C’è chi l’ha chiamato un caso, chi una buffonata, chi una rivoluzione. Fatto sta che, da quando la sedicenne svedese Greta Thunberg ha iniziato a saltare la scuola per protestare davanti al parlamento di Stoccolma, nell’agosto 2018, in difesa dell’ambiente e contro i governi che «non fanno abbastanza per combattere la crisi climatica», il suo esempio ha ispirato milioni di giovani in tutto il mondo, che a loro volta hanno deciso di scendere in piazza. Le grandi manifestazioni colorate (ma soprattutto verdi), culminate in tre grandi “Global Strike” con il tempo si sono strutturate in un vero e proprio movimento, oggi chiamato Fridays for Future (FFF), che coinvolge giovani da New York a Singapore, da Parigi a Città del Capo.
«Governi, ascoltate gli scienziati, perché non c’è più tempo». «Ci state rubando il futuro». «Le prossime generazioni pagheranno per gli errori che avete commesso, è dovere degli adulti agire ora», gridano i ragazzi agitando cartelli che raffigurano il pianeta Terra sofferente, foreste in fiamme e clessidre ormai quasi esaurite. L’ultimo rapporto mondiale sul clima del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) sottolinea chiaramente come la temperatura del pianeta si stia alzando a ritmi vertiginosi, a causa dei crescenti livelli di CO2 immessi nell’ecosistema globale attraverso le attività dell’uomo. Resta appena un decennio per impedire che la temperatura si alzi ancora di 1,5°C, dopodiché l’impatto dei cambiamenti climatici sarà irreversibile. Se non si agisce ora per un passaggio pieno verso le energie rinnovabili e l’economia circolare, insomma, siamo destinati ad un mondo di siccità, di fenomeni meteorologici estremi, di devastazioni ambientali e di migrazioni sempre più intense, avvertono i ragazzi. Perciò occorre riformare il sistema in maniera radicale, mettendo le politiche ambientali al primo posto di qualsiasi decisione politica e di business. Pena la stessa sopravvivenza del genere umano.
«L’attuale idea di sviluppo ci sta mettendo sotto scacco», dice Gabriele, giovane calabrese studente di design al Politecnico di Milano e membro dei FFF da marzo di quest’anno. «Il problema è che nessuno finora ha avuto abbastanza coraggio da adottare delle politiche che cambino davvero le regole del gioco». La questione, infatti, riguarda tutti, ma soprattutto gli adulti: «Noi giovani protestiamo, ma siamo anche quelli che meno di tutti possono avere un impatto. Sono le generazioni prima della nostra ad avere gli strumenti per cambiare le cose», dice il giovane attivista.
Non a caso, da qualche tempo a questa parte, il movimento ha iniziato a coinvolgere anche i “grandi”, in gruppi dedicati a genitori e nonni chiamati “Parents for Future”. «Io sono ambientalista fin dagli anni ’90, ispirata da mio padre che era molto sensibile a queste tematiche», spiega Elena, una mamma quarantenne che da dicembre 2018 ha iniziato a scendere in piazza ogni venerdì al fianco dei ragazzi. «I miei figli studiano a Londra e sono molto impegnati, io sono qui a manifestare anche per loro. In generale vorrei vedere più partecipazione da parte degli adulti, perché questo è un problema di ciascuno». Anche Giorgio, “giovane” nonno di 63 anni di Paderno Dugnano, ha deciso di unirsi alle proteste: «Seguivo l’informazione sui media e sui social network, ma non mi ero mai attivato in prima persona. È stato dallo sciopero del 15 marzo che ho iniziato a manifestare», racconta. Anche lui quindi si è schierato, in difesa del suo nipotino di un anno e mezzo. Il suo intento è di cercare di dare vita a un futuro migliore per lui. «Tra le foto su Facebook mi si vede bene, io sono quello con il cartello “Per Enea”».
È da tempo che la scienza ci parla dell’emergenza, ma secondo me nessuno si è mai battuto davvero. Altrimenti come è possibile che siamo arrivati a questo punto?
Visti i numeri delle manifestazioni e la grande eco mediatica generata da Greta Thunberg, la politica non ha potuto in questi mesi restare indifferente. Personalità mondiali, come Alexandria Ocasio-Cortez negli Stati Uniti e Jeremy Corbyn nel Regno Unito, hanno anche lanciato l’idea di un vero e proprio Green New Deal, un programma che punta a scardinare il sistema economico alla base, unendo la protezione dell’ambiente a politiche attive in ambito sociale e lavorativo, per promuovere una crescita sostenibile abbattendo le disuguaglianze e dando vita ad un’economia pienamente circolare. La stessa Greta è stata invitata a parlare al Parlamento europeo e di recente anche alle Nazioni Unite, ricevendo standing ovation e lunghi applausi per i suoi discorsi. La rabbia, però, rimane tanta: gli applausi non cambiano la sostanza, e cioè che i governi non stanno facendo veri sforzi per cambiare le cose. Nel video che la ritrae all’Onu, negli occhi della giovane si leggono lacrime di rabbia: troppa ipocrisia sta dietro all’azione dei decisori mondiali, troppi slogan poi non si traducono in azioni concrete. «Non dovrebbe essere tutto sulle spalle dei ragazzi, bisogna passare alle energie rinnovabili, promuovere la mobilità elettrica, azzerare le emissioni entro il 2030 o al massimo il 2040», dichiara decisa Elena.
