Il trentennaleQuei due avverbi che fecero cadere il Muro di Berlino

“Subito, immediatamente”. L’incredibile ma sintomatica storia della giornata che, di fatto, sancì la fine del comunismo. Era il 9 novembre del 1989

Le due parole più importanti della storia tedesca recente sono due avverbi: sofort, unverzüglich. “Subito, immediatamente”. Due avverbi pronunciati la sera del 9 novembre 1989 da Günther Schabowski, giornalista e membro della Segreteria della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands), il partito di governo della DDR

E sono le parole più importanti perché, di fatto, sancirono il crollo del Muro di Berlino.

Ma come hanno fatto due semplici avverbi a buttare giù tonnellate di mattoni e cemento armato che per 28 anni hanno diviso una città, un Paese e il mondo intero?

Per capirlo, bisogna fare un piccolo passo indietro, e ripercorrere cosa successe in quel giorno decisivo

Alle 9 di mattina del 9 novembre, Gerhard Lauter è decisamente sotto pressione.

Figlio di un alto funzionario della SED, protagonista di una rapida e luminosa carriera prima in polizia e poi al Ministero degli Interni, gli è stato affidato un compito tutt’altro che semplice: modificare urgentemente la proposta di legge che regola il diritto di spostamento dei cittadini della DDR – da lui stesso redatta – perché il contesto sta cambiando a una velocità incredibile.

Anche il testo originale era figlio di una situazione complicata. In estate avevano fatto il giro del mondo le immagini delle migliaia di tedeschi dell’est accampati nello spiazzo davanti all’ambasciata della Repubblica Federale Tedesca (quella occidentale) a Praga, che chiedevano asilo implorando di poter continuare il loro viaggio verso ovest. Come noto, infatti, per andare negli altri Paesi del blocco comunista non servivano permessi speciali, e da lì si poteva provare a passare dall’altra parte sfruttando le strutture diplomatiche della Germania Ovest. Quando alla fine di settembre la richiesta venne accolta, e decine di treni furono fatti partire in direzione Baviera per coronare finalmente il loro sogno, le cose per la DDR, da sempre a rischio di svuotamento demografico, si fecero molto serie.

I cecoslovacchi, infatti, si fecero parecchio minacciosi con i loro vicini non solo geografici, ma anche ideologici. Il loro messaggio era chiaro: scene del genere non dovranno più ripetersi sul nostro territorio, perché potrebbero ringagliardire i dissidenti, dunque controllate meglio la vostra gente o chiudiamo i confini. La chiusura dei confini avrebbe significato, per il governo della DDR, il passaggio da una situazione difficile a una vera e propria bomba ad orologeria: le manifestazioni di chi si opponeva al regime stavano diventando sempre più diffuse e partecipate, soprattutto a Lipsia dove ormai i cortei del lunedì raccoglievano centinaia di migliaia di persone, e una misura restrittiva come questa, per quanto decisa da altri, avrebbe esasperato la tensione a livelli probabilmente incontrollabili.

La chiusura dei confini avrebbe significato, per il governo della DDR, il passaggio da una situazione difficile a una vera e propria bomba ad orologeria

L’idea, quindi, fu quella di preparare una bozza di regolamento che allargasse un po’ le maglie della Cortina di Ferro, consentendo a chi volesse emigrare definitivamente nella Germania Ovest di poterlo fare in modo regolato e in un punto specifico, vicino al villaggio bavarese di Schirnding, crocevia al confine fra le due Germanie e la Cecoslovacchia. Naturalmente, sarebbe stata sempre necessaria una marea di documenti e di approvazioni da parte del regime, per mantenere comunque il controllo del flusso in uscita; e soprattutto, si trattava solo ed esclusivamente di emigrazione, dunque di chi sceglieva di lasciare la DDR per sempre. Questa proposta avrebbe tenuto buoni i cecoslovacchi, ma l’impressione diffusa fra i funzionari del regime era che potesse non essere sufficiente per due altri attori in gioco in quei giorni concitati.

