Secondo mandato di governo per Prawo i Sprawiedliwość (PiS), partito conservatore nazionalista di Jarosław Aleksander Kaczyński, che ha ottenuto alle urne, domenica 13 ottobre, 8.051.935 voti alla Camera bassa o Sejm (43,59 per cento) e 8.110.193 al Senato (44,56 per cento). Risultati che, se hanno confermato la veridicità dell’exit poll di IPSOS e dei sondaggi dell’ultima settimana, soprattutto quello di Indicator per Wiadomości TVP, segnano però un leggero passo indietro rispetto a quelli del 25 ottobre 2015 allorquando Pis ottenne la maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento.
Questa volta, invece, benché la detenga alla Sejm con 235 deputati sui 460 complessivi, l’ha persa al Senato, dove su 100 seggi totali ne ha ottenuto 48 anziché i 51 necessari. Conseguenza, questa, non solo del differente sistema elettorale per i due rami – alla Camera: proporzionale e soglia di sbarramento al 5 per cento per i partiti e all’8 per le coalizioni, non contemplata però per le minoranze nazionali; al Senato: uninominale secco – ma anche, e soprattutto, del maggiore afflusso alle urne. Domenica, infatti, il 61,16 per cento (18.678.457) degli aventi diritti al voto (30.253.556) si è recata al voto, facendo così registrare un aumento del 10,2 per cento rispetto alle precedenti elezioni. I centristi della coalizione Koalicja Obywatelska (Ko), composta da sei partiti, tra cui, soprattutto, Platforma Obywatelska (Po) di Donald Tusk e Nowoczesna di Ryszard Jerzy Petru, si sono riconfermati, col 27,40 per cento dei consensi, come secondo schieramento parlamentare: hanno ottenuto 134 seggi alla Camera bassa (perdendone dunque 4 rispetto alla passata legislatura) e ben 43 al Senato, rispetto ai precedenti 34.
Dopo 15 anni ai margini della vita politica nazionale torna in Parlamento la sinistra attraverso la coalizione omogena dal nome Lewica (La Sinistra, ndr), composta da Sojusz Lewicy Demokratyczneje (Sld), Lewica Razem e dalla neonata Wiosna (Primavera), i cui rispettivi leader sono Włodzimierz Czarzasty, Adrian Zandberg e l’europarlamentare Robert Biedrón. Potrà contare su 49 deputati e 2 senatori. 8,55 per cento di consensi alla Sejm e 5,72 per cento al Senato, invece, per Koalicja Polska, il partito confederato di matrice cristiano-democratica e ruralista, costitutito il 4 luglio su iniziativa di Polskie Stronnictwo Ludowe (Psl). Entra, infine, alla Camera (ma non al Senato) con 11 parlamentari Konfederacja Wolność i Niepodległość, il partito di forze di estrema destra e ultranazionaliste, coagulate intorno a KORWiN e Ruch Narodowy (Movimento Nazionale, ndr). Nel complesso, la grande affluenza alle urne e l’aumento in percentuale di consensi per il PiS sono da leggersi, in ogni caso, anche nell’ottica del pesante ruolo che l’episcopato polacco ha giocato nel corso dell’intera campagna elettorale.
Se ancora il 9 ottobre la Conferenza episcopale lanciava, al termine della 384° plenaria, l’appello alla partecipazione alla votazione quale «dovere morale», l’aperto sostegno al partito di Kaczyński è stato mostrato pressocché costantemente fino all’ultimo. Durante la campagna elettorale, che è coincisa più o meno con la stagione dei Pride – alcuni dei quali contrassegnati da episodi di aggressioni e contestazioni, come nei casi di Białystok (20 luglio), Radomsko (17 agosto) e Lublino (28 settembre), da parte di gruppi ultranazionalisti, neo-nazisti, tradizionalisti cattolici – il leader ed esponenti del PiS hanno combattuto, parallelamente a vescovi e clero, quella che è stata indicata come “ideologia Lgbti”, «vera minaccia per la nostra identità, per la nostra nazione» importata dall’estero, e ribadito la difesa dei valori cattolici tradizionali.
