ascese alla presidenza e tentò sin dai primi giorni di attuare politiche favorevoli a una rapida riconciliazione tra le parti favorendo lo status quo prebellico. Secondo la definizione dello storico Eric Foner, gli ex schiavi avrebbero dovuto ricevere “Nothing but freedom” e rimanere sostanzialmente sottomessi ai vecchi padroni come mezzadri. Per fare questo però Johnson tentò di silurare uno dei più accesi radicali dell’amministrazione ereditata da Lincoln, il segretario alla guerra Edwin Stanton, a protezione del quale i repubblicani, che erano maggioranza in entrambi i rami del Congresso, avevano votato nel 1867 il Tenure of Office Act, secondo cui non solo le nomine ma anche i licenziamenti da parte del presidente dovevano essere concordati con il Senato. Il 21 febbraio 1868 Johnson licenziò ugualmente Stanton. Tre giorni più tardi la Camera votò l’impeachment per 126 voti a 47 per violazione della legge.
Dovranno passare più di cent’anni per avere l’inizio di un altro procedimento di impeachment, quello riguardante il presidente Richard Nixon
Il processo si concluse al Senato il 26 maggio dello stesso anno: Johnson venne dichiarato colpevole da 35 senatori contro 19, un voto in meno della richiesta maggioranza dei due terzi. Il potere della presidenza rimase ridimensionato per molti anni a venire, anche se il Tenure of Office Act venne abrogato nel 1887 e venne ritenuto incostituzionale da una sentenza della Corte Suprema nel 1926. La cautela decisiva dei dieci senatori repubblicani che votarono contro la colpevolezza del presidente fu determinata anche dalla prospettiva di nominare presidente il senatore dell’Ohio Benjamin Wade, presidente pro tempore dell’assemblea, primo in linea di successione. Il suo radicalismo era tale tanto da essersi guadagnato una menzione nella prefazione della prima edizione de Il Capitale di Karl Marx.
Dovranno passare più di cent’anni per avere l’inizio di un altro procedimento di impeachment, quello riguardante il presidente Richard Nixon. Le vicende sono talmente note che le riassumiamo per sommi capi: il 17 giugno 1972 degli agenti federali fanno irruzione nel complesso del Watergate a Washington D.C., sede del Comitato Nazionale Democratico, per intercettare le conversazioni che si svolgevano al suo interno. Successivamente, come testimoniato dai nastri che Nixon registrava abitualmente nello Studio Ovale, il presidente cercò di insabbiare tutto citando non meglio precisate questioni di sicurezza nazionale. Quello che non tutti sanno è che il primo a depositare un articolo di accusa fu il deputato del Massachusetts Robert Drinan, prete gesuita. Ma non per il Watergate, bensì per il bombardamento segreto della Cambogia, attuato tra il 1969 e il 1970 senza informare il Congresso. Ovviamente l’impeachment si avviò su quella strada fino al momento in cui il 7 agosto 1974 i senatori Barry Goldwater e Hugh Scott e il deputato John Rhodes spiegarono alla Casa Bianca che al Senato il presidente poteva contare soltanto su 15 voti a favore della sua assoluzione. In quel momento Nixon capì che la sua amministrazione era al capolinea e si dimise due giorni dopo.
Infine arriva Bill Clinton. L’epoca era quella sempre meno bipartisan della leadership repubblicana dello speaker della Camera Newt Gingrich, autore della strepitosa vittoria del midterm del 1994 che sottrae a Clinton la maggioranza in entrambe le ali del Congresso. Il clima avvelenato e gli scheletri relativi a una relazione sessuale che il presidente aveva avuto con Paula Jones ai tempi del suo periodo da governatore dell’Arkansas conducono a un maldestro tentativo di patteggiamento segreto per 850mila dollari di risarcimento e a una menzogna davanti al gran giurì relativamente a un’altra relazione “inappropriata”, per citare l’eufemismo utilizzato in seguito, con la stagista Monica Lewinsky. Ostruzione alla giustizia e spergiuro. Più che sufficiente per un partito repubblicano desideroso di rivalsa e che nel 1998 conduce al secondo impeachment votato dalla Camera nella storia americana e che nel gennaio 1999 porta al processo di fronte al Senato presieduto da un’altra figura profondamente divisiva come il Giudice Capo William Rehnquist, già avvocato della Casa Bianca ai tempi di Nixon e che scelse di indossare durante il dibattimento una curiosa toga con mostrine dorate. Nonostante la maggioranza conservatrice, Clinton la spuntò, ma la vicenda indebolì i democratici in vista delle presidenziali del 2000, vinte da George W. Bush in modo discusso. Ma questa, decisamente, è un’altra storia.
(Tratto dalla newsletter “Jefferson-Lettere sull’America. Per iscrivervi cliccate qui)