Innanzitutto, gli stessi cittadini della DDR. I cortei e le manifestazioni dei dissidenti diventavano sempre più frequenti, e raccoglievano ormai folle oceaniche – a Lipsia alcuni resoconti parlavano addirittura di mezzo milione di persone, il che praticamente significava l’intera città. Il nuovo regolamento avrebbe garantito un po’ più di libertà di movimento, ma con ogni probabilità non sarebbe stato abbastanza per una popolazione che iniziava davvero ad acquisire consapevolezza di ciò che poteva ottenere con la propria mobilitazione.

L’altro protagonista, invece, era la Germania Ovest, e in particolare il suo Cancelliere, Helmut Kohl, che aveva intuito come fosse giunto il momento di sfruttare le debolezze strutturali del regime orientale, ormai sempre più evidenti. Proprio in quel periodo, infatti, la DDR stava attraversando una transizione di potere: non va dimenticato che a metà ottobre, grazie a una specie di colpo di stato, Erich Honecker, il capo storico fin dai primissimi anni Settanta, era stato estromesso e sostituito dall’erede designato, Egon Krenz. Le ragioni dell’avvicendamento, oltre alle solite trame di palazzo che costellano un po’ tutti i regimi, andavano probabilmente trovate in un fatto tutto sommato semplice: Honecker era un uomo del passato, incapace di affrontare una situazione delicata che non poteva essere risolta con i metodi spicci che lo contraddistinguevano. Sempre molto attenta alla propria immagine in un mondo in cui le notizie viaggiavano in fretta, la DDR non poteva più permettersi di avere al proprio vertice chi si ostinava a pretendere l’utilizzo di “tutti i mezzi necessari” per bloccare le manifestazioni e disperdere i manifestanti. E poi, Honecker aveva anche avuto di recente problemi di salute piuttosto seri, quindi si poteva pure trovare una motivazione ufficiale non troppo disonorevole.

La speranza che Krenz fosse percepito dalla gente come un miglioramento, un segnale di apertura, si rivelò vana quasi subito. Krenz non era solo quello che aveva coordinato la farsa delle Kommunalwahlen (elezioni amministrative) del 7 maggio, i cui risultati erano stati falsificati in maniera assolutamente palese, ma soprattutto aveva espresso pubblicamente grande ammirazione per la gestione dei fatti di piazza Tienanmen da parte del governo cinese – che invece aveva lasciato la stragrande maggioranza dei tedeschi, inclusi quelli dell’Est, inorriditi e sgomenti.

L’accantonamento di Honecker, poi, aveva reso tremendamente evidente uno dei problemi cruciali che affliggevano la DDR: la sua cronica mancanza di soldi, ed il suo costante bisogno di prestiti – in particolare da parte dei cugini a Ovest. Kohl, compresa la situazione, decise di provare ad approfittarne e si mise quindi a tirare la corda: i soldi sarebbero arrivati, certamente, ma in cambio di decise aperture su alcuni nodi centrali, come le libertà politiche e la libertà di movimento.

Gli ordini ricevuti da Gerhard Lauter la mattina del 9 novembre, dunque, sono chiari e inesorabili, ma anche terribilmente complicati. Rielaborare la bozza della legge sul diritto di spostamento tenendo a mente tutti questi criteri: che non faccia arrabbiare i cecoslovacchi per evitare la chiusura del confine; che sia sufficientemente liberale da tenere buona la gente e convincere l’Ovest a sganciare il denaro; che tuttavia lasci sempre il controllo dei flussi nelle mani del regime, per evitare lo spopolamento repentino del Paese.

La sfida è ardua, e Lauter lo sa.

