Canzone per la democraziaIl canto di Jessye Norman per salvare l’America, ecco un modo magnifico di protesta civile

Paul Berman ricorda la star dell’opera, scomparsa di recente, a una manifestazione contro l’impeachment per Clinton, quando la soprano scelse di unirsi alla folla non da cantante ma da cittadina nel momento in cui tutti intonarono God Bless America

Jason Kempin / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Jessye Norman, 1945-2019.

Forse l’esibizione meno conosciuta di Jessye Norman, anche se registrata e mandata in onda, fu quella che fece a un evento politico di 21 anni fa, quando persone con idee come le sue (e le mie) erano contro l’impeachment anziché a favore. Il concerto avvenne a un Raduno contro l’Impeachment, che si tenne il 14 dicembre 1998 all’auditorium della Law School della New York University, nel preciso momento in cui il presidente Bill Clinton sembrava in estremo pericolo. Cioè quando perfino il New York Times sembrava a un passo dal chiedere le sue dimissioni. Il raduno era stato organizzato con urgenza nel giro di un weekend da una manciata di persone, me compreso. Riuscimmo a coinvolgere un parterre di appassionati di politica e di artisti. Una delle nostre reclute fu Toni Morrison, la quale di sua spontanea volontà si era proposta di portare con sé, se possibile, anche la sua amica Jessye Norman, che forse avrebbe accettato di cantare.

Alla fine Norman preferì di no. Ma volle comunque prendere posto nel pubblico. Poi, quando il raduno arrivò alla fine, Stephen Holmes della New York University si alzò per invitare le circa duecento persone nella sala a concludere l’evento cantando “God Bless America”, cosa assolutamente calzante. Tutti cominciarono a farlo.

C’è un video del raduno della C-Span, che si può vedere qui. Se lo si scorre fino alla fine, a 2:38 (cioè due ore e 38 minuti) si può ancora vedere cosa è successo. Ci sono circa duecento voci smorzate di non-musicisti che cercano di fare del loro meglio, insieme a un gruppo di pochi che invece sanno cantare davvero. A un tratto si nota una voce femminile che comincia a elevarsi solitaria, come se da sola fosse in grado di perforare il mormorio collettivo. Ci si chiede: come fa una sola voce a essere così chiara in mezzo alla folla? E come fa a essere così bella?

La telecamera è posizionata in fondo alla sala, e inquadra, in gran parte, solo le teste delle persone. All’improvviso ecco che si vede la testa di qualcuno che emerge, e che si volge guardando verso il pubblico. È la cantante. È lei. Ha deciso di cantare, dopotutto, ma non come una artista invitata per farlo: come una cittadina in più, insieme con tutti gli altri. Il suo magnifico vibrato, il timbro: sì, è inconfondibile. E straordinariamente commovente.

È a questo allora che dovrebbe somigliare una protesta civile. E in un momento critico per la democrazia, è questa la canzone che dovrebbe essere cantata.

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