Termini d’altra parte ricorrenti nella predicazione di non pochi presuli. Alla vigilia del 20 luglio, ad esempio, l’arcivescovo di Białystok Tadeusz Wojda aveva incoraggiato il pic-nic delle famiglie, promosso da Artur Kosicki del PiS, e invitato le persone partecipanti a «difendere i valori cristiani», definendo il Pride «un’iniziativa estranea alla regione». Il 1° agosto l’arcivescovo di Cracovia, nonché vicepresidente della Kep, Marek Jędraszewski, durante l’omelia in occasione del 75° anniversario della rivolta di Varsavia, era arrivato a denunciare la «peste arcobaleno», minaccia alla stabilità dell’identità nazionale e del modello tradizionale di famiglia.
«La peste rossa non serpeggia più sulla nostra terra – così il presule – ma ne è emersa una nuova, neo-marxista, che vuole impadronirsi di anime, cuori e spiriti. Una peste che non è rossa ma arcobaleno». Per arrivare, il 4 agosto, all’attacco contro «l’ideologia malata Lgbt a danno dalla famiglia tradizionale». Queste le parole pronunciate da Mirosław Milewski, vescovo ausiliare di Plock, che aveva anche definito i Pride «marce immorali» e i loro partecipanti «persone senza Dio».
Non meraviglia perciò che, in un tale crescendo di toni, Kaczyński fosse tornato a utilizzare, il 20 agosto, a Stalona Wola l’argomento dei diritti Lgbti quale pericolosa idea occidentale minante i valori cattolici tradizionali della Polonia e dei Pride quale «teatro itinerante, che sta andando in scena in diverse città per provocare e poi piangere. Siamo noi a essere danneggiati da un tale teatro, che deve essere smascherato ed eliminato».
Non senza aver ribadito che solo il PiS può difendere la Chiesa cattolica e scacciare le minacce occidentali alla famiglia tradizionale: «Dobbiamo vivere in libertà – ha affermato – e non essere soggetti a tutto ciò che sta accadendo a ovest dei nostri confini, dove la libertà viene eliminata». Il tema della difesa della Chiesa e dei suoi valori è da leggere alla luce di alcuni dati: oltre il 90 per cento dei polacchi si dichiara cattolico e oltre il 38 per cento partecipa alla messa domenicale. Influente nelle campagne, la Chiesa lo è però certamemte di meno nelle grandi città, dove il numero di bambini inviati al catechismo diminuisce da un anno all’altro (a Varsavia 78 per cento nella scuola elementare, 45 per cento in quella secondaria). L’immagine della gerarchia cattolica è stata tuttavia colpita dagli scandali della pedofilia e due polacchi su tre si oppongono all’interferenza ecclesiastica nella vita politica.
Quella di Kaczyński è stata però una campagna elettorale non solo intesa come battaglia alll”ideologia Lgbti” e ai valori liberali importati dall’Occidente in un’ottica di pura retorica nazionalista e sovranista. Ma anche come mobilitazione della popolazione rurale particolarmente svantaggiata nelle campagne, come esaltazione dei valori familiari, come elargizione di promesse che, favorite dalla reazione populista alle élite liberali, vanno dall’aumento dei benefici e del salario minimo alla sempre ricorrente riduzione delle tasse.
D’altra parte il PiS ha potuto giocare a suo favore la carta della rapida crescita economica degli ultimi anni in una col calo della disoccupazione al 5,1 per cento (il livello più basso negli ultimi 30 anni) e del tasso di povertà estrema (anche se, a causa dell’inflazione, salito nel 2018 al 5,4 per cento rispetto al 4 per cento del 2016-2017). Benché le opposizioni abbiano attribuito, in campagna elettorale, un tale successo alla buona situazione internazionale e insistito, al contempo, sul denunciare le controverse riforme giudiziarie, che, secondo la Commissione europea (la quale ha presentato, il 10 ottobre, un ricorso al riguardo contro il PiS alla Corte di Giustizia europea) minacciano lo stato di diritto in Polonia, il credito del partito di Kaczyński non ne è stato però intaccato più di tanto agli occhi di larga parte della popolazione.
Come non gli ha fatto perdere sensibili consensi il fatto che, benché avesse respinto fermamente le quote di rifugiati proposte dall’Ue nel 2015-2016 secondo la ben nota retorica anti-migratoria, ciò non abbia poi impedito alla Polonia di diventare, nel 2017, la prima destinazione di lavoratori stranieri, superando, secondo uno studio dell’Ocse, persino gli Stati Uniti. 1,2 milioni di persone, cioè, di cui la maggior parte proveniente dall’Ucraina.