Nessuno immagina che sì, il titolo del testo è rimasto lo stesso, ma il gruppo di Lauter ha praticamente rivoltato il contenuto da capo a piedi. Il Politburo approva

Può contare sull’aiuto di tre colleghi: Gotthard Hubrich del Ministero degli Interni, e Hans-Joachim Krüger e Udo Lemme del Ministero per la Sicurezza di Stato – cioè la Stasi. Chiusi in un ufficio, sanno di non poter uscire fin quando non avranno svolto il compito che gli è stato assegnato. Sicuramente lo ignorano, ma è proprio in questo momento che il Muro inizia a cadere.

Lauter mette subito in chiaro, all’inizio dell’incontro, qual è il suo pensiero: gli ordini ricevuti non hanno senso, sono del tutto contraddittori. Per di più, l’effetto sarebbe contrario a quello sperato, aumenterebbe la spinta all’emigrazione invece di arrestarla: ad esempio, perché escludere così categoricamente la possibilità di ritornare nella DDR? La gente alla fine vuole soprattutto la possibilità di poter viaggiare, più che emigrare. Tanto argomenta, Lauter, che riesce a convincere i suoi colleghi: metteranno mano alla bozza, sì, ma andando oltre la lettera degli ordini ricevuti per coglierne lo spirito, e risolvere per davvero lo spinoso problema.

In tarda mattinata il nuovo testo è pronto: le nuove regole, da far entrare in vigore subito, renderanno possibile spostarsi all’estero, per viaggiare o emigrare, senza dover rispettare tutte le condizioni richieste in precedenza, cioè dimostrare la necessità del viaggio o addurre comprovate ragioni familiari – sebbene rimarrà sempre necessario ottenere un permesso specifico. In più, si potrà passare da Est a Ovest non solo a Schirnding, ma lungo tutto il confine fra le due Germanie, Berlino inclusa. Il gruppo di quattro funzionari, guidato da Lauter, si ritiene soddisfatto, e prepara un comunicato stampa per illustrare al mondo la nuova legge, precisando però di non renderlo pubblico prima delle 4 di mattina del giorno dopo. Il 9 è giovedì, meglio diffondere la notizia l’indomani, venerdì, per far slittare le cose alla settimana successiva. Per chiudere tutto, però, manca ancora l’approvazione del Politburo della SED, e di Krenz.

Il testo dei quattro arriva proprio quando la Segreteria è in riunione ma sta per fare una pausa, nel primo pomeriggio. Krenz vuole discutere la proposta immediatamente, ma una buona metà del Politburo decide che è comunque ora di un break, e si allontana dalla sala, per un caffè o una sigaretta. D’altra parte a grandi linee si sa già di cosa parla la bozza, no? Oltretutto il titolo è rimasto lo stesso della prima versione: Beschluss zur Veränderung der Situation der ständigen Ausreise von DDR-Bürgern nach der BRD über die CSSR (“Ordinanza sulla modifica della situazione dell’espatrio permanente dei cittadini della DDR verso la repubblica Federale Tedesca attraverso la Cecoslovacchia”), quindi che c’è da discutere?

Siamo pur sempre a Berlino Est, però: che ne pensano i sovietici? Nei giorni precedenti non è stato semplicissimo contattarli: ci sono state le celebrazioni per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, e quasi tutti i funzionari sono ancora impegnati. I sovietici però avevano sostanzialmente approvato il piano originale della bozza: visto che il piano è sempre quello, sicuramente saranno d’accordo anche con questa nuova versione. A chi gli chiede se ha ottenuto il via libera da Mosca, Krenz risponde affermativamente.

Nessuno immagina che sì, il titolo del testo è rimasto lo stesso, ma il gruppo di Lauter ha praticamente rivoltato il contenuto da capo a piedi. Il Politburo approva.

A questo punto viene posta una domanda cruciale – secondo alcuni sempre da Riccardo Ehrman, secondo altri dal giornalista della Bild Peter Brinkmann: wann tritt das in Kraft? Quando entrerà in vigore?