Giorgio, che, oltre ad essere una attivista, è anche un pittore, racconta del quadro che dipinse ormai 25 anni fa: oggi la gente la definisce una tela “profetica” – il deserto, un tornado, le piattaforme petrolifere sullo sfondo. Era l’epoca del buco nell’ozono, oggi ridotto quasi a zero. Le conseguenze, però, sono rimaste le stesse. «È da tempo che la scienza ci parla dell’emergenza, ma secondo me nessuno si è mai battuto davvero. Altrimenti come è possibile essere arrivati a questo punto? Non bisognava certo aspettare l’IPCC per sapere quanto grave fosse il problema». Oggi, i Fridays for Future costituiscono una novità inedita in questo senso, un movimento che ha davvero iniziato a cambiare la retorica mondiale quando si parla di sviluppo. «Per me sono una innovazione sociale incredibile, una boccata di aria fresca e il movimento che ha smosso più di tutti le coscienze. Spero che sia l’inizio di una vera rivoluzione verde», dice Elena.
Portando l’ambiente al centro del discorso pubblico, il movimento ha dato vita a una nuova consapevolezza tra le persone. Ma le difficoltà restano tante, non solo per la presenza dei cosiddetti “negazionisti” del cambiamento climatico, ma anche per la diffusione, attraverso i social network, di bufale e disinformazione. La stessa credibilità del movimento e della sua leader sono stati messi in dubbio, con accuse che spaziano dal «Greta è solo una ragazzina, torni a scuola» al «è solo un’attrice», fino a visioni complottiste sulla linea del «dietro di lei si nascondono i poteri forti».
Il problema? Azioni di questo tipo hanno finito per sfociare in atteggiamenti controversi persino da parte di capi di Stato: primo fra tutti il presidente americano Donald Trump, che si è sfilato dagli accordi di Parigi del 2015, in cui invece si prospettava un impegno mondiale da parte dei Paesi nella lotta al cambiamento climatico. Senza gli Stati Uniti, il Paese più ricco (e anche uno dei più inquinanti) del mondo, ora gli sforzi degli altri Paesi rischiano di non essere sufficienti ad invertire l’ordine delle cose.
Se vogliamo cambiare le cose, tutti ci dobbiamo impegnare. È essenziale che smettiamo di parlare e di pensare da consumatori
«Anche in una città come Milano, che ha dichiarato l’emergenza climatica, l’unica area non costruita di piazzale Baiamonti, dove avevamo piantato simbolicamente un albero, è stata dichiarata edificabile dal Comune», dice Giorgio. «Quanti milioni di tonnellate di CO2 serviranno per abbattere e ricostruire lo stadio di San Siro, poi? Ha poco senso regalare borracce agli studenti se poi si insegue il business». È in questo senso, spiega il nonno, che gli adulti dovrebbero appoggiare i giovani nella loro lotta, aiutandoli a smascherare quelle cattive pratiche che si nascondono dietro ad apparenti dichiarazioni di sostegno. «Il dialogo con le istituzioni è fondamentale per questo», dice il giovane Gabriele.
«Uno dei maggiori punti di forza, ma anche un grosso limite del movimento, è che è inclusivo al massimo ma per questo non è inquadrato in termini giuridici, il che rende difficile raccogliere fondi per aumentare la propria estensione», spiega Elena. Posto che il problema però rimane di tutti, però, è necessario che ciascuno risvegli la propria coscienza e si dia da fare. «Io viaggio sempre in treno, mangio meno carne e a casa ho comprato una caraffa filtrante, per ridurre il consumo di plastica», dice Gabriele. Il cambiamento, in fondo, parte dai piccoli gesti quotidiani. E se tutti – ma proprio tutti – iniziassero da queste buone pratiche individuali, non è utopistico pensare che il cambiamento culturale che serve possa in breve tempo condurre alle azioni che ancora ci si aspetta dai governi. «Io sono sinceramente preoccupata per il futuro del mondo», conclude Elena. «Per questo, se vogliamo cambiare le cose, tutti ci dobbiamo impegnare. È essenziale che smettiamo di parlare e di pensare da consumatori».