Senza ricettaIntegratori, vitamine, macrobiotici: nelle farmacie sono scomparsi i farmaci

La metamorfosi dei luoghi prima adibiti alla vendita di medicinali, aghi e siringhe. La sofferenza sembra essere stata nascosta dalla vendita del “benessere”. Carlo Verdone li paragona ai vecchi negozi di dischi

Dice Carlo Verdone: «Dovrebbero chiamarle effe lunghe», facendo il verso ai supermercati. Già, le farmacie non sono più quelle di una volta, non assomigliano affatto a se stesse. Le farmacie sempre più ricordano gli ipermercati, quasi la stessa linea tratteggiata sui pavimenti, come in un’ennesima Ikea del mondo, per condurre verso l’uscita, accompagnandoti, scaffale dopo scaffale, negli acquisti, assenti ormai alla vista i prodotti farmaceutici, celati agli occhi. Le farmacie sono adesso luoghi inoffensivi all’apparenza, lontani da ogni percezione del dolore, estranei all’idea stessa della sofferenza, della morte, della convalescenza; dove l’oggetto più medicale, più estremo, che si possa scorgere, metti, è l’apparecchio per l’aerosol, per la pressione arteriosa, perfino il logo “Pic” non sembra più mostrare paura dell’ago. Dove appunto la nozione visiva della sofferenza e della morte non sembrano più essere contemplate, esposte, offerte al cliente. Rimosse, semmai, occultate dalle confezioni del “benessere”.

Le farmacie non assomigliano più a se stesse, la croce verde intermittente appare come un simulacro, semplice riflesso di luce segnaletica, insegna tra le insegne. Così, volendo trovare un’immagine cinematografica per descriverle nel presente, basterà tenere a mente lo scarto narrativo che segna Il medico della mutua rispetto al suo sequel, l’episodio successivo, sempre interpretato da Alberto Sordi, Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue. Là dove le sale operatorie appaiono sostituite dalle palestre, assodato che l’affare del futuro, del tutto indolore, il business ideale, riguarderà, così si suggeriva quel film, la forma fisica.

Le farmacie non hanno ormai nulla dell’odore di un tempo, sempre più assomigliano a supermarket dove, innanzitutto, brillano, inoffensivi, vitamine e colliri, in assenza visiva perfino, che so, degli stessi antibiotici. Le farmacie così assomigliano ai labirintici autogrill della motorizzazione alle sue origini, affidati a un percorso obbligato che dal salame felino giungeva fino al “Toblerone”, poi, infine, davanti alla cassa, volendo, al volo, c’erano anche giornali, sigarette e gomme da masticare.

Basterà infatti entrare per accorgersi che il paesaggio degli scaffali non mostra più alcuna livrea grafica di genere medicinale. Svanite dalla vista, un esempio per tutto, le confezioni di “Luan”, gel per introdurre i cateteri, il bianco e arancio araldico-commerciale a segnarle.

La nozione visiva della sofferenza e della morte non sembrano più essere contemplate, esposte, offerte al cliente. Occultate dalle confezioni del “benessere”

I medicinali, se ancora lì presenti, occorre immaginarli stipati, castigati, lontani dalle pupille della clientela, esiliati oltre un muro, eppure…

Eppure, salvo smentite, non sembra che nel frattempo le malattie – non dico i tumori, ma i semplici virus influenzali di stagione – siano state cancellate dal nostro quotidiano, e gli ospedali riconvertiti in sale-giochi, palestre. E tuttavia, ripetiamo, le farmacie non mostrano ormai neanche sentore delle preparazioni galeniche, si insinua addirittura che i farmacisti non siano più abituati a realizzarle. Svaniti anche le provette, le storte, i bilancini.

Era ancora ieri, quando, posseduti dall’illusione di fermare la caduta dei capelli, alcuni di noi richiedevano alla persona in camice bianco dietro il bancone la preparazione di un flacone di “Minoxidil”, così, nella speranza di ritrovarli, non come nella canzone di De Gregori, Belli capelli, quando dice “…Capelli lunghi come autostrade la mattina sopra il tuo cuscino…”. Precipitò nell’illusione anche Bernardo Bertolucci, il regista. A cena da Laura Betti, la stessa di cui ricordo un bagno colmo di medicine e pomate, una sera mi confessò che quel liquido, nel migliore dei casi, riformava una lieve peluria sulla cute. Né lui né io infatti riavemmo la chioma originaria.