Ora si tratta solo di programmare l’annuncio ufficiale del nuovo regolamento. Dovrebbe pensarci Wolfgang Meyer, appena nominato portavoce del governo, ma Krenz decide di affidare l’incarico a Günther Schabowski, funzionario di peso della SED e portavoce del partito. C’è un problema però: durante la riunione del Politburo Schabowski non si è visto, quindi non è informato sugli ultimi sviluppi – in realtà, come abbiamo visto, nessuno lo è, a parte il gruppo di Lauter. Inoltre, col senno di poi c’è anche un altro problema: Schabowski ha una conferenza stampa, aperta ai media occidentali, pianificata per le sei di sera.

Ex direttore del quotidiano ufficiale della SED, Neues Deutschland, Schabowski è un giornalista di grande esperienza, ma di quel giornalismo in voga nella DDR, in cui le notizie vengono date dopo che accadono o quantomeno dopo che i vertici del partito le hanno decise. Nonostante non abbia partecipato alla riunione del pomeriggio, non è preoccupato dall’incontro con la stampa che lo attende alle sei: come ama ripetere, per fare una conferenza stampa basta “parlare tedesco e saper leggere un testo”, altro non serve. Intorno alle cinque incontra brevemente Krenz, e quando chiede cosa dovrà dire ai giornalisti riceve il testo del gruppo di Lauter – proprio quello che doveva essere sotto embargo fino alle 4 di mattina del giorno dopo, ma evidentemente nessuno se ne ricorda. Lauter stesso ormai ha lasciato l’ufficio, ha appuntamento con la moglie per andare a teatro ed è irraggiungibile.

La conferenza stampa delle sei inizia come tante altre, in maniera quasi rituale, con Schabowski che introduce l’elenco dei funzionari che hanno partecipato alla riunione del Politburo nel pomeriggio. Nessuno si aspetta niente di particolare, ma l’atmosfera cambia quando Riccardo Ehrman, inviato italiano dell’ANSA, chiede qualche delucidazione sulle regole per gli spostamenti a Ovest per i cittadini della DDR. Schabowski inizia a rispondere in modo un po’ vago, dicendo che il governo e il partito sono ben consapevoli del problema, ne hanno discusso durante l’incontro pomeridiano, e sono giunti a una decisione: istituire un regolamento che renda possibile emigrare. Ora tutta la sala stampa è bene attenta, si percepisce che sta per succedere qualcosa. Iniziano a piovere domande, e preso un po’ alla sprovvista Schabowski decide, per tagliare la testa al toro, di leggere ad alta voce il testo ricevuto da Krenz – sì, proprio quello di Lauter e del suo gruppo, quello che doveva restare segreto fino alle 4 di mattina di venerdì. Quello che sembra nessuno abbia letto, a parte gli estensori: quello che dice, nero su bianco, che “le richieste per spostamenti all’estero da parte di privati cittadini possono ora essere avanzate senza i requisiti precedentemente in vigore (dimostrando la necessità del viaggio o provate ragioni familiari). Le autorizzazioni di viaggio saranno rilasciate a breve.”

A questo punto viene posta una domanda cruciale – secondo alcuni sempre da Riccardo Ehrman, secondo altri dal giornalista della Bild Peter Brinkmann: wann tritt das in Kraft? Quando entrerà in vigore?

Schabowski risponde.

Das tritt nach meiner Kenntnis… ist das sofort, unverzüglich.

“A quanto ne so… subito, immediatamente.”

Erano più o meno le sette di sera di giovedì 9 novembre 1989.

Ciò che successe subito dopo, nelle ore immediatamente successive, se avete più di trent’anni è probabile che ve lo ricordiate, e che l’abbiate visto in tv.

Altrimenti, potete ripercorrerlo in un bel libro di Mary Elise Sarotte, docente di Storia alla Johns Hopkins: The Collapse. The Accidental Opening of the Berlin Wall, che è anche la fonte principale di queste righe.

da Katercollective.com

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