Per comprendere la mutazione degli interni farmaceutici non credo basti la spiegazione dell’investimento sulla salute, quasi dovessimo vedere in filigrana, entrando nelle farmacie, l’ormai (non meno desueta) immagine del fucsia di Jane Fonda, scaldamuscoli ai polpacci, alle prese con l’aerobica, e nel caso nostro, in subordine, Barbara Bouchet o Sydne Rome, nulla di ciò. Le farmacie, i cui arredi suggerivano la monumentalità mortuaria del mogano, sembrano essere finite in purgatorio, e le nuove sempre più assomigliano, già negli arredi, a installazioni di Minimal Art, tra Sol LeWitt, Carl Andre e Dan Flavin, locali abitati da cose che non raccontano la preparazione medica e medicale. Eppure uno dei più significativi artisti contemporanei, Damien Hirst, nel suo lavoro innalza proprio il farmaco come oggetto assoluto, i sonniferi, gli antidepressivi, le benzodiazepine, ovvero le nuove ostie, il ritrovato Santo Graal, l’espressione materiale e concreta di una religione che vive sotto il dominio di Saturno, cioè della malinconia, cioè della depressione.

Non si tratta di pretendere il ritorno degli antichi dottori in camice bianco stazzonato, pizzetto e baffi risorgimentali, come i personaggi di Giamburrasca, cioè simili ai colleghi del dottor Collalto. Oppure, sempre pensando alla storia trascorsa, il ritorno della mobilia turrita e cupa, come in un celebre quadro d’interni di Picasso, Le buffet de Vauvenargues, dove appare un armadio colmo di pinnacoli pronto a custodire, temo, perfino purghe e siringhe.

Racconta Verdone che le nuove farmacie hanno sostituito i vecchi negozi di dischi: «Un tempo si ammiravano i long playing adesso si guardano le confezioni degli integratori»

Eppure, lo so per certo, a dispetto di tutto ciò, certi giorni, un signore, mio vicino di casa, attore di mestiere, Carlo Verdone, inforca la moto e raggiunge una farmacia nei pressi, una che ancora resiste, veste il camice e, come Enrico Toti con la sua eroica gruccia o Luigi Rizzo a bordo del “Mas 15”, si piazza lì, dietro al bancone, a dispensare gratuitamente suggerimenti, a osservare le prescrizioni con occhio esperto d’ogni campionario. Racconta ancora Verdone che le nuove farmacie hanno sostituito i vecchi negozi di dischi: «Un tempo si ammiravano i long playing adesso si guardano le confezioni degli integratori». Peccato, che le fustelle non debbano essere più asportate con quella sorta di leva a forma di bisturi dalle confezioni, sembra ancora adesso di risentirlo il lieve rumore del cartoncino che viene via, poi della spillatrice che le acclude alle ricette.

Scorrendo con lo sguardo gli scaffali metallici, ordinatamente mi raggiungono i cartelli dei prodotti, e recitano così: Integratori, Alimentazione naturale, Cura del capello, Cura del corpo, Igiene intima, Igiene orale, poi ancora “scaffali in allestimento”, Igiene e cura della persona, Vitalità, Per la famiglia, Emozioni per la pelle, Regalati un momento di relax, Il mio bebè, Il punto di vista, Ladies & Senior (cioè i pannoloni per l’incontinenza, ah, ecco finalmente un riferimento alla terza età!), Antidolorifici, e infine: Tosse e mal di gola, Stagionali come unica traccia della malattia, e, sul fondo, come in un obitorio segreto, i raccoglitori, simili appunto ai cassetti delle sale di dissezione, i medicinali negati alla vista, appunto. E ancora, sempre a voler smentire Damien Hirst: ogni genere di scovolino per raggiungere gli interstizi dentali, e poi spazzolini i più svariati, compreso il modello elettrico, lo stesso di cui Naike Rivelli, figlia inarrivabile di Ornella Muti, ne suggeriva, su Instagram, volendo, un uso onanistico, perfetto pure come stimolatore del clitoride.

E ancora, Prodotti in promozione, Collagene, Shampoo purificante, Pancia piatta, Macrobiotici, Digestivi, Camomilla, Risveglio di Buddha, Super colazione, Glutine, Crusca, Pasta con alto contenuto di fibre, Make up, Fondotinta, Matite, Trucchi per ricompattare, Cipria compatta, Fondotinta opacizzante, Fondotinta liquido, e non è una parafarmacia, non è una versione light, “hag”, depotenziata, no, i dottori e le dottoresse mostrano il distintivo dell’Ordine sui camici. Perfino il caro inoffensivo inalatore nasale del “Vicks” non raggiunge gli occhi.

Qui nella farmacia sotto casa, dove un tempo erano esposti, come tracce di una era trascorsa, i flaconi medicinali di una belle époque farmaceutica non meno spazzata via, trovo invece un cartonato per sconfiggere i capelli fragili sfibrati.

Al momento di tornare in strada, sotto la luce battente dei neon e delle alogene, mi torna nostalgia del “Minoxidil”, e perfino delle punture di “ricostituente” che dovetti subire da bambino, quando gli aghi assomigliavano ad alabarde. Ritrovo ciò che ci raccontavamo con Bertolucci quando le farmacie facevano ancora paura, mettevano brividi, proprio come quella del dottor Barilari che appare nel bianco e nero della “lunga notte del ‘43”, dove perfino la luce, sebbene sinistra, sembra essere ancora sincera.

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